Capitolo 21

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«Anche Steve e Bucky di un universo parallelo hanno fatto l'amore.» disse Steve accarezzandogli i lunghi capelli scuri.
«Quelli che fanno i soldati?» domandò Bucky, spensierato. La testa sul petto nudo del tatuatore.
«Già» Steve si inumidì le labbra con la punta della lingua «hanno trovato un posto isolato nel loro accampamento. Riesci ad immaginarli? Virili e sexy sergenti, a godere nel buio di un qualche campo di battaglia notturno.»
«Scommetto che Bucky ha fatto strillare per bene Steve.» ironizzò il moro, ridendo spiritosamete.
«Direi proprio di sì!» fece eco l'altro.
«E poi cosa hanno fatto?» continuò James, alzando il viso per guardare Steve negli occhi.
«Quando hanno gridato all'orgasmo ancora, ancora e ancora, si sono seduti sotto ad un albero e hanno guardato le stelle. Per fortuna Steve aveva con se la sua sacca, lì dentro c'era un taccuino di pelle. Allora con una matita non poco più grande del suo mignolo ha iniziato a disegnare il viso di Bucky stanco e felice.»
«Dovresti scrivere un libro.» Bucky si voltò su un fianco, poggiando una gamba sulle cosce di Steve. Erano ancora sdraiati su quel letto diventato la loro tomba del piacere, accaldati e completamente nudi.
«Sono più bravo a disegnare che a scrivere.» rispose Steve, abbracciandolo forte, tra un sorriso e un sogno ad occhi aperti.
Bucky protese le labbra contro quelle di Rogers e lo baciò con indiscussa bellezza.
«Già, su quello non ci sono dubbi.»

Steve iniziò a prolungare le affettuose carezze sulla pelle di James. Con le punte delle dita gli aveva reso il viso caldo e rosso, mandandogli sotto pelle una sensazione di pace afrodisiaca.
Poi però quel tatto aveva iniziato a scendere, e non nella direzione in cui Bucky aveva voglia -ancora- ma di lato alla clavicola sinistra. Voltato sul fianco destro, accucciato a cucchiaio con la schiena rivolta a Steve, Bucky si strinse entrambe le mani al petto, tenendo quella ferita stretta nell'altra.
Poggiarsi sul lato del braccio malato non se ne parlava per niente, evitata di dormirci persino sopra, semplicemente perché detestava la sensazione di avere sensibilità, di poggiarsi su qualcosa che non avrebbe dovuto esserci.
Bucky non aveva altrettanto calcolato il fatto che esporre il braccio forte e ferito di conseguenza avrebbe portato ad una qualche reazione da parte di Steve. Era logico, doveva aspettarselo, ma non voleva ammetterlo fino in fondo.
Steve gli sfiorò la spalla, levigata dalle larghe e profonde cicatrici bianche. Alcune erano ancora rosee, come se non riuscissero più a guarire, la pelle in quei punti era sottilissima e per nulla elastica.
Un tremendo brivido alla base della schiena fece irrigidire Bucky velocemente, mentre la mano di Steve andava via via a toccargli l'avambraccio con l'intero palmo.
James gemette, rimase immobilizzato a regolarizzare il respiro e a cercare di non avere una sorta di attacco di panico. Detestava essere toccato in quel preciso punto, anche se si trattava di Steve, non lo sopportava affatto.

Lì si ripresentava un altro difetto, se così si può chiamare, quello che possiedono le persone con addosso una sofferenza. Forse nel caso di Bucky era più difficile giustificarlo, dopotutto il suo non era altro che un disturbo puramente psichico, a parer soggettivo di chiunque poteva essere visto in modi diversi.
Ma prendiamo un altro esempio allora, quello di una persona qualsiasi, vittima di un incidente magari; quest'ultima ha riportato gravi ferite ad una specifica articolazione (es. nº 2, un'anca), con la quale ha dovuto passare un doloroso e lungo calvario per portarla ad una guarigione più o meno buona. Ecco, se qualcuno proverebbe anche solo a dare una pacca scherzosa su quel preciso punto così sensibile e intimo, il soggetto preso in causa come cavia reagirebbe in una maniera non poco singolare.

