Pioggia di Cenere - 9

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Una parte della trincea esplose, lanciando in aria due intere squadre di fanteria della FDP. Josua si abbassò con prontezza, evitando che i detriti grossi come palle di cannone lo colpissero in pieno volto. Mitragliate e colpi di piccolo calibro fecero brulicare il terreno attorno, prima che i marine della terza compagnia si affacciassero dalla copertura malandata per rispondere al fuoco proveniente dai bastioni.
La città-fortezza Aladopolis era in mano agli orki ormai da giorni ed era assolutamente necessario riconquistare le sue batterie orbitali di cui le bestie si erano già impossessate; ma le sue mura di roccemento, alte e liscie, respingevano ogni attacco e restituivano il fuoco indemoniato delle centinaia di armi operate da orki esaltati e urlanti. La porta era stata devastata dall'assedio degli alieni, i quali l'avevano però riparata alla bell'e meglio; soltanto il fuoco pesante dei devastatori o dei Predator poteva aprire la via.
Il vox di Josua iniziò a gracchiare, e lui tentò di isolare i rumori esterni – l'impossibile fragore della battaglia e delle zpara aliene che sputavano fuoco e piombo sulla sua posizione – per capire cosa dicesse la trasmissione. Era il Maestro Alartel, che stava parlando a lui e a Matias; Josua cercò istintivamente con gli occhi lo schieramento del capitano e della sua quarta compagnia, a centinaia di metri sulla sinistra; inchiodati dal fuoco xeno, proprio come la terza compagnia.
«La fortezza» diceva il Maestro, quasi impercettibile tra i disturbi della trasmissione e il frastuono degli scontri, «...seconda compagnia...difesa con successo. Noi e la quinta...continuiamo assalto. Josua e Matias, lanciare assalto...Aladopolis...ora.»
Josua mormorò un assenso, seguito subito da quello di Matias. Poi si mise direttamente in contatto con lui mentre la sua trincea si riduceva sempre più ad un poltiglia di fango e macerie.
«Dove sono i tuoi Predator» chiese dando uno sguardo all'immensa porta della fortezza, il liscio e puro metallo imperiale rattoppato qua e là con scarti arrugginiti imbrattati da glifi orkeschi.
«La Thunderhawk è in arrivo» ribatté l'altro capitano, «ma anche dopo avere aperto la porta sarà rischioso passare.»
Josua diede un'occhiata attorno a sé; la sua compagnia era schierata in trincee mezze distrutte e malandate, e insieme ad essa stavano un paio di compagnie della FPD fornite di tre Chimera traballanti e un paio di autocannoni.
«Ci inventeremo qualcosa» disse, ma la trasmissione divenne improvvisamente ancora più disturbata e non poté capire se Matias lo avesse sentito. Quando provò a trasmettere di nuovo scoprì di non poter sentire la propria voce; un rombo tonante la coprì, e alzando gli occhi vide la Thunderhawk della quarta compagnia rombare nel cielo, scendendo e schivando i pochi colpi delle batterie antiaeree della città, il ventre gonfiato da un paio di mezzi corazzati pronti a essere schierati. Il fumo e gli spari impedivano di vedere bene, ma doveva trattarsi dei due Predator; Josua non sapeva se gli orki fossero in grado di riconoscere dei mezzi pesanti e ne temessero la potenza, ma non poté fare a meno di osservare che appena il velivolo fu a distanza di tiro, mentre scendeva verso le trincee, le bestie iniziarono a sparargli addosso con tutto quello che avevano. Lampi rossastri, bianchi e arrotolati in volute di fumo si abbatterono a velocità tremenda sulla corazza della Thunderhawk, lasciandola illesa mentre calava usando i motori verticali verso le trincee della quarta compagnia; poi, però, un grido si levò dalle mura – un boato immenso, belluino e ferale insieme – e una sorta di fulmine azzurro scoccò dalla sommità dei bastioni per andare a infrangersi sul fianco del velivolo. La Thunderhawk scartò, vomitando fumo dal punto colpito e inclinandosi sul fianco; il pilota riuscì a tenere il controllo, ma il mezzo si era inclinato di lato e si spostava lentamente verso la terza compagnia.
Josua non perse tempo. «Tutte le squadre» urlò nel vox, «coprite la Thunderhwak. Fuoco. Fuoco!»
Tutti gli astartese si sporsero all'unisono dalle trincee, sparando con ogni arma verso il punto delle mura dal quale era partito il lampo azzurro. Gli spari echeggiarono come un singolo ruggito mentre proiettili, plasma e razzi si abbattevano sulla fortezza, zittendo gli orki e chetandone il fuoco per qualche istante. Anche la FDP si unì al tiro, e i laser vennero lanciati come onde di marea contro il roccemento.
La Thunderhawk aveva ormai quasi raggiunto terra, ancora pericolosamente inclinata su un lato; proprio mentre passava sopra la testa di Josua, però, riuscì in qualche modo a raddrizzarsi e ad atterrare poche decine di metri più dietro, poggiando i pesanti moduli d'attracco sul terreno fangoso davanti Aladopolis.
Matias stava urlando qualcosa nel vox, ma Josua non riusciva a capire. Mentre la sua compagnia sparava sulle mura, vide un Predator staccarsi dagli agganci della Thunderhawk e far rotolare i cingoli verso di loro, seguito subito dopo da una figura più piccola ma imponente – la dreadnought Hibris.
«I miei ordini non erano questi» stava ruggendo Matias nel vox, «ti avevo detto che non avresti combattuto oggi». Stava parlando con Hibris, e forse aveva agganciato anche Josua di proposito per fargli sapere che le cose non stavano andando come previsto.
La voce pesante e profonda del Sarcofagus rispose con placidità. «Non è colpa mia, Matias. Uno dei Predator ha avuto un guasto al cannone binato, e non ti aspetterai di certo che io lasci un posto libero su una Thunderhawk che sta per atterrare in mezzo agli xeno.»
«Tu» rispose il capitano della quarta compagnia, mentre la voce diventava indistinguibile, «non puoi...responsabilità...»
Uno schianto sordo risuonò dalle mura e un razzo si abbatté sul Chimera più avanzato, facendolo esplodere e lanciandone le lastre di corazza tutt'attorno. Gli orki urlarono di nuovo e ripresero a sparare con maggior foga.
«Matias» gridò Josua nel vox, «se puoi sentirmi, dai l'ordine al tuo Predator. Matias!»
«Troppi disturbi nella trasmissione» fece Hibris, ormai giunto alla trincea di Josua mentre il Predator si fermava poco dietro, «queste bestie schifose stanno tramando qualcosa». La corazza del Sarcofagus emanava scintille ogni volta – sempre più spesso – che un proiettile ci rimbalzava contro, schizzando via. Le insegne delle Scure Ceneri e le parti esposte del cannone d'assalto iniziavano già a sporcarsi polvere.
«La porta» disse Josua, guardando direttamente nella feritoia che nascondeva il volto di Hibris, inumato nella dreadnought, «bisogna aprirla. Darò io l'ordine al Predator. Ma poi...»
«Poi cosa?» chiese divertito Hibris, mentre il tintinnare dei proiettili sulle sue corazza diventava quasi assordante.
«Dovremo trovare un modo di entrare.»
Sebbene il Sarcofagus non avesse occhi visibili, Josua ebbe la sensazione che lo stesse guardando in modo sarcastico. «Dai l'ordine, capitano» fece, mentre piegava il braccio da corpo a corpo verso il terreno.
Josua annuì, diede un avvertimento veloce alla propria compagnia, e poi si alzò per farsi vedere dall'equipaggio del Predator. Il carro reagì in pochi istanti: il cannone laser binato ruotò insieme ai due cannoni laser laterali, e insieme resero l'aria davanti Aladopolis improvvisamente bluastra, saturando lo spazio tra le armi e la porta della fortezza con quattro fasci di energia incandescente. I cancelli si piegarono, fondendosi come burro caldo e collassando su sé stessi, sprofondando. Si alzò un polverone scuro, e prima che Josua potesse ordinare alcunché, poté solo vedere Hibris correre verso di lui, saltare – saltare, in un modo che non avrebbe mai reputato probabile per una dreadnought – la trincea e correre verso la fortezza, mentre teneva nel braccio una grande piastra corazzata del Chimera esploso.
Gli astartes e gli umani si bloccarono un istante ad osservare il colosso di metallo correre, goffo ma inarrestabile, nello spiazzo davanti la città-fortezza disseminato di crateri e relitti. Quando il fumo si fu diradato gli orki si trovarono davanti alla dreadnought in corsa; rimasero per un istante silenti, prima di riprendere ad urlare e sparare. Proprio da una torretta sopra il cancello partì un altro razzo come quello che aveva distrutto il Chimera; Hibris si fermò di colpo, mentre l'aria veniva attraversata dal proiettile esplosivo; Josua fece per urlare qualcosa, ma il razzo si avvitò su sé stesso, girò in aria e andò a piantarsi inesploso in una duna.
La dreadnought aspettava esattamente questo; si piegò, inclinandosi, e girando su sé stessa lanciò la piastra del Chimera come un lanciatore di disco, proiettando le decine di chili d'acciaio sulla postazione pesante nella torretta. La lastra fischiò nell'aria, fendendola, e si schiantò come una bomba lanciando in aria roccemento, orki e armi: Hibris lanciò una specie di urlo di vittoria e poi, semplicemente, iniziò a scaricare il cannone d'assalto sulla cima delle mura, camminando verso la porta. «Con me» iniziò ad urlare, nel fragore delle centinaia di spari della sua arma, «con me, fratelli!»
Josua decise di ignorare lo sconcerto e balzò fuori dalla trincea gridando; la compagnia, come un solo uomo, rotolò fuori dai ripari e si mise a correre con lui. Le squadre d'assalto azionarono gli zaini a reazione e schizzarono in aria, prima di calare in picchiata sugli orki ormai spaesati. Le squadre devastatrici continuarono a fornire fuoco di coperture, avanzando lentamente. La quarta compagnia e la FDP seguirono la carica, mentre il Predator distribuiva cannonate laser sui punti più affollati delle mura; le Scure Ceneri attaccavano, mentre il cielo si oscurava di nebbie, fumo e grida di guerra.

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