Capitolo 8

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Quando Bucky si lasciò sistemare le lenzuola addosso da Natasha, la casa della ragazza dai capelli rossi era illuminata dal sole del tardo pomeriggio, e l'aria condizionata accesa al minimo lasciava una brezza piacevole e rassicurante nell'ambiente. Nat conviveva con Clint da pochi mesi, i due passavano le proprie giornate al lavoro, ma la loro casa ordinata e accogliente gli offriva ogni sera un punto di ritrovo romantico e quieto.
Tutto il contrario del posto che Bucky chiamava appartamento.
Natasha ordinò gli ultimi bordi intorno a James, rimboccandogli le coperte quasi fosse un bambino. I fattori erano due; 1) il fatto che lei volesse così bene a Bucky, che proteggesse così tanto la sua vulnerabilità, le faceva assumere comportamento istintivamente premuroso nei suoi confronti, e 2) che il desiderio di maternità della donna la spingeva ad essere maggiormente puntigliosa. Natasha reprimeva questa sofferenza con il suo carattere gelido e apparentemente forte, ma sia Clint che Bucky sapevano perfettamente quanto lei ci soffrisse sul fatto di non poter avere figli. Barton la consolava sempre, le diceva che in qualsiasi altro modo l'avrebbe amata, e che quella sua impossibilità non avrebbe cambiato le cose tra di loro. Ma Natasha ci stava male, era un po' come se anche lei avesse quel braccio continuamente martoriato, la zavorra così simile a quella di Bucky.
In fondo, tutti hanno un dolore costante ed inguaribile nella propria vita.
Natasha era sterile. Loki era stato abbandonato dalla sua famiglia, e adottato. E Bucky era malato, deteriorato fino all'osso.
Tra tutti però, Barnes era quello a soffrire maggiormente.
Sdraiato su quel letto comodo, le pareti chiare, i mobili distribuiti ordinatamente in quella stanza che di sicuro Natasha avrebbe tanto voluto adibire ad un bambino; il profumo delle candele per ambienti si spargeva dal corridoio fino alle stanze di tutta la casa. James era stato da poco dimesso dal pronto soccorso, la notte insonne in quel posto in continuo movimento lo aveva reso più nervoso e demoralizzato di quanto non lo fosse già. La ferita era stata bendata, cucita come fosse stoffa. Tutti si apprestavano ad impedire a James di infettarla, riaprirla, o causarsi altre contusioni, ma nessuno ascoltava le grida strazianti che il suo sguardo emetteva pregante di aiuto.
L'amica gli sorrise, impedì che i cuscini morbidi su cui Bucky era poggiato con la schiena si afflosciassero, gli scostò una ciocca di capelli lunghi dietro all'orecchio, e poi lo rassicurò sul fatto che sarebbe tornata presto, che andava semplicemente a fare una doccia.
«Non ti muovere da questo letto, e soprattutto evita di farti male.» Natasha lo aveva ammonito con voce severa, pur avendo già nascosto tutti gli oggetti contundenti della casa in prossimità dell'arrivo momentaneo di Bucky, ma anche prendersi un momento per darsi una ripulita e lasciarlo così da solo la intimoriva. Bucky era capace di qualsiasi cosa, tranne che vivere.
«Credo che farò una dormita, tu sta tranquilla.» la rassicurò lui, fingendo un sorriso stanco. Natasha serrò le labbra rosee, aggrottò la fronte ed annuì, con la medesima stanchezza che arieggiava tra di loro. Si alzò dal letto, seduta poco prima al fianco di Bucky, e si diresse in corridoio, fino ad arrivare nella propria stanza da letto dove si chiuse nel proprio bagno in camera.
Ecco che regnava nuovamente quel silenzio, quel suono graffiante che divorava la carne di Bucky.
Gli veniva da piangere, ma trattenne le lacrime. Avrebbe voluto graffiarsi fino a staccarsi le unghia, ma pensò a Natasha, e Loki, e infine a Steve.
Propio quel ragazzo gli solleticava in continuazione i pensieri. E James i sentiva così stupido, così ingenuo a ricadere in quell'oblio di attrazione amorosa a cui era stato una sola volta, e che aveva soltanto peggiorato la sua malsana esistenza.
Ma Steve era diverso, anche se Bucky pensava la stessa cosa la prima volta che conobbe Brock, in quel caso sapeva perfettamente che il tatuatore era una persona completamente diversa da quell'uomo che aveva chiamato compagno, e che aveva provato ad amare. Bucky però aveva paura di tendere la mano verso quel nuovo rapporto con Steve, non voleva nemmeno provarci, perché lo terrorizzava. Era lui stesso a farsi spavento, per le cose che poteva fare, non tanto a se stesso, ma agli altri.
