10 Primo errore

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Victoria camminava per la casa, ticchettando i tacchi neri. Non si era tolta il cappotto, e teneva la borsa stretta al petto con evidente imbarazzo. Dal canto suo, Irwin non riusciva a dire nulla. Si limitava a fissare la sua figura, che girava per quella che, un'eternità prima, era stata la loro casa. Dio, quanto tempo sembrava trascorso. Sembrava così strano, vederla lì, nel suo salotto, con indosso lo stesso cappotto bianco e nero che portava anni prima. Saggiò con gli occhi, la sua figura alta e slanciata, i capelli rossi, le gambe nude fasciate dai collant neri. Quella visione, non gli sembrava reale. Quando stavano insieme, Victoria portava i capelli lunghi, fino al seno. Ricordava quanto amava tenerseli sparsi sul petto, dopo aver fatto l'amore, annusando il loro profumo di fiori. Ora invece, le arrivavano a malapena alle spalle. Questo particolare, gli causò un lieve attacco di ira. "La stai tenendo bene...La casa, intendo."
"Già." . Victoria si girò. Il suo bel volto non si era minimamente modificato, dall'ultima volta che lo aveva visto. La sua pelle era ancora candida come la neve, ricoperta da piccole efelidi bionde, e i grandi occhi nocciola, la facevano somigliare a un cerbiatto. Arricciò le labbra piene e truccate, in un timido sorriso. "Non mi offri un caffè?"

Quella lieve pretesa, risvegliò in lui una rabbia che credeva repressa. Chi diavolo si credeva di essere, per pretendere da lui un simile trattamento? Eppure, mentre la sua mente formulava quel pensiero, il suo corpo si era già mosso in direzione della cucina, e le sue mani avevano svitato la caffettiera. Victoria lo seguì, sedendosi al tavolo. "Non ti togli il cappotto?" le domandò, un po' troppo aspramente. Silenzio, poi un fruscio di un abito che veniva tolto. Irwin si voltò verso di lei, cercando di rimanere impassibile, di fronte all'immagine minuta della sua ex ragazza, seduta sulla sua sedia. Immagini ed emozioni contrastanti si agitavano dentro di lui. Lui e Victoria al loro primo appuntamento, la loro prima volta. Ricordava come lei si era aggrappata speranzosa al suo braccio, quando avevano firmato il contratto per l'appartamento, come i suoi occhi nocciola si fossero inumiditi dalla gioia. E poi, i silenzi, i litigi, lei e il caro collega a letto, di fronte ai suoi occhi. Deglutì, cercando di contenere l'ira crescente che si stava formando, sotto forma di bruciore acido, nel suo stomaco. Rimasero in silenzio fino a che la caffettiera non cominciò a borbottare. "Non la spegni?" Domandò Victoria, inclinando appena il volto. Ciocche di capelli, le sfiorarono il collo aggraziato.  

Dio, avrebbe voluto prenderla fra le mani e percuoterla, urlarle addosso tutta la sua frustrazione. Con che coraggio, riusciva a guardarlo negli occhi? Tuttavia, ancora una volta, spense la caffettiera, facendo ciò che lei gli aveva chiesto. Prese due tazzine con le mani tremanti, e per poco una non gli cadde dalle mani. Calmati. Inspirò, chiudendo gli occhi, mentre cercava di svuotare la mente dalle fastidiose immagini che vorticavano davanti ai suoi occhi. "Zucchero?" domandò. La sentì ridere, un suono cristallino, limpido. "Non ti ricordi già che io il caffè lo prendo amaro." 

"Si, che me lo ricordo." Ribatté lui. D'un tratto, gli venne in mente l'immagine di Livai, settimane prima, mentre sgranava inorridito gli occhi per la sua domanda, e lo ammoniva. "Solo con del miele.", aveva detto. Sorrise, mentre portava sul tavolo le due tazzine colme, e ne porgeva una a Victoria. Si sedette anche lui, proprio di fronte a lei, fissando il liquido nero e bollente. Come stava adesso, Livai? Sicuramente si stava annoiando, in classe. Aveva intenzione di andare fuori la scuola a salutarlo, dopo, perché quella notte non avrebbero potuto dormire assieme. Ovviamente, agli occhi degli altri sarebbe dovuto soltanto apparire come un incontro casuale tra un allievo con un insegnante. Ma lui ci teneva particolarmente a vederlo lì, in mezzo a loro, a vedere che stava bene. Il suo piccolo delinquente. Alzò gli occhi, e vide Victoria studiarlo con occhi sgranati. Era improvvisamente impallidita, come se avesse visto un fantasma. Solo a quel punto, si rese conto, di aver continuato a sorridere, per tutto quel tempo. "Che cosa vuoi, Victoria?" chiese, schiarendosi la gola. Lei trasalì, interpretando la domanda come segno di fastidio. Abbassò gli occhi, in evidente imbarazzo. Irwin la osservò corrucciato, guardò le sue dita tremanti, dalle unghie smaltate di un pallido rosa, strette attorno alla tazzina del caffè. "Hai dimenticato qualcosa qui e vuoi riprenderlo? Vai pure, non ci sono problemi." Le disse, accompagnando la frase con un gesto della mano. Lei iniziò ad agitarsi sulla sedia. "Oppure sei venuta per dirmi per finalmente hai deciso di mettere su famiglia? In quel caso, perdonami, ma non credo sarò presente al tuo matrimonio e..."

Akai ito (La leggenda del filo rosso)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora