Esperienza

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Esperienza

Io e Gabriel andammo insieme in cucina per disinfettarci le ferite. Ero ancora stupita dalla sua bravura e dal fatto che fosse riuscito a colpirmi.

«Hai anche un kit di salvataggio?», chiese ridacchiando.

Presi un po’ di cotone ed acqua ossigenata dal cassetto che era proprio sotto il lavandino. Mamma diceva che era il posto più adatto, giostrando coltelli eccetera, ed era anche il più vicino all’entrata di casa, se mai fosse tornata dopo una notturna con qualche piccolo inconveniente.

«Qualcosa del genere», risposi chiudendo l’anta. Mi avvicinai al tavolo dove si trovava Gabriel. «Fammi vedere», dissi indicando il suo braccio con gli occhi. Li abbassò fino a controllare la sua ferita: in superficie, poco profonda, ma che richiedeva comunque una cura adeguata se non desiderava un’infezione dolorosa. Le ferite stupide erano anche quelle più fastidiose.

«Kim, non è niente», si lamentò quasi seccato, dopo un piccolo sbuffo.

Sospirai e lo guardai storto. Senza dire niente, girò la testa e mi offrì il braccio, graffiato poco sotto la spalla fino a quasi il gomito. Passai un batuffolo di cotone impregnato di acqua ossigenata sulla ferita e subito Gabriel strinse i denti.

«Brucia un pochino», lo avvertii, anche se in ritardo.

«Quasi non lo sento», mentì con voce bassa e sofferente.

Non riuscii a non ridere, scuotendo la testa. «Certo, vedo».

Dopo averlo disinfettato passai alla mia ferita, più corta ma leggermente più profonda della sua. Il cotone al contatto con la mia pelle tagliata era incredibilmente fastidioso, lento. Ogni millimetro bruciava appena ci passavo sopra, anche se era un bruciore sopportabile.

«Che lavoro faceva tua madre?», chiese improvvisamente Gabriel, mentre finivo di disinfettarmi. Alzai gli occhi ed incrociai il suo sguardo glaciale per qualche secondo. «Nel senso, prima di fare l’ammazza vampiri. Dovrà aver fatto pur qualche lavoro prima di decidere di dedicarsi alla pace nel mondo».

«Era una professoressa», risposi tornando al lavandino per posare l’acqua ossigenata ed il cotone. «Di storia più esattamente e lavorava a tempo pieno. Voglio dire, conciliava benissimo i due tipi di lavori: ammazza vampiri di notte e professoressa di giorno».

Non sembrava molto colpito, me lo fece capire dopo un piccolo sorriso quasi invisibile. «Ah, allora avevo azzeccato l’altro giorno quando ti ho chiesto se avevi dei genitori insegnanti», dedusse.

«Sì, avevi ragione, in parte». Mi voltai rimanendo appoggiata al mobile della cucina e guardando il ragazzo seduto al tavolo, proprio davanti a me.

«Ed è così che ha scoperto tutto, vero? I vampiri, le storie antiche. Ha scoperto tutto grazie alla storia, per questo mi avevi detto che ne esistono tanti tipi».

Sorrisi. Che ragazzo brillante, pensai mentre scuotevo il capo.

Non credevo che tra tutti i ragazzi che frequentavano la mia scuola ce ne sarebbe stato uno in grado di capire un discorso così complicato. E a volermi aiutare, soprattutto.

Un temerario, avrei osato dire. O un credulone.

«Sei un ottimo osservatore», risposi sincera. I suoi occhi erano grandi come due lampadine, accese dalla scarsa luce della mia cucina. Ma erano comunque di quel blu oceano, tanto che riuscivo a sentire le onde che si muovevano lentamente al loro interno.

Il mio cuore perse un paio di battiti, dopo che ricambiò il sorriso. Ringraziai, in quel momento, di esser stata appoggiata la mobile. Quella sensazione iniziava a presentarsi troppo spesso.

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