Capitolo 13

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Dopo che Belle lo ebbe baciato, Sebastian si sentì più leggero, ma comunque appesantito dall'incantesimo.
Belle lo guardò meglio, lui doveva mettercela tutta per non gemere dal dolore delle ferite di cinque giorni fa. Gli facevano ancora male nonostante fosse passata quasi una settimana, Belle gli aveva chiesto cosa gli fosse accaduto ma lui aveva aggirato l'argomento come se fosse stato un palo su un marciapiede. Voleva dirle tutto ma quello stupido incantesimo glie lo impediva. Belle doveva ammetterlo a se stessa e rendersi conto di amarlo per poter sciogliere l'incantesimo e fare in modo che lui le potesse dire tutto.
Ci provò ma il risultato non fu quello che lui si aspettava.
«Belle devo dirti una cosa...» aveva detto subito dopo averle detto che non c'era nessun problema.
«Dimmi» lo aveva guardato lei negli occhi.
«Io calzino ippopotamo mela» le parole erano uscite involontariamente al posto di quello che voleva rivelarle e si rese conto che lei non lo amava ancora.
«Cosa?!» aveva chiesto lei con un tono come per dire "mi stai prendendo per i fondelli?".
Che stupido che sono. Come posso pretendere che lei possa amarmi? Come può essermi saltato per la mente?
Si era chiesto a mente.
«Nulla... volevo dirti che andavo a farmi una doccia» aveva mentito poi lui alzandosi dal letto e andandosene dalla camera della ragazza che era rimasta piuttosto sconvolta.
Decise che mangiare il panino sul comodino non le avrebbe di certo fatto male, perciò in pochi minuti quest'ultimo era già nello stomaco della ragazza.
Afferrò il suo album con l'intento di voler ritrarre il padre per come lo ricordava l'ultima volta che lo aveva visto ma appena la grafite ebbe contatto con il foglio bianco tracciando una linea che doveva essere la palpebra superiore dell'occhio sinistro dell'uomo, Belle fu assalita dal dolore della perdita. Un grosso buco nel suo stomaco, una voragine che le faceva male come un coltello infilato nello stomaco svariate volte.
Lasciò rotolare via la matita e rimise sulla scrivania l'album sedendosi a terra con la schiena poggiata all'angolo destro della stanza a guardare il cielo attraverso la vetrata.
Osservò il piccolo stagno con le paperelle e il giardino con alcuni cespugli di rose qua e là.
Scese di sotto con l'album e l'occorrente per disegnare, andò nel retro della villa dove si affacciava la sua camera e si sedette a terra di fronte lo stagnetto a disegnare le paperelle che sguazzavano nell'acqua.
Intanto Sebastian, che era si era fatto una veloce doccia, si asciugò. Alcuni tagli avevano iniziato a cicatrizzarsi, si vestì e andò in camera di Belle.
Non la trovò nel suo letto, notò che neanche l'album e le matite erano presenti, perciò si affacciò dalla vetrata e la vide di fronte lo stagnetto a disperarsi.
Aveva smesso di disegnare e adesso stava piangendo seduta sull'erba e con la schiena poggiata contro un masso.
Lui la raggiunse e la strinse tra le proprie braccia, con fare protettivo ed affettuoso.
«Voglio farti vedere una cosa... ti va?» le chiese lui con una voce gentile mentre lei lo guardava negli occhi. «Ma tu non devi piangere però» aggiunse.
Belle annuí, lui le porse la mano che lei strinse e la aiutò ad alzarsi in piedi, poi afferrò il suo materiale da disegno e si diressero in casa.
Posò in camera di lei la sua roba e poi le prese la mano, Belle ce la mise tutta per trattenere le lacrime.
Sebastian si diresse di fronte la propria camera, abbassò la maniglia e prima che lui potesse aprire la porta lei lo fermò.
«Tu... non mi avevi proibito di entrarci?» singhiozzò.
Lui la guardò e senza dire nulla aprì la porta, la fece entrare.
La camera era enorme. Il pavimento era in marmo nero e bianco sul quale era poggiato un tappeto nero con i contorni bianchi, sulla parete destra c'era un letto a due piazze con delle lenzuola bianche. Alla sua destra, verso il muro in fondo alla stanza, era appeso un sacco da boxe bordeaux, i guantoni erano poggiati distrattatamente sulle lenzuola del letto; mentre alla sua sinistra c'era un comodino bianco lucido sul quale era poggiata una foto con un bimbo sorridente in primo piano che mostrava i suoi due incisivi mancanti e alla sua destra e sinistra i genitori. Alla sinistra del comodino, verso la porta, c'era un enorme armadio bianco a 4 ante.
Le pareti erano nere e ricoperte di foto e quadri, in fondo alla stanza c'erano delle portefinestre che davano accesso ad un grande balcone davanti le quali vi era posto un cavalletto che reggeva un quadro raffigurante un cielo scuro, annuvato e cupo in cui erano utilizzati gli stessi colori del quadro Notte Stellata di Van Gogh.
Circa al centro della parete opposta al letto c'era una grande scrivania bianca piena di matite, colori, acrilici, pennelli, vari sketch book disposti uno sopra l'altro e fogli sparsi con degli schizzi e disegni realizzati con un carboncino.
I quadri che non entravano sulle pareti erano poggiati accanto la parete alla sinistra della scrivania. Accanto al letto c'erano dei quadri raffiguranti gli stessi soggetti delle foto, tranne il bambino.
La luce del sole illuminava perfettamente la stanza.
Nell' angolo destro accanto la porta era posizionato uno specchio e varie garze erano gettate a terra.
«Wow...» sospirò Belle guardandosi attorno e ammirando la bravura di Sebastian.
Nonostante ciò si vedeva che nei suoi quadri era raffigurato il tormento e l'oscurità. A terra, accanto la scrivania, c'era un quadro raffigurante una rosa rossa coperta da varie pennellate di sfogo nere e viola.
«Non volevo che qualcuno vedesse che sono circondato da foto dei miei genitori morti... io non sono ancora riuscito a voltare pagina dopo un anno, Belle... quindi devi sapere che se vuoi possiamo superarlo insieme tutto questo» disse lui con la voce ferma nonostante avesse gli occhi lucidi.
Lei si voltò verso di lui non sapendo cosa dire.
«Diamine dí qualcosa!» sbottò il ragazzo in imbarazzo.
«Si... potremmo...» sussurrò lei guardando a terra.
Sul volto di Sebastian pieno di cicatrici spuntò un sorriso, si avvicinò a lei abbracciandola.
«Però mi devi spiegare tutto...» Belle si staccò dall'abbraccio.
«Tutto cosa?» lui la guardò negli occhi.
«Tutto quello che fino ad ora hai raggirato, tenendomi nascosto»
«Belle... non posso» esclamò lui abbattuto.
«Sabastian! Ti sei aperto con me mostramdomi una cosa che non volevi che nessuno scoprisse, mi hai mostrato una tua debolezza; e allora perché non puoi spiegarmi quel che fino ad ora mi hai nascosto?» domandò Belle ferita.
«Credimi Belle, io vorrei farlo ma non posso» il ragazzo aveva paura di averla offesa, il fatto è che se provava a dire quel che le voleva dire uscivano altre parole dalla sua bocca. «Ci ho provato ma le parole foca felino dado» appena le parole uscirono dalla sua bocca involontariamente sbatté a terra un piede imprecando. Avrebbe voluto dire che queste uscivano diverse da quelle che avrebbe voluto pronunciare.
«Mi stai prendendo in giro?» sbottò la ragazza furiosa mentre Sebastian lo negava. «Non è divertente, comportati da persona matura Sebastian, cosa vuol dire "ma le parole foca felino dado" e poi una serie di imprecazioni?»
«Non posso dirlo!» urlò lui arrabbiato, non con lei, ma con la maledizione che gli era stata scagliata tempo fa.
«D'accordo...» la voce della ragazza si era abbassata mentre si avviava verso ls porta per uscire.
«Scusami... non volevo urlarti contro...»
«Non fa nulla» aprì la porta.
«Dove vai?» lui le andò dietro e le afferrò il polso costringendola a girarsi.
«A fare una doccia» improvvisò lei mentre Sebastian le lasciava il polso.
«Oh... be'... okay...» lei lo guardò un' ultima volta negli occhi per poi uscire dalla stanza.
Il ragazzo si sedette sul letto chiedendosi se non avesse fatto un errore a mostrarle la sua camera, insieme a una delle sue poche debolezze.

La bella e la bestia •||storia modernizzata||•Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora