Pioggia di Cenere - 2

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Dalla cupola finemente intarsiata, i mosaici di antichi eroi dell'Imperium caduti da millenni osservavano i servitori entrare con passo lento, venuti nella grande camera del Pozzo della Fenice ad accendere le candele che si erano spente durante il discorso del Maestro Capitolare. Nell'ampia sala circolare si diffondeva il mormorio basso dei capitani di compagnia e degli attendenti rimasti a discutere; Alartel era già andato via, e il rombo della Thunderhwak che si allontanava dalla fortezza-monastero aveva fatto tintinnare i vetri decorati della sala. Josua era preso dall'ascolto del discorso tra Hiletos e Matias, capitani della seconda e quarta compagnia, a pochi passi di distanza dal grande pozzo che si apriva al centro della stanza; Matias parlava animatamente, e seguendo le sue parole Josua osservava un servitore intento ad accendere un vecchio cero, proprio sul ciglio del pozzo, usando la fiammella che aveva continuamente accesa sulla punta dell'indice.
«Ripeto che non tutti i mali vengono per nuocere» diceva Matias, incrociando le braccia e stringendole al corpo nell'ampia tunica scura, «avere la responsabilità sul sistema Ardesil vorrà dire maggiore influenza. E maggior influenza vuol dire maggiori tributi. Il capitolo potrà finalmente riprendersi dalla situazione indecorosa nella quale si trova.»
«Ti sbagli, fratello» rispose Hiletos. Il capitano della seconda compagnia era tra gli astartes più anziani nel capitolo, e la sua voce calma e profonda non cedeva mai all'ira o alla tensione. «Il capitolo non è in grado di farsi carico della difesa di Ardesil. Se vi hanno voluto rinunciare gli Artigli Scarlatti, che come sappiamo versano in condizioni migliori delle Scure Ceneri, vorrei proprio sapere come potremo farlo noi, che siamo ben al di sotto del numero di effettivi auspicabile. Dividere i nostri sforzi sarà una rovina per tutti.»
«Gli Artigli Scarlatti si sono tirati indietro perché non possono impegnare continuamente compagnie qui nell'Ultima Segmentum. Ardesil è il sistema più lontano dalla loro area di influenza centrale.»
«Questo è quello che hanno detto loro. E se si fossero ritirati perché lo ritengono ingestibile?»
«C'è da considerare» intervenne Josua, mentre il servo riusciva finalmente ad accendere la candela con un verso che poté sembrare un ticchettio di trionfo, «che il problema maggiore su Ardesil sono le insurrezioni. Gli Orki hanno dato problemi ben maggiori qui a Thalassis, piuttosto che lì.»
Matias fece una smorfia di disprezzo. Tra i capitani più giovani, quasi coetaneo di Josua, non temeva di parlare francamente e con schiettezza. «E con ciò? Il fatto che vi siano ribellioni continue, specie su Yggras e su Ardesil II, non vuol dire che siano impossibili da gestire.»
«Sono momenti bui, Matias» disse Hiletos, guardando distrattamente nelle oscurità del pozzo, «e nonostante ci troviamo stanziati sulle frange dell'Imperium, certi pericoli e certe apprensioni sono avvertite anche qui. Ciò che è accaduto su Cadia...»
«Non ci sono prove che le insurrezioni su Ardesil siano legate all'Arcinemico» si affrettò ad aggiungere Matias, interrompendolo.
«Effettivamente, noi non abbiamo prove» rispose placidamente Hiletos, «ma non sappiamo cosa ne pensano di preciso gli Artigli Scarlatti. Potrebbero sapere qualcosa in più.»
«Potrebbero sembrare accuse gravi» osservò Matias, facendosi più attento.
Hiletos si strinse nelle spalle. «È risaputo che il Maestro Capitolare degli Artigli Scarlatti non vede di buon occhio il nostro rapporto con l'Adeptus Mechanicus. Ad ogni modo, sta agendo entro i confini della legalità. Forse non della morale, certo, ma questo non possiamo saperlo.»
«Comunque sia» ribatté Matias, bruscamente, «Ardesil è addirittura raggiungibile con salti calcolati nell'Immaterium. Sarebbe sciocco rinunciare a proteggere un sistema così vicino e ricco.»
«Anche tu ne fai una questione di morale, vedo» aggiunse Hiletos, serio.
Matias lo guardò fisso, e a Josua parve che i tratti del volto gli si irrigidissero. Fece un cenno col capo, che soltanto con molto sforzo avrebbe potuto essere inteso come un saluto, si voltò e si allontanò.
Hiletos e Josua lo guardarono andarsene, mentre anche gli altri gruppi di capitani e sergenti iniziavano a lasciare la sala per attendere ai loro compiti quotidiani.
«Naturalmente, alla fine deciderà il Maestro Alartel» disse Josua, in modo atono.
«Già. Ma queste sono occasioni per mettere alla prova lo spirito del capitolo. È giusto che se ne discuta» mormorò Hiletos.
Uscirono dal Pozzo della Fenice, passando sul grande ponte ad archi che collegava quel santuario al resto della fortezza-monastero. La notte era calata su Thalassis I, e nel cielo stellato si vedevano baluginare le luci lontane delle astronavi della Ammit in orbita. Sull'ampia pianura che circondava la fortezza brillavano, qui e lì, fuochi e bagliori di piccoli villaggi di agricoltori.
«Ad ogni modo, speriamo che non arrivino allarmi da Ardesil troppo presto» fece Hiletos, mentre il vento che spazzava il ponte agitava freneticamente le loro tuniche, «cosicché il Maestro abbia più tempo per decidere cosa fare. Per quanto io creda, in realtà, che deciderà di rispondere a qualsiasi richiesta di aiuto che possa arrivare.»
«Chissà cosa ne pensa il Fabricator-General di Aephestus» aggiunse Josua, cauto.
«Ne avrà certamente già parlato con il Maestro. E sono sicuro che anche lui avrà premuto per estendere il supporto del capitolo anche ad Ardesil. In realtà, ho l'impressione che nel capitolo, e non solo, molti ritengano la nostra presenza su Thalassis quasi sprecata. Soltanto il concilio dei pianeti avrà un'opinione diversa.»
«Chi pensa che la nostra funzione qui sia sopravvalutata dimentica quello che accade nel sottosuolo di Thalassis IV. Senza contare il fatto che la nostra prima compagnia è stata mandata alla crociata, e che si può considerare come un'estensione dei nostri impegni» ribatté Josua con decisione.
Hiletos lo guardò sorpreso, e poi sorrise. «Finalmente ti sento prendere una posizione ferma» ridacchiò, mentre raggiungevano il grande cancello di accesso a quartieri della fortezza-monastero, «ma comunque sia, per ora dobbiamo attenerci ai nostri doveri. Ho un allenamento per la seconda e terza squadra nell'Arena 5.»
«Credo che avremo occasione di vederci più tardi lì, dunque» sorrise di rimando Josua, e si salutarono.
Il capitano della terza compagnia si diresse verso la propria cella, camminando nei corridoi alti e scuri che si diramavano, come arterie, dal cuore della fortezza. Costruito parzialmente all'interno di un grande plateau roccioso, l'edificio ospitava tutti i confratelli del capitolo delle Scure Ceneri, insieme a migliaia di servitori, attendenti, adepti del culto Mechanicus, e ufficiali delle Forze di Difesa Planetaria. La sua reale estensione era spesso discussa, poiché durante la costruzione, millenni prima, erano stati trovati antichi sepolcri e cripte nelle viscere della roccia, cunicoli che erano stati parzialmente integrati nel progetto ma della cui effettiva natura e dimensione si sapeva spesso troppo poco. D'altronde, tutti i pianeti del sistema Thalassis possedevano quella caratteristica, e ciò che si trovava nel ventre ctonio di Thalassis IV ne rappresentava l'estremizzazione più sfrenata.
Josua percorse i corridoi, incrociando confratelli in tunica e in armatura completa, gruppi di servi e di ufficiali delle FDP. Infine raggiunse la propria cella, dove attese alle preghiere e ai riti quotidiani. Il suo servitore personale osservava in silenzio, in un angolo, muovendo appena le lenti telescopiche che aveva al posto degli occhi. Quando Josua ebbe terminato, gli ordinò di preparare la vestizione dell'armatura nell'armeria, e di fargli trovare sulla Tabula-Dati le statistiche degli addestramenti del mese trascorso.
Mentre il servitore usciva dalla cella in penombra, ronzando, la Tabula-Dati appesa in un'alcova della stanza si accese spontaneamente; Josua la prese, consultando velocemente le informazioni, scorrendovi sopra le dita. I record erano accettabili, ma ancora una volta fratello Lector, della sesta squadra, si era dimostrato insufficiente in quasi tutte le prove. Josua consultò i dati dei mesi precedenti, irretito; non era cambiato nulla, i risultati erano sempre al di sotto della media. Lector, una dalle poche reclute sopravvissute alle battaglie contro gli Orki di quattro mesi prima, non risultava soddisfacente nelle prove simulate e nei combattimenti con i confratelli. Era tempo di parlarne direttamente con lui e con il suo sergente.
Josua si portò dietro la Tabula-Dati e si diresse all'armeria. Il suo servo aveva approntato tutto: la camera d'equipaggiamento aveva i servo-bracci già in posizione; Josua si tolse la tunica, porgendola insieme alla Tabula al servo, e avviò i meccanismi. I bracci iniziarono velocemente a montargli addosso gli schinieri, l'usbergo, gli spallacci e le ginocchiere, finché l'armatura – una Mark VII "Aquila" con un elmo modello "Corvus", tinta con i colori grigi, bianchi e rossi del capitolo – non fu interamente agganciata al carapace nero di Josua. Il capitano scese dalla postazione, muovendosi nella pesante protezione come se fosse dentro la stessa leggera tunica che aveva vestito poc'anzi; poi, tenendo l'elmo sotto il braccio, fece cenno al servitore affinché lo seguisse verso le arene.

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