sept.

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Ashton è per metà sopra di Luke, le sue braccia attorno alle sue spalle, la testa nascosta nell'incavo del suo collo e le gambe intrecciate con quelle del biondo.

Luke chiude gli occhi per godersi la sensazione del suo corpo a contatto con un altro ed il calore di quest'ultimo. È da tanto che non si sveglia con le braccia attorno ad un'altra persona, femmina o maschio che sia e nel suo piccolo spera di poter rimanere sempre così. Il respiro del ragazzo dai capelli ricci colpisce la base del suo collo e ridacchia perché solletica, ma è una cosa che gli piace. Tanto.

Quando sente Ashton muoversi, Luke fa finta di dormire e fa di tutto per non aprire gli occhi o muoverli da sotto le palpebre. Ashton apre piano piano gli occhi e un leggero odore di dopobarba gli invade le narici; solleva la testa dal collo della persona e cerca di capire dove si trova e soprattutto chi lo stringe così forte.

Aggrotta le sopracciglia sorpreso nel vedere il viso di un Luke - per finta - addormentato e una fitta alla testa lo porta a posarla di nuovo nell'incavo del biondo, che fa di tutto per non muoversi. Vuole tanto alzarsi, andare in bagno e magari rimettere tutto l'alcool ingerito quella notte prima di prendere degli antidolorifici, ma si trova bene in quella stretta - anche se quella di Luke - che non accenna a spostarsi.

Il biondo però non riesce a fingere più di tanto e muove le gambe per far capire ad Ashton che anche lui è sveglio. Il riccio alza il capo e si ritrova davanti gli occhi blu di Luke che già lo fissano.

"Buongiorno, Luke. Cosa ci facciamo qui? Soprattutto a torso nudo?" chiede il riccio confuso. Gli eventi della sera precedente non gli sono ancora chiari, è tutto offuscato nella sua testa.

"Hey, Ashton. Non ne ho la minima idea. Ho la testa che mi scoppia," mormora Luke, abbastanza confuso anche lui.

"Non voglio alzarmi," sussurra Ashton, più a se stesso che a Luke. Anche a lui mancava stare tra le braccia di qualcuno, soprattutto quelle di Madison, ma quelle del biondo non le trova male.

Il biondo lo sente e ridacchia, accarezzandogli la schiena con la punta delle dita. "Allora non alzarti. Dormiamo."

All'improvviso la porta della camera si apre e i due sobbalzano per lo spavento. Dentro entra Michael, che sembra abbastanza tranquillo per uno che ha passato la notte precedente a bere.

"Svegliatevi, merde! Dovete andare a casa, mia madre sta venendo a visitarmi e la casa è un bordello. Non vorrei trovasse anche voi avvinghiati come piccioncini," enuncia Michael, battendo le mani per farli svegliare del tutto e anche per far incazzare i due.

"Gesù Cristo, Michael. Non rompere i coglioni. Chiudi quella fogna," mormora Ashton, non ancora pronto ad alzarsi.

"Da quanto tempo è che parli in questo modo, Ashton? La tua bocca era così innocente prima," scherza Michael, stuzzicando il riccio che afferra un cuscino e lo colpisce in faccia.

Michael emette un verso di lamento e Luke ridacchia, battendo il cinque ad Ashton. "Sei una merda, Ashton. Come puoi farmi questo?"

"Sei tu che mi stai cacciando di casa, non io," detto questo, Ashton si alza di malavoglia e si butta dall'altro lato del letto, come uno sfaticato, guardando uscire Michael dalla stanza.

"Mi dicono che la mattina sei pimpante, Ashton," scherza Luke, mentre si alza. Si passa una mano tra i capelli lunghi biondi e ribelli, per poi allungare le braccia in alto per stiracchiarsi. Tutti i suoi muscoli si flettono e Ashton lo fissa, ma Luke non se ne accorge - per la fortuna del riccio.

"Tu non ti alzi?" Luke domanda al ragazzo ancora steso sul letto con lo sguardo perso nel vuoto.

Il biondo schiocca le dita davanti al volto di Ashton e questo scuote la testa, ritornando sulla terra. "Eh? Sì, sì. Uhm... ora mi alzo, sì. Mi riaccompagni a casa?"

"Non ho la macchina, Ashton."

"È per questo che vieni a piedi a lavoro?" Luke annuisce. "Ah, ma io ho la macchina giù," si ricorda Ashton e si alza anche lui.

Alla fine Ashton e Luke recuperano le loro magliette e chiedono a Michael un'aspirina per il mal di testa. Dopo averla presa, Michael li caccia dalla porta del retro, dato che la madre è già arrivata, e i due entrano nell'auto di Ashton.

"Vuoi entrare? Sai, non vorrei tu ti mettessi alla guida con questo mal di testa," offre Luke, visibilmente preoccupato. Ashton accetta l'offerta e, dopo aver parcheggiato l'auto, entra in casa con Luke.

"Vivi da solo?" Ashton domanda, notando il silenzio nella casa e le cose tutte al loro posto.

"Sì, mi sono trasferito qui da Perth," replica Luke. Al nome della città dove è cresciuto, Luke si intristisce. Non per la città, ma per i ricordi brutti legati ad essa.

"Da Perth? È molto lontano."

"È stato fatto di proposito. Volevo iniziare una vita lontano da lì," ammette il biondo, sedendosi sul divano ed invitando Ashton a sedersi vicino a lui, cosa che il riccio fa.

"Posso chiederti perché?"

"Non voglio parlarne," mormora Luke.

Gli occhi azzurri del biondo vagano per la stanza, perché cerca di non dire qualcosa di così personale a qualcuno che ancora conosce poco. Invece gli occhi verdi e curiosi del riccio sono fissi sul viso del biondo, che riesce a sentire la pelle bruciare sotto quello sguardo. Luke vuole tanto guardarlo e parlare con Ashton, vuole sfogarsi ed essere capito almeno da qualcuno perché agli occhi del biondo, Ashton è una persona che non giudica e molto seria.

"Luke, di me ti puoi fidare," sussurra con tono dolce Ashton. Avvolge un braccio attorno alle braccia di Luke e lo porta a sé, stringendolo in un abbraccio. Luke scuote la testa, portando le sue braccia attorno ai fianchi di Ashton.

I minuti passano e Luke sente gli occhi pizzicare, perché qualcuno per la prima volta non lo costringe a fare qualcosa. E quel qualcuno è Ashton. Quel qualcuno lo sta tenendo stretto e Luke si sente voluto bene. Può essere la persona più estroversa del mondo, la più intraprendente e la più gioiosa, ma è soprattutto anche la più fragile. È la persona che ha più bisogno di un abbraccio o di una carezza che di un regalo, di una persona che lo ami per quello che è e che gli faccia scomparire quella sensazione di non essere accettato e amato. E, tra le lacrime, si lascia sfuggire una piccola cosa delle tante.

"Qualcuno è rimasto in coma per colpa mia."

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