Chris Wolf, 11 Settembre 2016
Vagamente ricordo che giorno sia, forse perché poco mi importa. E' uno come i tanti che sono passati. Non fa differenza se è il primo giorno di gennaio, di settembre, di novembre o di qualsiasi altro mese. Per me il tempo è diventato una semplice linea. Non provo particolare interesse a sapere a che punto di essa si trovi la mia vita. Nemmeno il momento in cui scendo dall'auto e vado al furgone del trasloco merita di conoscere in quale punto si trova. Gli scatoloni non sono poi così pesanti. O forse sono così persa nel nulla totale della mia mente da non far caso al loro peso; da non far caso a Finn che si avvicina e mi toglie lo scatolone dalle mani e mi dice bruscamente qualcosa, ma io non lo sento. O meglio, non lo ascolto proprio. Ho smesso di farlo da un bel po', da quando ha iniziato a essere un'altra persona. In quelle pozzanghere azzurre che formano le iridi dei suoi occhi non riconosco mio fratello, nemmeno nel viso pallido e nell'espressione seria e delusa che ormai lo accompagna da tre anni. Non è deluso da me o dalla vita come invece lo sono io. E' deluso da se stesso, dalle sue scelte e da ciò che il 13 Marzo del 2013 è stato e che non si può cambiare. Deluso di non aver potuto fare di meglio, di non essere riuscito a salvarci tutti e tre. Io non penso sia colpa sua, infatti mai mi è passato per la mente di incolparlo per l'incidente. Ho già il mio colpevole, con la quale non ho esitato a rompere ogni contatto. Con la quale ho preso ogni tipo di distanza. Il problema è che a volte si ripresenta, mi tenta e cerca in tutti i modi di farsi perdonare.
Non so se mai avrò intenzione di perdonare, penso.
La musica è stata fatale quel giorno per noi ed è stata la causa della sofferenza della mia famiglia, perché mai dovrei perdonarla dopo tutte quelle lacrime versate per Molly? Dopo che il dolore ha pervaso il cuore di mia madre, mio padre, mio fratello, i miei nonni, i miei zii e miei cugini. Ma non solo, come posso perdonarla per aver portato via una parte di me. Varco la soglia della nostra nuova casa, e non solo quella. Sto entrando in una nuova vita, ma in questa non ci sarà mai la felicità della precedente. Anche se sarebbe così bello sperarlo, ma anche così sciocco e inutile. Le scale in legno sembrano nuove e non scricchiolano molto. Meglio, sono così abituata ormai al silenzio che ogni nuovo suono e rumore per me è come un pugnale pronto a colpirmi. Posso solo immaginare alla nuova scuola come sarà. Anni prima l'idea dell'arrivo del primo giorno mi esaltava, ora invece non mi fa né caldo né freddo. Ma una cosa a cui dovrò abituarmi è di sicuro agli sguardi dei miei nuovi compagni, che indagheranno osservandomi per capire che cosa abbia che non va. Beh, quasi tutto non va in me. Nel mio sguardo, nel mio modo di parlare, nel mio viso candido e nel sorriso inesistente sulle mie labbra rosee.
La mia camera è semplice e ci sono le cose essenziali. Nella parete di fronte a me al centro c'è un letto da una piazza e mezzo, alla quale cambierò sicuramente il copriletto. Quello che ha è orribile e antiquato. A destra della stanza c'è poi un armadio di due metri d'altezza a due ante, largo circa tre metri e profondo uno, con due cassettoni nella parte finale di esso. Mi piace, mi piace la semplicità di quei mobili spogli. Quel pensiero da un lato mi sorprende, perché non penso possa esserci rimasto molto a piacermi nel mondo se no le cose essenziali. C'era un piccolo comodino con tre cassetti accanto al lato sinistro del letto, infine una scrivania occupa una parte del medesimo lato della parete, accompagnata da una piccola libreria vuota. Non ho molti libri con me, quindi di sicuro almeno metà rimarrà vuota. Poso la valigia sopra il letto e mi siedo dall'altro lato, proprio di fronte alla finestra che dava sulla stradina del quartiere. Occupa una piccola porzione della parete destra. Nella stanza predilige il color crema delle mura, mentre il soffitto é bianco. Proprio come il comodino, l'armadio e la scrivania. Solo la libreria si distingueva con il suo rosso scuro verniciato sul legno di ciliegio con la quale deve esser stata costruita. Mi fu più che naturale sbuffare, c'è tanto lavoro da fare. Quel colore doveva sparire dalle pareti. Il bianco dell'armadio e del comodino anche. Forse avrei lasciato bianca la scrivania. Forse. La verità è che non avrei fatto niente per cambiare la mia nuova stanza. Che serve farlo se so già che non mi regalerà nessuna soddisfazione interiore?Apro la valigia e impiego i successivi dieci minuti a disfarla completamente, sistemando ogni cosa al suo posto. Il resto del mio primo pomeriggio a Fort Saint James lo passo ad aiutare i miei e Finn a scaricare il furgone. Ogni tanto guardo intorno e a volte scorgo qualche bambino che va in bici, che si ferma e ci guarda. Oppure qualche vecchietta in compagnia della propria figlia quarantenne, se no oltre, che curiosa si chiede probabilmente da dove veniamo. A quanto pare non sembra comune qui vedere facce nuove. Non devono essere abituati. In ogni caso, tutti quegli sguardi non mi piacciono per niente. Però, uno in particolare mi turba leggermente appena me ne accorgo. E non viene dalla strada, da un bambino o da un'umile anziana. No, viene dalla finestra della casa di fronte la nostra. Fisso in quel punto e mi ritrovo a scrutare due occhi scuri che mi osservano.
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Lake's Symphony
ChickLit" Due adolescenti segnati dalla morte delle persone che amavano di più al mondo. Ma che, forse, insieme possono colmarsi unendo le loro melodie sul riflesso offuscato delle loro vite. E, chissà, ritrovare quell'amore per la vita che avevano perso e...