Bucky si raggomitolò con le ginocchia più vicine al mento, affondando quasi di prepotenza il viso tra le lenzuola.
«Anche i tatuaggi provocano ferite. Il sangue si confonde con l'inchiostro, le piccole cicatrici si richiudono e sono sensibili al tatto.» bisbigliò Steve all'orecchio di Bucky. Da dietro, gli prese la mano sinistra e la strinse forte alla sua, ingorgando i tentativi di Bucky nel cercare di metterla da parte quasi fosse un oggetto indesiderato.
«Io e te» tentennò Steve con voce calda «abbiamo le stesse ossa. Questo non puoi negarlo.»
Bucky esitò in un silenzio di rimorso e timore. Deglutì e ricambiò con debolezza la stretta di mano.
«Ciò non fa sì che mi detesti di meno.» rispose.
«Tu non ti detesti.» gli disse Steve alzando le sopracciglia.
«Ah no?» Bucky parve innervosirsi, indicando il braccio malridotto alzando piano il gomito.
«È proprio perché ti ami, che desideri qualcosa di così drastico.»

Di colpo il moro si voltò sul letto, mettendosi di fronte a Steve. Si sedette e per una frazione di secondo gli guardò il viso raggiante e sereno.
«Quando dici certe cose» bisbigliò Bucky sdraiandosi sul tatautore; il contatto delle loro intimità nude riaccese le voglie «mi spezzi tutte le fottute ossa, uguali e diverse che siano.»
Steve gli prese il capo con entrambe le mani e lo accompagnò su di se, in un bacio.
E le mani, ancora intontite dall'effetto del piacere, non persero occasione per farsi strada lungo schiena, gambe e natiche.
Ridendo, nuovamente annebbiati dalla voglia di sesso, rotolarono e dondolarono su quel letto che ne aveva abbastanza, e poi si spostarono a piedi scalzi e con entusiasmo nel bagno profumato di Steve.
L'acqua troppo calda della doccia subito gli bagnò la pelle; chiusero le ante di vetro trasparenti che iniziarono ad appannarsi in basso, e le gocce che puntellavano le piastrelle, qua e là.
Steve spinse Bucky con le spalle alla parete. Gli prese i fianchi umidi ed impazienti, facendo lamentare James per il contatto quasi impercettibile dei sessi.

Quei baci bagnati, che sapevano d'acqua dolce e tiepida, fecero così tanto rumore da essere paragonati alle urla degli orgasmi arrivati non molto tempo prima, tra le lenzuola.
Steve poggiò un braccio contro la parete per circondare e tener fermo sotto di se Bucky. Gli poggiò la fronte contro la propria, respirando pesantemente sul suo viso con gli occhi socchiusi, mentre l'acqua colava sui volti di entrambi seguendo il percorso delle lacrime.

«Tu vivrai per sempre, come gli amanti nei sonetti di Shakespeare, io ci riuscirò, ti farò restare per sempre vivo.» sussurrò Steve, con Bucky che pendeva dalle sue labbra.
Caro lettore cerca di tenere ben a mente questa confessione, questa promessa, perché sarà importante per la fine. "Nor shall Death brag thou wander'st in his shade, when in eternal lines to time thou grow'st. So long sa men can breathe or eyes can see, so long lives this and this gives life to thee.[1]"
Steve non si riuscì a spiegare perché gli fosse venuto in mente un altro passo di letteratura in un momento simile. Forse era una sottospecie di fantasia sessuale che lo eccitava di più, ripetersi alla mente le poesie? Ne era certo, l'unica cosa capace di rendere più dura la sua erezione erano le mani di Bucky e nient'altro.
Non rimase con la mente ferma a meditare su quei versi che aveva imparato a memoria e scritto sul quaderno colorato che teneva quando frequentava la scuola. Lo sussurrò a Bucky come un lunghissimo e duraturo ti amo, che gli strappò via un gemito intenso.

Steve perse entrambe le loro erezioni in una mano, strofinandole velocemente, in un teso e doloroso contatto. Bucky gli si avvinghiò al collo, gemendo forte. Le cosce gli tremarono, il bacino spinto in avanti istintivamente per assecondare il piacere sul sesso. Bucky chiuse gli occhi e perse ogni riferimento terreno ai sensi. Il suo corpo era sbranato da Steve, ma il suo spirito -se davvero poteva esistere- viaggiava tra gli astri, come se fosse morto e intrappolato nell'eternità.
Entrambi si sentivano ancora bruciare all'interno, ma l'istinto di spingersi e penetrarsi sovrastava quel piccolo e fastidioso dolore.
Vennero, bagnati dal getto d'acqua sulle loro teste, ad occhi chiusi. Le ciglia dalle quali scendevano gocce piccole e pesanti, le mani affondate nei lembi e le bocche fatte a pezzi dai denti.
Sì, era proprio stupendo.

[1] Tratto dal diciottesimo sonetto di Shakespeare "Shall I compare thee to a summer's day?"; «Nè Morte si vanterà di coprirti con la sua ombra, poiché tu cresci nel tempo in versi eterni. Finché uomini respireranno e occhi vedranno, vivranno questi miei versi e daranno vita a te

Vita decomposta ||Stucky AU|| ✔Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora