I miei sentimenti

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I miei sentimenti

Ero fin troppo agitata per essere appena tornata da una pattuglia. Forse perché ero cosciente del fatto che Gabriel era ancora lì, dietro di me, con i suoi magnifici occhi azzurri sulla mia schiena. Eppure sapevo benissimo che non c’era motivo per tremare in quel modo. Tirai un sospiro di sollievo appena chiusi la porta alle mie spalle. Prima di tutto perché quella sera era, più o meno, filato tutto liscio come l’olio. In secondo luogo...beh, non lo sapevo, sinceramente.

Da dove diavolo era uscito quel “lui è mio”? Certo, come scusa era perfetta e la mia spiegazione che erano creature particolarmente gelose non faceva una piega. Ma a quello ci avevo pensato solo dopo. Io mi ero parata davanti a Gabriel e avevo detto quelle parole perché era quello che pensavo veramente, in quel momento.

Non credevo nemmeno se ne ricordasse, dopo la sbandata presa a causa dell’immortale e la botta alla testa. Speravo da un certo lato che non se ne fosse ricordato. La sua vita sarebbe stata più semplice.

Con mio stupore, mi ero sentita troppo gelosa di una creatura così – diciamocelo – fantastica. E cos’ero io, semplice umana? Non c’erano paragoni, sicuramente. Non avevo quella camminata leggiadra, degna di una modella, non avevo quel fisico perfetto, non avevo quegli occhi ingannevoli, o quella voce vellutata. Ero Kim, solo e semplicemente Kim.

Guardai fuori dalla finestra e vidi Gabriel che si stava allontanando molto lentamente, come se avesse voluto rimanere vicino a me ancora per un po’. Sorrisi sotto i baffi, senza un perché.

Mi tolsi la giacca e posai la balestra sul ripiano della cucina. Andai poi in laboratorio: mio padre, come sempre, alzò solamente gli occhi per un minimo secondo. Si concentrò poi di nuovo sulla sua fialetta fumeggiante, verde fosforescente.

«Com’è andata?», domandò.

«Bene», dissi mentre posavo la giacca sull’attaccapanni, «è andata meglio di quanto credessi e sperassi», confessai.

Sorrise senza togliere gli occhi dal piccolo calice di vetro. «Davvero?».

«Sì, diciamo che mi è stato di grande aiuto».

«Che cos’avete trovato?».

Mi strinsi nelle spalle, irrigidendomi. Cercai di essere comunque il più sciolta possibile. «Un bambino...», iniziai.

«Un altro?», chiese ora guardandomi. Aveva gli occhi stanchi e dispiaciuti, quasi quanto i miei.

«Sì. Conosceva l’altra vampira bambina che avevo trovato, Alice, avrà avuto sì e no la sua stessa età», ringhiai a denti stretti.

«Perché credi stiano facendo dei vampiri così giovani?».

Scossi la testa, sospirando per il nervoso e l’ira. Mi sentivo andare a fuoco. «Non lo so, Gabriel crede sia per usarli come esca. Così avrebbero potuto attirare gli umani più facilmente».

Assunse quell’aria pensosa, facendolo sembrare più vecchio di quel che fosse. O forse era semplicemente l’aria stanca a tradirlo. «Mi pare una teoria molto ragionevole, non ha tutti i torti. Potrebbe sempre essere».

«Indagherò». Avrei potuto chiedere a... Chi? Non vedevo mamma da più di un anno e non avrei potuto sperare sui suoi pochi e piccoli ricordi da umana, per non farmi ammazzare. Oppure un vampiro adulto, poco prima di ucciderlo. Ma dubitavo che mi avrebbe risposto, senza prima tentare in mille modi di farmi cadere ai suoi piedi e, chissà forse, riuscire ad uccidermi. A volte la mia lingua era più veloce del mio cervello. «Poi abbiamo trovato un uomo, probabilmente il padre del ragazzino, una donna che ha tentato, e ci è quasi riuscita, ad incantare Gabriel ed un altro vampiro, che ha ucciso lui. È stato molto veloce e preciso». Mi mostrai fiera del lavoro che avevo fatto. Certo, il merito non era tutto mio, ma per la maggior parte sì. Non nascosi un sorriso compiaciuto a mio padre.

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