Gli altri soffrivano sempre quando lui faceva qualcosa di sbagliato, e gli errori si commettono spesso, specialmente nel suo caso.
La mano destra sgattaiolò via dal tepore rassicurante delle coperte, il braccio sinistro immobilizzato, con la mano poggiata all'aria fresca, formicolante. Bucky evitò di guardare il lato sinistro del proprio corpo, tenne la testa dritta in avanti, le lacrime agli occhi trattenute con doloroso bruciore, e la forza cruenta in procinto di scatenarsi sulla medicazione appena cambiata.
Stava per scoppiare un'ennesima guerra, la sua pelle sanguinolenta, la mente artefice di quell'istinto malato irreprimibile, tutto concentrato in quell'intento, l'unico obbiettivo di Bucky era quella agognata amputazione. Voleva essere un amputato, voleva guarire tramite la sua perdita.
Respirò con fatica, già si pentiva di ciò che avrebbe fatto, la mano ormai vicinissima alla spalla, ma il suono del campanello di casa lo colse in fragrante, e gli impose immediatamente di fermarsi. Bucky rimase pietrificato, il petto in preda a respiri gonfi e violenti, le labbra screpolate appena aperte, circondare dalla barba pungente, scura e lunga. Chiunque fosse alla porta tentò ancora di farsi sentire, imperterrito.
Natasha non sentì assolutamente nulla, Bucky non ricevette nemmeno una sua raccomandazione gridata dalla doccia, del tipo "Vai alla porta!" o "Sarà Loki!".
Barcollante e debole, Bucky si mise seduto, poggiando i piedi scalzi per terra. Indossava dei pantaloncini corti, una t-shirt candida, e la vergogna di quelle ferite scoperte. Lo infastidiva persino che le vedesse Natasha, anche se sapeva che lei non gettava mai l'occhio su quelle terribili cicatrici, lui non lo sopportava.
Zoppicando leggermente verso l'entrata di casa, aiutandosi a camminare con la mano destra poggiata al muro con delicatezza, e il braccio sinistro a penzoloni lungo il fianco, Bucky roteò il pomello dorato della maniglia, aprendo la porta d'ingresso.
Abbassò gli occhi, ma ovviamente si rivolse a Loki con sicurezza e suo solito fare pacato; «Sempre il solito punk insistente...»
Bucky rimase senza fiato. La sua voce morì appena davanti lo stipite della porta, i suoi occhi, carcere del pianto, con la luce del sole proveniente da fuori si arrossarono maggiormente, e rimasero immobili lì difronte a Steve. Il ragazzo, dalla corporatura tanto alta che Bucky aveva quasi dimenticato, corrugò le sopracciglia, come se fosse terribilmente preoccupato, ma sollevato allo stesso tempo. Si bagnò le labbra con la punta della lingua, la barba folta seguì il movimento compiuto dalla mandibola tesa in avanti, ma Rogers rimase fermo, difronte a Bucky, con i suoi tatuaggi silenziosi.
Entrambi respirarono rumorosamente dalla bocca, una fessura sottile da cui le loro parole non riuscirono a passare, mentre i loro sguardi si picchiavano, litigavano per qualcosa che neanche loro sapevano spiegarsi.
«Natasha mi ha detto che hai avuto un incidente.» disse Steve, con la voce bassa, e gli occhi non ancora poggiati sulle ferite di Bucky, senza perdersi in saluti formali o altro imbarazzo. Il moro trasalì di terrore, il panico lo avvolse; Steve avrebbe visto quel braccio, Steve avrebbe scoperto tutto, lui sarebbe morto ancora sul nome della sua malattia, mentre la spiegava. Allungò il braccio destro verso l'appendi abiti accanto a lui, prese una felpa con la cerniera, evidentemente lasciata da Clint dopo aver fatto jogging, e la indossò in fretta e furia, ignorando il dolore dei punti, e i graffi che le cicatrici vecchie e nuove gli procurarono.
Steve lo squadrò velocemente, con timore, ma non riuscì a cogliere la prontezza di James, che gli nascose tutto, che non gli diede il tempo di sapere, di domandarsi, o di guardare. Perché a Rogers importavano di più i suoi occhi, che le sue ferite. Steve sentiva le urla di quello sguardo, quel lamento che tutti ignoravano.
Bucky si mosse sul posto, stringendosi le costole per premere più forte la felpa sbottonata al proprio corpo.
«Nulla di grave, tra qualche giorno potrò già tornare a lavoro.» gli rispose con nervosismo.
«Ero preoccupato.» ritentò Steve. Lo stava abbracciano, con quello sguardo predicatore di contatto, Bucky si sentì già stretto tra le sue braccia.
«Non dovevi, sto bene.» disse il moro, tentando di abbassare lo sguardo.
«Prima quella ferita alla mano, adesso questo, sei davvero sicuro che vada tutto okay?»
«Ovviamente, cosa credi? Sono semplicemente maldestro...» Bucky scrollò le spalle, simulando un tono ovvio e infastidito.
«Ero solo molto preoccupato.»
«L'hai già detto.» sussurrò il moro, il mento basso ma gli occhi puntati in alto verso il viso provato di Steve.
«Lo so, scusami.» con lo stesso soffio di respiro imbarazzato e timoroso, Rogers ammutolì definitivamente Bucky quando la sua mano, inzuppata di inchiostro indelebile sotto pelle, si poggiò sul viso del moro. James indietreggiò istintivamente, paralizzandosi poi del tutto in quella carezza delicata.
Steve non lo abbracciò, sapeva esattamente che Bucky non lo voleva. Non gli prese le mani, perché vide che lui le nascose, e non parlò più, non ne aveva motivo.
Gli toccò semplicemente il volto, si punse il palmo con la barba, gli accarezzò lo zigomo con il pollice, e ascoltò ancora le urla dei suoi occhi, in silenzio.
Un nodo si creò tra i loro respiri, che gli penetrarono in gola, scambiandosi un pezzetto di anima, l'uno dell'altro. Quella di Steve era colorata da mille vernici, invece quella di Bucky puzzava già di putrefazione.
«Tu non l'hai ancora capito, ma io ti appartengo, e la colpa è soltanto tua.» disse Steve, corrugando le sopracciglia, la lacrima tatuata sotto l'occhio sinistro si increspò, così come il tono docile della sua voce.
«Non posso, non sono ciò che cerchi, nessuno cerca uno come me.» brontolò tristemente.
«Credevo sapessi che io metto l'inchiostro in questo mondo bianco, e che non faccio parte del nessuno che non ti cerca.» Steve sorrise, prolungando ancora un po' quella carezza.
«Non è amore, è semplice interesse, si spegnerà anche questo.»
«L'inchiostro non si cancella.»
Bucky ebbe la consapevolezza di Steve, nella sua voce, e nella sua immagine. Steve era quel tatuaggio indelebile che non se ne sarebbe mai andato via. Non poteva fare niente per toglierlo, nemmeno nasconderlo era un'opzione. Con le ferite gli veniva semplice, ma con i disegni gli era impossibile.
«Mi stai facendo scoppiare il cuore, James Barnes, sei diventato sordo per caso? Non lo senti?» Steve rise, allontanando controvoglia il proprio tatto dal volto di Bucky, che ne sentì immediatamente la mancanza.
«Sembri un ragazzino.» sbottò timidamente il moro.
«Lo siamo entrambi.»
James sospirò, dondolando ancora una volta sul posto. Sospirò, e poi alzò gli occhi al cielo, per non rischiare di far sentire il battere continuo del suo cuore anche a Steve.
«Sarà meglio che tu vada, Natasha è sotto la doccia, non credo sia presentabile per gli ospiti.» disse al tatuatore. Gli fece male doverlo cacciare, ma ne sentiva il bisogno, stava annegando nei loro battiti più rumorosi delle sue urla.
«Hai ragione, tornerò a trovarti domani.» Steve annuì, e si voltò verso la strada sorridendo con ingenuità.
«Cosa?» sbottò il moro, paonazzo in viso.
«Natasha sarà contenta di vedermi, sta tranquillo, la farò diventare mia complice.»
«Punk.» imprecò James con un sorriso trattenuto, guardando Steve andare via, e salutarlo da lontano con un gesto della mano, scomparendo poi in sella alla propria moto parcheggiata poco distante dalla casa.
Bucky chiuse la porta, poggiandosi contro di essa con la schiena, liberandosi di un sonoro sospiro sofferente.
«Chi era alla porta? Ti avevo detto di stare a letto.» domandò svogliatamente Natasha, andandogli incontro con i capelli avvolti da un'asciugamano color panna, e l'accappatoio blu indosso.
«Era Steve.» rispose quasi sotto shock.
Natasha si voltò immediatamente verso di lui, ignorando la sua scelta di smalti posizionata sul tavolino del salotto. Lei  diventò rossa in viso, entusiasta e sorpresa.
«Oh Bucky.» mormorò felicemente, portandosi le mani al viso.
«Nat credo di essere fottuto.»
«Perché?» sbottò lei entusiasta, con un sorriso incontenibile sulle labbra, difronte all'amico.
«Perché mi ha fatto innamorare.»

Vita decomposta ||Stucky AU|| ✔Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora