Capitolo 4

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Bucky entrò in negozio come orami stava diventando d'abitudine; dal temuto episodio della scoperta della propria ferita, Steve e Bucky non avevano avuto altre occasioni di rivolgersi anche una sola di quelle poche parole che, sotto sforzo, Rogers tirava fuori per attaccare bottone, e che a suo malgrado non avevano mai l'esito da lui sperato. James ritornò nell'ingresso, dopo essere andato a prendere il disinfettante spray per iniziare il proprio lavoro, accorgendosi della prolungata assenza di Sam alla reception. Era entrato senza trovarlo alla sua solita postazione, immaginando che il ragazzo dalla pelle scura fosse indaffarato a tatuare qualche cliente che di buon ora si era presentato allo studio, ma la presenza di Steve, alle sue spalle, smentì tutto.
«Buongiorno Bucky. Oggi Sam si è preso un giorno libero, gli appuntamenti sono dimezzati, quindi potrai tornare a casa prima.» disse Steve sorridendo, immaginandosi immediatamente il dubbio di Bucky nell'accorgersi di quell'assenza. Non pensò di aver parlato troppo, o di essere stato troppo diretto, ogni ripensamento banale venne cacciato via dall'espressione gentilmente silenziosa del moro.
«Bene.» rispose Bucky sforzandosi di sorridere, con le mani basse e ben nascoste alla meglio, e una ciocca di capelli lunghi dietro l'orecchio. Steve si avvicinò a lui con due passi, accompagnato da movimenti quasi generici, sorridendogli mentre i suoi occhi chiari rimasero incollati a quelli indispettiti di James. Il ragazzo dalla felpa scura aggrottò le sopracciglia buffamente, sorridendo piano, con le labbra carnose e scarlatte. Steve deglutì alla vista di quella sorprendete reazione, scaturita soltanto da un suo gesto involontario di movimento sempre più vicino al moro, che in solitudine, solamente tra loro due, parve essere più a suo agio, in una maniera che Steve, durante tutti i giorni che si erano susseguiti in quel posticino vivace, non aveva mai visto.
«I primi clienti arriveranno dopo la pausa pranzo, così ne approfitterò per lavorare agli stencil, e chissà, anche per fare due chiacchiere con te.» gli disse Steve, forse troppo vicino al viso di Bucky, che indietreggiò lievemente.
«Hai per caso qualche problema agli occhi?» gli domandò ridendo James, con ingenuità quasi infantile. Steve arricciò il naso, divertito, scrollando la testa con fare spiritoso.
«Perché?» gli chiese aprendo le braccia con dolce goffaggine, alzando il tono di voce con irresistibile dolcezza. Bucky strinse le labbra, trattenendosi dal non ridere, e voltando di poco il capo verso l'alto, roteando gli occhi.
«Perché ogni volta che mi guardi te ne esci con qualche occhiolino sghembo, oppure gli occhi ti iniziando a brillare.» rispose James ridendo sotto i baffi, e chinando il mento verso il basso.
«Oh beh, la colpa è tua, è perché sei bello.» Steve sussurrò quella frase senza malizia o solito ammaliamento che si mette in atto nella speranza di conquistare qualcuno. Le sue parole nacquero con sincerità, dolcemente. Solitamente James avrebbe evitato di percepire una risposta simile, si sarebbe imbronciato nel silenzio e sarebbe andato via, ma davanti a Steve, che con la sua espressione docile e gioiosa, colorata dai tatuaggi che disegnavano tutto il suo collo, e soprattutto quella lacrima d'inchiostro sotto l'occhio sinistro, non poterono fare a meno di tenerlo ancorato ancora un po' vicino a quel ragazzo.
«E questa frase dove l'hai letta? Su qualche libro per adolescenti?» lo canzonò Bucky senza offenderlo, al contrario, con un pizzico di dolcezza ancora in voce, quella stessa che appariva rauca e profonda, ma ricca di omonime tenerezze cortesi. Con lo sguardo basso James superò Steve, dirigendosi verso l'ultima stanza, dove lo attendeva il suo lavoro di pulizia poco impegnativo, lasciando da solo Steve, nel proprio entusiasmo ingenuo e spropositato, per essere riuscito a scambiare qualche parola con Bucky. Pregò mentalmente Sam di prendere più giorni feriali, così da poter rimanere solo con Bucky ancora e ancora.
Senza pensarci due volte, Steve seguì Bucky già all'opera nell'ultima stanza, con la scusa di lavorare ad un bozzetto proprio lì, seduto sullo sgabello di pelle nera, con le spalle contro il muro e le gambe accavallate così da poter tenere fermo l'album da disegno nell'interno del ginocchio piegato.
«Mi hai seguito di proposito? Di solito non disegni qui.» disse Bucky come se nulla fosse, continuando a pulire con minuziosa attenzione il carrello metallico su cui erano poggiati i vari tubetto di inchiostro colorato, usando esclusivamente la mano destra, lasciando la sinistra in basso, a tenere il disinfettante.
«Sei di tante parole oggi. In ogni caso, io mi metto all'opera dove c'è la mia ispirazione.» rispose Steve alzando il mento con voce scherzosa.
Bucky si voltò verso di lui, dritto, al centro della stanza, con i capelli poco in disordine davanti agli occhi.
«E dove la trovi l'ispirazione qui dentro? Nell'odore di primavera della pezza umida?» lo canzonò Bucky, senza rendersi conto della fluidità in cui il loro discorso si stava immergendo, non facendo caso alla naturalezza con la quale stava dialogando con Steve, che senza troppe pretese lo aveva messo a proprio agio, con una spontaneità tale da far credere a chiunque sarebbe entrato in quella stanza da un momento all'altro, che i due si conoscessero da tutta la vita.
Steve donò tutta la propria attenzione a Bucky, alzando il capo verso di lui con espressione fiera e calma, l'album dalla copertina rigida ancora in mano, e una matita tra le dita.
«Da te, tu ispiri la mia arte.» gli rispose, facendo improvvisamente calare il silenzio.
Tra di loro in quel particolare giorno fatto di dialogo amichevole tutto aveva preso una strada dritta e priva di ostacoli, finché quella risposta non svoltò in un burrone, in cui Bucky cadde, portando con se anche Steve.
Rogers sorrise, mordendosi il labbro inferiore, e picchiettando l'estremità della matita sul blocco schizzi, in attesa di un'altra sorprendente risposta da parte di Bucky. Il moro deglutì, poggiando i propri attrezzi per pulire sul tavolo splendete, tirando con se un altro sgabello nero con le ruote, trascinandolo sotto di lui fino a quando non si fermò difronte a Steve, abbastanza lontano, sedendosi. La schiena ricurva in avanti verso il tatuatore, il peso del busto sostenuto dal braccio destro poggiato sul ginocchio con il gomito, e la mano a penzoloni tra le gambe, mentre il sinistro rimase flesso con la mano nella tasca della felpa.
«Tu ci stai provando come me, cazzo.» gli disse aggrottando la fronte, con tono scherzoso ma seccato.
«Cosa te lo fa pensare?» gli domandò vagamente Steve, con spiritosaggine.
«Che ti ha detto Natasha su di me? Che sono gay? Ti ha parlato di Brock? Della mia famiglia? Ti ha per caso raccontato la tragica storia di un ragazzo con gravi problemi di...»
«Stai calmo, stai dicendo tutto tu, Nat non mi ha raccontato niente.» lo interruppe Steve sorridendo, per calmare la rapidità con la quale Bucky sbottò quell'elenco di informazioni a lui sconosciute, notando immediatamente il suo nervosismo. James quasi arrossì, sentendosi un vero idiota a sbandierare nel giro di pochi istanti tutta la sua vita, il suo passato, e i suoi problemi. Per una volta Natasha gli aveva dato retta, e non aveva impietosito nessuno con la sua storia da triste reietto della vita.
«Scusami, è che non sono molto socievole con le persone, è sempre complicato per me approcciarmi.» mormorò James vagamente, stanco.
«Questo l'ho notato, sta tranquillo. Non ho bisogno di sapere i tuoi problemi per conoscerti, almeno non per il momento.» rispose Steve sorridendo, con naturalezza.
«Grazie.» borbottò il moro, abbassando lo sguardo. Steve sospirò con il naso, piano, in maniera felice e comprensiva. Portò la matita in bocca, poggiandola tra i denti perfetti, pochi secondi, una scusa perfetta per guardare meglio Bucky. Solo che questa volta Steve non era il solo ad esaminare quel qualcuno difronte a lui, Bucky fece lo stesso con lui.
Barnes non poté fare a meno di notare il vistoso tatuaggio che abbelliva il dorso della mano destra di Steve, tesa lungo il viso, che teneva la matita sulle sue labbra. Un teschio ben sfumato, con gli incavati oculari scuri, ombreggiato da marcate sfumature. Tutt'intorno ad esso, accentuato dai particolari dettagliati sul cranio crepato, una composizione di colore rosso navigava per tutta la pelle, fermandosi sulle nocche e sul polso, dove iniziavano altri disegni. Sulle falangi dei piccoli tratteggi stilizzati di oggetti apparivano schiariti, tanto che Bucky non riuscì a distinguerli bene, soprattutto per la distanza della sua visuale. Steve indossava una canotta larga nera, con il logo dei Nirvana in giallo stampato su. Lui le mostrava con vanto, le sue braccia. Ettari interi di pelle colorata, dipinta per sempre da mille e mille ancora disegni. L'attenzione di Bucky stava per esaminare il susseguirsi di tatuaggi che scendevano dal braccio destro, quando Steve lo abbassò con naturalezza, la matita ancora tra l'indice e il medio.
«Ora sei tu quello che ci prova, mi stai squadrando da capo a piedi.» gli disse richiamando la sua attenzione, con un sorriso provocatorio. Bucky trasalì, mettendosi dritto sul posto, facendo fatica a non apparire imbarazzato.
«Stavo solo guardando tutti quei disegni che hai addosso.» rispose quasi freddamente.
«Ti piacciono?» gli domandò Steve.
Bucky emise un verso d'approvazione vago, dicendo: «Sono fatti bene.»
Rogers sorrise solleticandosi la gola, scuotendo il capo con tenerezza.
«Non pensare che io sia come tutti i tatuatori che si riempiono di tatuaggi a casaccio, magari per esercitarsi o fare scena. Tutti i miei tatuaggi hanno un significato.» Steve se ne vantò con dolcezza.
«Non ci credo.» disse Bucky serrando le labbra.
«Te lo giuro!» fece lui scherzosamente, portandosi una mano sul cuore. Bucky lo guardò con disappunto divertito, alzando un sopracciglio.
«D'accordo, uno soltanto me lo ha fatto Sam mentre eravamo fatti, ma è piccolissimo.» ammise Steve ridendo.
«E quanti tatuaggi hai?» domandò curioso Bucky, tenendosi sulle sue.
«Cento sette.» rispose lui soddisfatto. James rimase sorpreso da quel numero esatto, non riuscendo ad immaginare la proporzione reale di tutti quei tatuaggi su un corpo, non riuscendo a classificarli come tanti, abbastanza o eccessivi. Ne immaginò le dimensioni, i soggetti, i colori e la datazione, tutti addosso a Steve, che aveva fatto del proprio corpo una tela.
«Wow, sono tanti.» gli rispose James pensieroso.
«Vuoi vederli?»
«Vedi! Ci stai provando di nuovo!» sbottò Bucky divertito, mettendosi dritto, e facendo ridere sonoramente Steve.
«Allora che ne dici di andare a cena fuori domani sera? Così potrò provarci con te tutto il tempo, se vuoi.» propose Steve, corrugando le sopracciglia. Bucky rimase con il fiato sospeso a quella proposta, forse stava correndo troppo, forse stava dando improvvisamente confidenza a quel ragazzo. Eppure si trovava così bene con lui, Steve era talmente spontaneo e sincero che James non vide alcun tipo di malizia o tramite per approfittarne. Pensò ai consigli di Natasha e Loki, e si ammonì di doverli ascoltare, di dare una nuova svolta alla propria vita, e di riprenderla in mano, anche se in una piccola parte. Barnes annuì sicuro, rispondendo;
«D'accordo, vada per domani sera, ma ciò significa che oggi dobbiamo comportarci amichevolmente.» si alzò in piedi e riprese i propri attrezzi per lavorare.
«È troppo gay presentarmi ad un appuntamento con un mazzo di fiori?» gli domandò Steve, con una felicità innata nel petto, che sfociò nella sua espressione gioiosa.
«Per prima cosa non è un appuntamento, e poi con dei fiori saresti il finocchio più sdolcinato di Brooklyn.» rise James imbarazzato.
«Come dovrei chiamarlo allora?»
«Direi più cena tra dipendente e capo, una cosa tra amici.» rispose vagamente il moro, dirigendosi verso l'uscio della porta.
«Vada per i fiori allora!» gioì Steve, saltando in piedi e dirigendosi nel suo studio dalle dimensioni ristretto appositamente studiato per disegnare. Non diede il tempo a Bucky nemmeno di ribattere quella risposta allegra, lasciando il ragazzo da solo nella stanza, a sorridere con la testa bassa e i capelli davanti agli occhi. Per un attimo Bucky si rese conto di non aver minimamente pensato al suo braccio, e a quanto il martirio recato da esso lo divorasse secondo per secondo. Era stato soltanto grazie a Steve, tutto merito delle sue parole, dei suoi sorrisi, se quel dannato arto aveva fatto silenzio nella mente di James.
Il ragazzo ebbe quasi paura quando constatò che Steve era stato più forte della sua malattia.

Vita decomposta ||Stucky AU|| ✔Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora