8. Il villaggio fantasma

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Una scoperta piuttosto deludente, le due piccole strutture in legno, divenute tane di alcuni conigli - uno in meno dopo pranzo - coperte dalla vegetazione, facevano parte di un piccolo villaggio abbandonato da chissà quanti secoli. Non era proprio il tipo di città in cui il giovane sperava di giungere.

Inoltre era tornata la voce del silenzio, che sembrava invitarlo a non addentrarsi tra le rovine coperte di muschio e rampicanti. A completare il quadro inquietante vi erano alcuni alberi dal tronco intagliato con strani simboli, forse runici. Non che fossero inquietanti i simboli, s'intende, ciò che davvero era inquietante era quanto alcuni di questi sembrassero incisi da poco - tre, quattro giorni al massimo - benché il villaggio apparisse abbandonato dalla notte dei tempi.
Eppure un lato positivo riuscì a trovarlo in tutto ciò - due contando il coniglio. Gli antichi abitanti di quel posto avevano costruito un modesto ponte di pietra che nessuno, neppure il tempo, si era mai preso la briga di distruggere. L'occasione perfetta per attraversare il fiume!
Il ponte era abbastanza stretto, giusto il necessario per far passare due modesti carri nei sensi opposti probabilmente, ma incredibilmente lungo, giacché attraversava tutta la larghezza del fiume con archi di dimensioni diverse che posavano sui numerosi isolotti naturali. Quando Viserys stava per salirci sopra, la voce del silenzio non tardò a farsi sentire. Stavolta però non era il solito boato, sembrava più il rumore di un vero tuono. Eppure in cielo non vi era alcuna nuvola grigia, anzi, le poche che aveva visto erano state allontanate dal vento. Passò qualche secondo. Di nuovo un tuono, seguito subito dopo da un terzo. Poi più niente.
Il giovane si girò verso il villaggio abbandonato. Non c'era nulla fuori posto. Nulla a parte gli alberi: alcuni avevano una nuova incisione, così nuova che quasi si poteva sentire ancora il dolore delle piante mentre ne veniva intagliato il legno. Nonostante le impennate del cavallo spaventato, Viserys non potè fare a meno di essere attratto da quello spettacolo in grado di provocare tanto fascino quanta inquietudine.
Legò dunque Vento della Prateria ad un albero, per non farlo scappare, poi si incamminò - dopo ad aver recuperato il mantello - su quella che un tempo doveva essere stata la strada maestra di quel villaggio spettrale.
Per tutto il tragitto, niente. Non una bestia feroce o un mansueto uccellino, né tantomeno un insetto, diede segni di vita. Persino i conigli sembravano spariti.
Il giovane si chiese se stesse delirando. Almeno finché non raggiunse l'antro di una caverna.

Di nuovo un forte boato, ma stavolta proprio dall'interno della caverna. Rabbrividì, ma non potè opporsi al desiderio di addentrarsi nelle viscere della terra, persino quando trovò una torcia inspiegabilmente accesa.
"C'è qualcuno?" urlò il giovane, poi mentì "Uscite, sono disarmato."
Niente, solo il solito silenzio. Provò a ripetere la frase in valyriano e in lingua dothraki, coerentemente con le proprie - non proprio eccellenti - capacità.
"Non sei uno di loro, sei un andalo, sei buono. Perché mi menti? " Mormorò una delicata voce femminile nella lingua comune.
Il ragazzo trasalì. Intorno non c'era nessuno.
"Con chi parlo? Dove sei? Chi sono questi loro?" Chiese lui spaventato.
"Loro sono gli uomini malvagi, quelli che hanno sottratto la foresta al mio popolo. I dothraki li hanno puniti, come era giusto, ma sono tornati."
Della donna non si vedeva nemmeno l'ombra, né si sentivano i suoi passi sulla pietra.
"Il tuo popolo? Tu chi sei? Perché non ti vedo?"
"Non mi vedi perché noi oramai siamo spettri, io come il mio popolo. Il mio nome è Marie."
"Spettri? Non capisco..." Non capiva davvero.
"Ci sono cose che non puoi ancora comprendere. Ma promettimi che quando lo farai, ci vendicherai, vendicherai il mio popolo, Viserys Targaryen."
"Io... Cosa? Come sai il mio nome?"
"So molte cose, so chi sei, cosa desideri, dove sei stato e dove vuoi andare. So persino che nel tuo cuore mi hai appena promesso ciò che ti ho chiesto." Rispose lei, come se fosse una sorta di oracolo.
"Ciò che desidero al momento sono delle risposte..."
"Sappiamo entrambi che non è vero."
Viserys si sentì allora togliere il mantello, slacciare la cintura e sbottonare la camicia. La torcia che teneva in mano cadde e si spense, il buio invase la grotta.

L'indomani si svegliò, nudo sul pavimento freddo della caverna, questa illuminata dalla torcia che si era misteriosamente riaccesa.
"Marie!" Chiamò. Nessuno rispose.
"Marie!" Provò di nuovo. Niente.
Provò e riprovò più volte, ma nessuno rispose mai. Raccolse i vestiti, li indossò e prese la torcia per cercare l'uscita. Marie era reale? Cos'era successo davvero nella notte?
Quando rivide i raggi del sole si voltò verso l'oscurità della grotta.
"Marie!" Urlò un'ultima volta.
Udì un tuono simile a quelli del giorno prima.
"Te lo prometto, qualunque dannata cosa stia succedendo."
Gli rispose il silenzio.

Proseguì la sua passeggiata attraverso le rovine con un sorrisetto stampato in faccia.
Sorriso che gli potè cancellare solo la vista di un'enorme pozza di sangue ai piedi di Vento della Prateria. Rimase un attimo spaventato, temendo fosse successo chissà cosa. Il cavallo aveva un lungo graffio da poco sotto l'occhio alla spalla, ormai già quasi cicatrizzato. Il sangue doveva appartenere alle due volpi stese a terra lì accanto, che avevano probabilmente attaccato il cavallo sottovalutandone la forza.
Sollevato, Viserys tornò subito a sorridere e abbracciò il collo del suo compagno di viaggio. "Bravo, Vento della Prateria, ne hai fatte fuori due, questa cicatrice sarà segno del tuo coraggio."
Stava davvero parlando ad un animale? Concluse che non gli importava e nondimeno che era ora di fare colazione - peraltro scoprì che la carne di volpe non era affatto male - per poi attraversare il fiume, camminando sul ponte accanto al destriero.
Purtroppo però, si accorse presto che tale ponte era davvero troppo, troppo vecchio.

I problemi iniziarono quando sul terzo arco il passo di Vento della Prateria fece cadere dei mattoni, aprendo nel suolo un buco verso l'acqua. Il cavallo non cadde, ma si spaventò e tentò di correre.
Il giovane cercò di calmarlo, prendendo le redini da terra. Fu inutile. L'animale si mise a correre verso il quarto arco - per ironia della sorte quello sulla parte più larga e profonda del fiume - trascinando l'uomo sul terreno.
Questi tentò con successo di liberarsi la mano, ma quando ormai era troppo tardi.
La pietra del quarto arco cedette al passaggio del cavallo in corsa, che riuscì comunque a saltare avanti e mettersi in salvo.
Viserys invece vide il ponte sgretolarsi sotto di sé e batté la testa contro alcuni di quei pezzi di pietra. E svenne poco prima di cadere in acqua ed essere trascinato via dalla corrente.

Viserys non è morto: è alle Hawaii con Elvis (sospesa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora