Capitolo 03

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Agere aut mori.

L'idea era più facile a dirsi che a farsi e, mentre appoggiava le mani alla parete del corridoio, Ivy rivolse una preghiera ad ogni divinità studiata a scuola. Forse, si disse, qualcuno l'avrebbe ascoltata.

Si mosse piano, superando con una falcata un mucchio di vetri rotti e imprecò mentalmente quando un sinistro crack provenne dalla suola di una scarpa. Il brusio delle creature si zittì e Ivy per un istante vide letteralmente nero.

Gli esseri però ripresero a confabulare tra loro, evidentemente presi da problemi più urgenti, e lei tornò a puntare gli occhi sulla scalinata a cui si avvicinava progressivamente. Più però la salvezza le appariva a portata di mano, maggiore era la sensazione che il disastro fosse imminente.

Ho visto troppi film.

Il peso dello zaino sembrava essersi triplicato e uno strano odore sembrava provenire dalla stanza in cui si erano riunite le creature. Il puzzo somigliava a un'accozzaglia di cibo avariato. Era opprimente e soffocante, e rischiò di provocarle conati di vomito.

Aveva ormai raggiunto il limite della parete, prima che si interrompesse per lasciare il vuoto della porta scardinata, e poteva distinguere le voci di tutte e sette le figure umanoidi.

Avrebbe dovuto agire -quasi le sembrava di sentire suo nonno ripetere il vecchio motto di famiglia- ma ora che era lì, ferma sul baratro del destino, si sentiva debole e impotente, terrorizzata.

Una volta, ricordò Ivy, durante un'escursione in montagna si era persa e aveva vagato per ore alla ricerca della tenda dei nonni, così a un certo punto era scivolata lungo una scarpata. Aveva ruzzolato in discesa per diversi metri e la caduta era stata fermata da un tronco d'albero vecchio e marcio che le aveva evitato di finire in un crepaccio. Era stato in quel momento, mentre il vuoto era spiegato davanti a lei, che Ivy aveva compreso il significato della parola terrore.

Terrore era stato anche risvegliarsi trecento anni nel futuro, sola e indifesa. Tuttavia la paura che provava in quel momento era più reale, più fisica, e nulla riusciva a darle un minimo di conforto.

Era finita in un incubo vero e proprio, il livello di un videogioco che occorreva giocare decine e decine di volta prima di trovare la soluzione esatta per superarlo.

Quando si rese conto di avere il respiro accelerato e che i sette avrebbero potuta sentirla fu costretta a mettere una mano davanti alla bocca nel tentativo di smorzare quel suono.

Lungo la strada per arrivare fin lì aveva raccolto un frammento di vetro così lo riprese dalla tasca in cui l'aveva posto e si accucciò sul pavimento, sporgendolo verso la stanza.

Poteva cogliere ben pochi dettagli nei riflessi sulla superficie e non era nemmeno tanto sicura che quel metodo di spionaggio fosse valido all'infuori delle serie tv. Lo ripose nella tasca quasi subito, timorosa che un qualche riflesso potesse rivelare la sua posizione e si rimise in piedi. Le scale distavano pochi metri e se si fosse data una mossa...

Il click di una serratura elettronica che si disattivava la portò a stringere convulsamente le mani sul coltello. Le creature emisero dei grugniti soddisfatti che la fecero deglutire per l'ansia di non volerne capire il motivo. I pochi neuroni attivi che ancora le funzionavano correttamente la spinsero a trattenere il fiato e a superare come una scheggia la porta.

Ivy non si voltò nemmeno un secondo, non si azzardò a capire cosa stesse accadendo né si domandò se qualcuno l'avesse vista. Si mosse rapida e silenziosa, tanto che lei stessa se ne stupì, e continuò così finché non poggiò il piede sul primo gradino della scalinata. Il fiato che aveva trattenuto la costrinse a espirare di colpo mentre i polmoni la spingevano a immettere nuovo ossigeno.

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