Capitolo quattro.

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La mattina seguente fui svegliata dal suono rumoroso che emetteva il mio cellulare. Frastornata e confusa lo afferrai convinta fosse la sveglia. In realtà era Andrea, il migliore amico di Gabriele. Non mi aveva mai chiamato o scritto. Ovviamente eravamo usciti ogni tanto, ma non avevamo quella confidenza da chiamarci.

"Pronto.." risposi confusa e assonnata.

"Silvia, mi dispiace disturbarti a quest'ora,ma dovresti venire in ospedale."

"Gabriele..."

"Si.." riattaccai immediatamente. Mi vestii senza lavarmi e scesi le scale saltando alcuni gradini.
Mi precipitai in cucina dove il resto della famiglia consumava la colazione.

"Silvia come mai hai questa faccia?" mi domandò mia madre.
"Dove trova tutta questa energia alle 6.50 più che altro.." farfugliò Davide mentre sorseggiava il late.

"Mamma..." - "Gabriele.."
"Cosa?"
"Gabriele.."
"Tesoro tranquillizzati" mi disse mio padre.
"È..è in ospedale! Devo andare! Mi ha chiamato Andrea, il suo amico."
"Ok. Calmati un attimo. Adesso prendo la borsa e ti accompagno." - "Alessio te accompagna Davide a scuola."
"Va bene mamma. Vi raggiungo dopo, almeno te potrai andare a lavoro."
"Giusto! Devo avvertire Carla"
Carla era la collega di fiducia di mia madre.

"Io vado in banca, qualsiasi cosa chiamatemi." disse mio padre alzandosi da tavola.

In macchina nessuno delle sue aprì bocca. Le uniche cose che rompevano il silenzio, erano le macchine che ci passavano vicine e il rumore dei bambini che urlavano,mentre venivano accompagnati dai propri genitori a scuola.

Arrivate in ospedale trovai i genitori di Gabriele che parlavano con Andrea. Nessun sorriso niente di niente. L'atmosfera era triste e seria. La mamma di Gabriele continuava ad asciugarsi le lacrime,mentre suo padre l' abbracciava .
Luca e Maria, si chiamano così i genitori di Gabriele. Sono una famiglia modesta, lui professore universitario, lei casalinga. Entrambi alti, e castani chiari, come la seconda figlia,Marta, sorella di Gabriele, che in quel momento non capiva, giustamente, la gravità della situazione, aveva solamente sei anni. Come ogni bambino, sentiva l'atmosfera pesante che aleggiava in quella stanza, l'ansia dei suoi genitori, ma non poteva capire fino in fondo cosa stava accadendo.
Non avevo mai visto, loro due in quelle condizioni, se chiudevo gli occhi li vedevo seduti in cucina, a ridere e a scherzare, su qualsiasi cosa e in quel momento vederli in quel modo,mi destabilizzava.
"Ciao Silvia.."
Non risposi. Ero intrappola nei miei mille pensieri.
"Gabriele ha chiesto di te.." continuò Luca, suo padre.
Annuì e mia madre appoggiò la sua mano sulla mia spalla destra e guardandomi mi fece coraggio.
Mi indicarono la sua stanza. Ho sempre odiato gli ospedali, troppo bianchi, troppe persone tristi, per non parlare di quel profumo, se così si può definire, di amuchina.
Rimasi ferma davanti alla porta per qualche secondo, prima di aprirla.

Avevo paura,ma nessuno lo capiva.

Sapevo che una volta entrata lì dentro avrei saputo quella verità tanto difficile da accettare e capire. Forse non ero pronta a tutto ciò.

Aprì la porta piano, Gabriele era disteso sul suo letto, aveva un sondino nel naso e continuava a tossire.

"Amore..."
"Gabriele.."
"Non avrei mai voluto che lo scoprissi in questo modo" mi disse sorridendo.

Non ci trovavo nulla da ridere, ma solo ora capisco il suo disagio, solo ora capisco quella sua risata nervosa.

"Io ancora non ho capito cosa..."

"Avvicinati."

Così feci. Mi misi accanto a lui,mi afferrò la mano.

"Amore, farò di tutto per rimanere con te, ma non potrò promettertelo. Ho cercato in queste settimane di dirtelo. Mi sono preparato mille e mille discorsi,ma non ce n'è neanche uno che possa andare bene, forse per queste occasioni non ci sono delle parole giuste o sbagliate. Molto probabilmente tutta la circostanza è uno schifo e basta."

"Gabriele..."

"Mi dispiace, ma mi hanno diagnosticato di nuovo il tumore, ma questa volta ai polmoni.." - "Scusa."

Scappai. Che vigliacca. Che persona orribile.

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