4 Primo salvataggio

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Irwin si rigirò nel letto, ansimando. Non riusciva a capire come mai l'insonnia, sua vecchia nemica, decidesse proprio in quel momento di tornare a fargli visita, data la stanchezza accumulata durante l'arco della giornata. La verità era che tutto si era susseguito con una rapidità tale da lasciarlo stordito. Quella che doveva essere la giornata migliore della sua vita, si era rivelata essere la più bizzarra. E tutto, doveva ammetterlo, era per quell'insolito e piccolo personaggio che aveva deciso di sfotterlo dal primo momento in cui i loro occhi si erano incrociati. Da quel secondo in poi, tutto era diventato insolito, sfociando poi nei limiti dell'assurdo: il suo inseguimento mal riuscito per giungere alla stessa scuola, per poi ritrovarselo nella stessa classe e scoprire di essere il suo insegnante. La loro battaglia continua aveva suscitato ilarità e fin troppa curiosità, ed Irwin era certo che sarebbe continuata ancora a lungo, desideroso come era di vendicarsi di quel minuto indisciplinato e maleducato. Tuttavia, le sue intenzioni combattive erano rimaste integre, fino al momento in cui aveva dovuto incontrare il preside, (di persona, per scusarsi del ritardo di quella mattina) ritrovandosi di fronte la copia sputata del piccolo delinquente. Certo, il preside era un uomo di mezz'età, molto attraente e anche alto, con i capelli brizzolati e la carnagione lievemente abbronzata. Ma a parte queste differenze, tutto in lui gridava la sua somiglianza con il ragazzo, dagli occhi grigio-verdi ai lineamenti affilati, alle efelidi sparse sul naso (seppure il suo, era alquanto tozzo in confronto a quello sottile e all'insù del giovane). Era un uomo gradevole all'aspetto e dal tono sicuro, ma evidentemente Livai doveva aver preso quella delicatezza femminea dalla madre.


 Seppur impressionato, Irwin si presentò e conversò con lui di molti aspetti riguardanti l'edificio, talmente tanti da fargli perdere il filo iniziale del discorso. Il preside Andrew Scott si presentò gradevole nel comportamento tanto quanto lo era d'aspetto, la sua mente era acculturata e spaziava in ogni genere d'argomento, e il suo fascino innato lo incantarono a tal punto da lasciarsi prendere da quella conversazione più del dovuto, accorgendosi del tempo passato soltanto quando il cielo si tinse dei bruni colori che preannunciano il calar del sole. Divertito quanto lui per quella conversazione avuta, il preside gli strinse con decisione la mano e in quel momento, gli occhi di Irwin caddero involontariamente sulle loro mani intrecciate. Il palmo dell'uomo aderente contro il suo e del colore caldo del caramello, gli rammentò per un secondo le dita esili del figlio, fasciate dal camoscio morbido e scuro dei guanti. Era stato in quel momento di congedo, che Andrew Scott aveva lanciato la "bomba", quella domanda che Irwin aveva sperato non gli venisse mai rivolta. "E mi dica...Lui come è stato?". Sussultando, Irwin si era voltato dal vano della porta, cercando lo sguardo dell'uomo e, la sua postura eretta e fiera, unita a gli occhi socchiusi dallo sguardo penetrante e brillante, gli causarono un singulto involontario. Ora, al posto del preside, vi era la figura del suo piccolo demonietto, gli stessi occhi carichi di risentimento, scrutatori, gli stessi tratti leggermente incavati. Dovette riscuotersi in fretta, per non destare troppo nell'occhio, ma gli si rivolse con il cuore ancora frenetico nel petto, sentendosi lievemente in imbarazzo per quella sua reazione del tutto inaspettata. "Di chi parla, signore?".


Il preside ghignò, infilando le mani nei pantaloni del suo completo e il suo sguardo si perse in lontananza, fissando fuori dalla finestra. "Mi avete stupito fino ad ora, signor. Smith, non mi deluda proprio ora fingendo di essere stupido. Sa bene di chi ho parlato, è evidente, e se non fisicamente lo è stato il cognome che avrà sicuramente letto nel registro. Sto parlando di Livai Scott. La voglio avvertire, di non andarci piano con lui solo perché è mio figlio. Gli altri insegnanti non lo hanno mai fatto, per paura verso di me, credo. Ma le chiedo sinceramente di riferirmi ogni cosa possibile su Livai e su ogni suo movimento: voglio sapere quando salta le lezioni, quando non fa i compiti, quando le sembra particolarmente stressato e nervoso, Voglio sapere tutto." I suoi occhi, belli, ma tinti di una nota che provocarono ad Irwin numerosi brividi freddi lungo la schiena, lo sondarono avidi. Infine, con una lentezza estenuante, lo congedò, dicendogli: "Se eseguirà questo favore per me, non mi limiterò a farla essere un semplice sostituto di un'insegnante in maternità, no. Le darò il doppio del suo stipendio e le assicurerò una buona parola per dei futuri insegnamenti in altri istituti altrettanto prestigiosi." Un ghigno sinistro, inquietante, aveva sfigurato quel volto, mentre si accingeva a salutarlo con un cenno della mano. Per tutto il tempo del tragitto di ritorno a casa, e anche ora che si era infilato sotto le lenzuola, Irwin era stato incapace di proferire parola e non pensare ad altro, se non alle parole che l'uomo aveva detto. Gli aveva chiesto esplicitamente di fare la spia sul figlio, di essere una specie di stalker scolastico, corrompendolo con dei soldi. Non poteva credere che quel moccioso fosse un delinquente tale da indurre addirittura il padre (e preside), a offrire soldi extra ad un insegnante per monitorarne i movimenti. Eppure...eppure, c'era qualcosa di vagamente stonante in quello che era successo. Non sapeva dire cosa fosse stato di preciso, forse quel sinistro ghigno deformante, forse gli occhi opacizzati e terribilmente suadenti...Era come il demonio che, travestitosi da serpente, era penetrato nell'Eden convincendo Eva a mordere il frutto proibito. Si era sentito come soggiogato da qualcosa, che gli era parso ingiusto e maligno. Ma in fondo, poteva davvero fidarsi di una semplice sensazione? E poi, un paio di banconote in più gli avrebbero di certo fatto comodo...In fondo doveva soltanto guardare come stava Livai, doveva solo assicurarsi che fosse seduto sul proprio banco e stop! Nulla di più, nulla di meno. Ma allora perché, dannazione, si sentiva così?

Akai ito (La leggenda del filo rosso)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora