03. Centonove

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NOTE: AU (alternative universe)

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Alec non aveva mai detto retta a nessuno nella sua vita.
Aveva sempre preferito fare di testa propria, e non perchè rientrasse in quella categoria di uomini convinti che l'unico modo corretto di vedere le cose fosse il proprio - o almeno, non del tutto – ma sostanzialmente perché sapeva che della sua famiglia non ci si poteva fidare.
In particolar modo di sua sorella e suo fratello.
Il ragazzo aveva smesso, oramai da tempo immemore, di fare affidamento sui suoi genitori.
Neanche da bambino ne aveva condiviso appieno le vedute, in primo luogo perché le aveva da sempre considerate troppo ristrette e bigotte, secondariamente perché il suo coming out, diversi anni dopo, non era stato accolto nel modo in cui lui aveva sempre sperato.
Maryse e Robert, non erano mai stati l'emblema dei genitori modello, per questo Alec non si sorprese affatto del mutismo imbarazzante della madre e della ostilità del padre di fronte quella rivelazione.
Alec aveva ritenuto opportuno avvisarli, principalmente per il profondo senso del dovere che lo aveva da sempre contraddistinto.
Con Isabelle e Jace invece era stata tutta un'altra storia.
Sospettava avessero intuito la realtà dei fatti persino prima di lui, e che di comune accordo, avessero deciso di rispettare i suoi sentimenti lasciandogli il tempo di elaborarli.
Izzy e Jace sapevano perfettamente che Alec sarebbe stato in grado di affrontare quel discorso con loro solamente dopo essere sceso a patti con se stesso.
Erano stati abbastanza pazienti con lui, si erano limitati a guardargli le spalle, supportandolo nelle sue scelte e non facendogli domande, nemmeno quando Maryse aveva iniziato a chiedergli - con una cadenza regolare ed una leggera insistenza - perché non le avesse ancora presentato nessuna ragazza.
Alec alzava sempre le spalle fingendo disinteresse, piantava i suoi profondi occhi blu sul pavimento e rispondeva dicendo che nessuna aveva ancora catturato la sua attenzione.
Non era mai stato abile a mentire, ma in fin dei conti quella non poteva considerarsi certo una bugia. Nessuno infatti - almeno fino a quel momento - lo aveva incuriosito a tal punto dal voler desiderare di più e lui ne era stato segretamente sollevato, poiché così poteva tranquillamente limitarsi a liquidare tutta quella grossa faccenda su due piedi, evitando spiacevoli inconvenienti.
Infondo, si ripeteva, una mezza verità valeva più di una menzogna.
Quando finalmente il liceo era finito Alec si era sentito come se i polmoni fossero tornati a funzionare dopo un periodo di tempo indefinito.
Sì riscoprì in grado di respirare, di vedere il mondo per quello che realmente era: una gabbia carica di pregiudizi, con il potere di schiacciare chiunque non avesse avuto abbastanza forza e, soprattutto, coraggio di combatterli.
Ed Alec lo aveva fatto.
Ricordava benissimo il periodo in cui la realizzazione di quello che era lo aveva terrorizzato.
Si era sentito imperfetto, difettoso, sbagliato ed aveva preferito nascondere la testa sotto la sabbia piuttosto che affrontare la realtà.
Perciò, dopo una vita passata a nascondersi, Alexander aveva deciso di non voler essere una di quelle persone che preferivano essere invisibili piuttosto che combattere per i propri ideali. Lui voleva fare la differenza, voleva sentirsi libero di scoprire il mondo, senza esserne succube.
A diciannove anni il più grande dei Lightwood aveva finalmente preso in mano le redini della sua vita, aveva cambiato città, si era iscritto all'università ed aveva fatto coming out, in primo luogo con le due persone che amava di più al mondo e secondariamente con tutti gli altri.
Aveva avuto pochissime relazioni da quando era sceso a patti con la sua sessualità, due in totale, senza contare il ragazzo al quale aveva dato il primo bacio.
Ricordava ancora quell'episodio con incredulità ed un pizzico di divertimento. Era andato ad una festa quella sera, Izzy e Jace ce lo avevano praticamente trascinato di peso e lui si era ritrovato in un salone, gremito di ragazzi che ballavano e si ubriacavano come se non ci fosse un domani, sperando che la serata potesse volgere al termine al più presto.
Alec si era rintanato in un angolo della stanza per quasi tutto il tempo, bevendo intrugli disgustosi nell'intento di ignorare i rimproveri di Jace riguardo la sua totale incapacità di prendere l'iniziativa.
Aveva gentilmente rifiutato le avance di qualche ragazzina e declinato un paio di inviti a ballare, qualcuno gli aveva anche chiesto di giocare a 'dieci minuti nello stanzino' ma Alec si era limitato a scuotere la testa con pazienza continuando a sbuffare e maledire i suoi consanguinei per gran parte della serata.
Fu mentre Alec stava realmente prendendo in considerazione l'idea di strangolare suo fratello che la sua attenzione fu catturata da un ragazzo al centro della stanza, impegnato in un balletto ridicolo – su una musica altrettanto ridicola – intento a strusciarsi senza pudore alcuno contro un ragazzo biondo poco più alto di lui.
Il moro era rimasto a fissare la scena con aria accigliata, impressionato dall'audacia del ragazzo e colto da un improvviso impeto di coraggio – che in seguito attribuì alla quantità di alcool ingerita – rivolse al fratello un'aria di sfida << quindi io non avrei iniziativa? >>
Jace si era limitato a sorridergli sornione << il tuo spirito d'iniziativa è direttamente proporzionale al tuo senso estetico >> disse indicando con il mento il maglione logoro e dal colore indefinito che Alec indossava quella sera.
Il ragazzo lanciò un'altra occhiata al centro della stanza, poi finì di bere il suo intruglio ed assottigliò lo sguardo << sta a vedere >> lo sfidò prima di precipitarsi dal ragazzo ballerino e ficcargli la lingua in gola.
Tutto quello che riuscì a ricordare di quella serata furono le risate sguaiate di Jace e le battute derisorie di Izzy, una volta che il biondo si fu assicurato di raccontarle tutti i dettagli salienti.
La prima relazione seria Alec l'aveva avuta qualche tempo dopo, con un ragazzo conosciuto durante i corsi universitari. Erano stati insieme per circa otto mesi prima di stabilire - di comune accordo - di voler intraprendere strade completamente diverse.
All'età di ventiquattro anni aveva conosciuto il suo secondo interesse amoroso, la storia più importante – e di fatto l'unica – fino a quel momento. Alec l'aveva incontrato durante un corso di difesa personale, erano usciti insieme cinque volte prima di iniziare una vera e propria frequentazione.
Ad Izzy non era mai piaciuto, ma lui non si era lasciato condizionare dai commenti poco carini e lusinghieri della sorella, si era limitato a stringersi nelle spalle e ricordarle che era lui quello a doverci trascorrere il tempo.
La storia era durata circa due anni e nonostante non avesse pienamente raggiunto le sue aspettative Alec si era sempre impegnato al massimo per farla funzionare. Aveva investito tempo, dedizione, sacrificio ed una considerevole dose di buona volontà in quella relazione, proprio per questo quando, circa una settimana prima, il suo compagno lo aveva lasciato con un misero post-it a forma di farfalla abbandonato sulla penisola della cucina Alexander era andato su tutte le furie.
Isabelle non aveva neanche provato a nascondere il suo sollievo quando – giorni dopo - era venuta a conoscenza della rottura, nemmeno quando il fratello glielo aveva sottilmente fatto notare. Jace invece era stato fin troppo bendisposto a trovargli subito un rimpiazzo, aveva lanciato uno strano sguardo d'intesa alla sorella e poi si era piantonato a casa di Alec trascorrendo buona parte del pomeriggio davanti il suo laptop.
Alla fine, era uscito fuori che Alec avrebbe dovuto recarsi ad un appuntamento quella sera.
Il diretto interessato aveva opposto resistenza in ogni modo possibile.
Aveva prima provato a giocare la carta del cuore spezzato, dilaniato dal dolore e secondariamente quella del malato terminale, ricevendo in cambio solo due paia di sguardi ricchi di biasimo.
Alec allora aveva provato a segregarsi in camera, ma quando Izzy gli aveva urlato che se non si fosse presentato a quel dannato appuntamento avrebbe distrutto l'intero appartamento con i suoi tacchi il più grande dei Lightwood aveva abbandonato tutti i suoi piani di sabotaggio ed era uscito dalla stanza.
Non era comunque riuscito a farsi dire molto in merito a quel fantomatico appuntamento.
Sapeva solo che avrebbe dovuto indossare un abito formale, preferibilmente scuro - cosa che gli aveva fatto tirare un sospiro di sollievo - e che si sarebbe dovuto presentare alle 22.30, puntuale come un orologio svizzero, ad una regale e lussuosa tenuta fuori città.
Il ragazzo ci aveva rimuginato sopra per parecchio tempo, chiuso nella sua decappottabile grigia, le nocche strette intorno al volante e lo sguardo assente. Era stato tentato di scappare via ed inventare una scusa qualsiasi, o magari mentire, pur consapevole che quei due rompicoglioni avrebbero presto scoperto il suo inganno e lo avrebbero sottoposto alle peggiori torture.
Sospirò affranto e diede un'occhiata all'orologio digitale della sua auto.
Il quadrante segnava le 22.27, era solo questione di un attimo, avrebbe semplicemente dovuto girare la chiave, mettere in moto e fuggire via.
Ma quella era una cosa che Alec aveva smesso di fare da tempo, si disse – carico di un'insolito senso di ottimismo – che tutto sommato aveva davvero bisogno di distrarsi un po', infondo, cosa mai sarebbe potuto accadere di male?

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