Capitolo 14

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Come argento sulla pelle, era così che a Bucky piaceva immaginare quell'involucro invisibile che ricopriva il suo arto falsamente malato. Distingueva benissimo i solchi molteplici personificati dal luccicante metallo, minaccioso e protettivo, come una macchina da guerra, una protesi fantascientifica. E, dato che Steve era un gran chiacchierone, e che quella notte piovosa la passarono a parlare e mangiare pasti caldi e squisiti, James riuscì a confessare anche quello strano disegno che aveva fatto di se.

«Però, da quanto ho capito, tu saresti completo soltanto senza il braccio, giusto?» gli domandò Steve, increspando le sopracciglia.
Bucky annuì, con voce sottile, timorosa; «Già.» se ne vergognava sempre tanto ad ammetterlo, ma non poteva farci nulla. Spiritum gracchiò una parola che Barnes non riuscì a capire.
«Puoi commissionarmi dei disegni? Per favore.» il tatuatore si mise seduto alla meglio sul divano, fatto da loro un comodo giaciglio di calore familiare.
Bucky rise; «Non c'è bisogno che tu me lo chieda, dopo che ti sei tatuato il mio nome senza preavviso.»
Steve si fece scappare una risata timida che gli cambiò totalità del volto, molto più rosso dall'imbarazzo.
«Dammi qualche ora, vedrai che domani sarà già tutto pronto.» sbottò con fierezza.
«Se mi dici così mi metti un sacco di curiosità addosso.» Bucky lo imitò, sfiorandosi la spalla sinistra.
Non seppero più cosa dirsi, anche se le parole che avevano per la testa avrebbero potuto riempire le pagine di dozzine di libri. Parlarono le labbra, rimanendo mute. Si socchiusero piano, in un intreccio mascolino di peluria e bellezza. Gli occhi di cielo trovarono la notte nelle palpebre calate, mentre i respiri si arrestarono. Amavano baciarsi, anche se era presto, lo adoravano. Che ci mettessero la punta della lingua, o un debole massaggio superficiale, Bucky si dimenticava di essere malato, nuovamente, e Steve si sentiva nudo dai propri tatuaggi. Avevano già imparato a memoria i loro sapori, e non riuscivano più a saziarsi.

La mattina seguente tutto quel brutto tempo era svanito, lasciando alla città qualche macchia d'acqua sull'asfalto e umidità nei palazzi. Bucky si svegliò sul divano, avvolto dalla calda coperta di Steve. Però Steve non c'era. Stranito e confuso, il moro fece un veloce giro perlustrando la cucina e sostando al bagno, rendendosi infine conto che sul tavolino del salotto c'era un biglietto firmato da Rogers. Era uno di quei disegni floreali fatti solo per Bucky. Un garofano, tutto solcato da motivi riferiti allo stile del mandala. In un angolino del foglio Steve gli diceva di mangiare la colazione che gli aveva preparato in cucina, sistemarsi, e di raggiungerlo allo studio di tatuaggi. Lì gli avrebbe mostrato quella commissione a cui aveva lavorato tutta la notte, instancabilmente. Aveva iniziato quando, sfinito, James si era addormentato sul suo petto, iniziando a maneggiare il proprio tablet nell'abbozzo principale. Bucky aveva dormito sulle sue gambe, riuscendo a trasparire nelle ossa e nei muscoli di Steve, che aveva disegnato lui senza nemmeno bisogno di concentrarsi.
Bucky iniziò a sorride nella solitudine accogliente e di quella casa normale che lo resero di un umore straordinariamente pacato. Quella mattina, appena sveglio e con lo stomaco pieno, davanti allo specchio del moderno bagno di Steve, Bucky guardò l'inizio delle proprie cicatrici al braccio, e poi il rasoio poggiato sul lavello, non sentendo quell'impulso disperato di ferirsi.
Respirò profondamente e si passò l'acqua fresca sul viso, annientando l'idea di aprirsi la carne.
Ne approfittò anche per perlustrare timidamente quell'appartamento. Con indosso gli abiti profumati che Steve si era premurato di lasciargli in bagno, ed i capelli raccolti in una piccola coda alta, si diresse per prima cosa verso le gabbie dei pappagalli. Cinguettarono in maniera confusionaria, facendolo sorridere quando il piccolo animaletto storpio si arrampicò alle sbarre della propria gabbia. Bucky si voltò e si accorse di una lavagna appesa alla parete. Piena di frasi affollate e scarabocchi molto belli, venne persuaso dalla voglia di aggiungere qualcosa di se'.
Impugnò il gesso bianco e lungo, sporcandosi i polpastrelli di polvere. Rifletté un instante a cosa lasciare su quello sfondo nero, convito, infine, di scrivergli: "Che poi, le tue labbra sapevano di biscotti. Sei fortunato che mi piacciano i biscotti."

Vita decomposta ||Stucky AU|| ✔Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora