Capitolo 3 "Cambia il mondo, cambiano i colori..."

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~un anno dopo, 2016~

Scoppiai a piangere dopo aver staccato la telefonata con i miei genitori, uscì di casa sbattendo la porta mentre le lacrime scorrevano libere sulle mie guance.

Inizia a camminare velocemente, anzi quasi a correre tra le strade affollate di Milano con le lacrime agli occhi.

Mi lasciai sfuggire qualche singhiozzo mentre cercavo di togliere le lacrime con i palmi delle mani.

Il sole picchiava sopra la mia testa, e il calore si espandeva su tutto il mio corpo.
Come si vedeva che era luglio.

Volevo avere una vita normale. Volevo fare tutte le cose che una normale diciottenne fa.
Ma non potevo.

Volevo affetto. Volevo che qualcuno si preoccupasse di me ogni tanto.
Volevo che qualcuno mi chiedesse come stessi.

Cercai di evitare la gente il più possibile ma sfortunatamente ad un tratto mi scontrai con qualcosa o, più probabilmente, con qualcuno. Inciampai e caddi per terra.

Ero così triste che non me ne importava nemmeno, non mi ero fatta neanche male.

Alzai lo sguardo cercando di darmi un contegno ma non ci riuscii molto.
Avevo gli occhi pieni di lacrime quindi l'unica cosa che riuscivo a vedere era una figura alta, un ragazzo di certo, con disordinati capelli scuri davanti a me.

"Oddio scusami, ti sei fatta male?" esclamò preoccupato.

Scossi la testa cercando di nascondere il viso dai suoi occhi.
Trovai la scena molto divertente. Lo avevo travolto io ed era lui che si scusava.

All'inizio non riconobbi quella voce, ma c'era qualcosa dentro di me che mi diceva che l'avevo già sentita.

Passai le mani sugli occhi per scacciare le lacrime e guardai meglio il ragazzo che si stagliava sopra di me.

Aveva due bellissimi occhi verdi e dei capelli scuri e disordinati.

Il mio cuore perse un battito.

"Perché piangi? Sei ferita?'' chiese preoccupato chinandosi al mio fianco.

Arrossii leggermente ma non risposi alla sua domanda.

"Ehy, mi fai preoccupare così" disse infine porgendomi una mano per aiutarmi ad alzare.

Accettai l'aiuto e quando afferrai la sua mano quasi mi scordai del perché fossi lì in quel momento.

Mi tirò su e io feci un passo indietro deglutendo.

"Il gatto ti ha mangiato la lingua? Non parli?" chiese curioso.

Non riuscivo a spiccicare parola. Mi sembrava troppo assurdo che lui fosse lì in quel momento.

"Sto bene, non mi sono fatta nulla" abbassai lo sguardo.

"Posso fare qualcosa per te? C'è qualcosa che non va?" continuò lui.

Buffo. L'unica persona in quasi tutta la mia vita che ha avuto la decenza di chiedermi come stessi è stato il mio cantante preferito.

Scossi la testa e i miei occhi diventarono di nuovo lucidi.

"N-No io- scusami se ti sono venuta addosso" balbettai evitando il suo sguardo.

"Non piangere, dai. Parla con me" disse dolcemente e mi strinse la mano che ancora teneva nella sua.

E poi, all'inprovviso, lo abbracciai. Senza pensarci troppo.

Ora come ora, avevo solo bisogno di un abbraccio e le sue braccia erano un posto dove desideravo stare da tanto.

"Ehi" disse dolcemente accarezzandomi la schiena con una mano

"O puoi anche abbracciarmi, fa lo stesso" ridacchiò e io sorrisi debolmente contro la sua spalla

Chiusi gli occhi per un secondo e presi un respiro profondo.
Mi staccai poco dopo e lo guardai mentre mi scrutava preoccupato.

"Scusa" dissi allontanandomi.

"Non hai nulla di cui scusarti" mi rassicurò sorridendomi leggermente.

Trovai il coraggio di guardarlo finalmente negli occhi e il mio cuore si scaldò in un attimo.

Indossava una semplice maglietta bianca, dei pantaloni neri e scarpe bianche.

I capelli erano disordinati come al solito, tirati come sempre all'insù, con un ciuffo biondo, quasi bianco, sul davanti.

"Non mi hai ancora detto perché piangevi" mi ricordò tirando fuori dalla tasca un fazzoletto e porgendomelo.

Lo guardai dubbiosa ma lui mi invitò a prenderlo. Così lo presi.

Non avrei mai potuto dirglielo. In fondo, io non lo conoscevo davvero, e nemmeno lui mi conosceva.

Avevo appena ricevuto una telefonata dai miei genitori, come al solito due paroline in croce prima di attaccarmi in faccia, come sempre.

Ma perché ci stavo ancora male?

Non avevano mai avuto del tempo per me.
Ma io ero una persona che se la prendeva per tutto e questo era un grosso problema per me.

"Una cosa stupida, non preoccuparti" mormorai poi buttando il fazzoletto in un cestino.

Mi ripresi e riuscii a riacquistare un po' di sicurezza.

"Scusami davvero, ti sono venuta addosso piangendo e ti ho anche abbracciato. Ti sembrerò strana" affermai.

"Non scusarti, a me piacciono gli abbracci" affermò sorridendo.

Risi a quella sua risposta.

"Piacere, Michele Bravi" mi porse la mano con un sorriso e il mio si allargò.

Avevo indovinato. Sapevo già chi era.

"Alessia Valenti" gli strinsi la mano timidamente.

"Stai meglio adesso?" Domandò scrutandomi.

"Si decisamente" lo rassicurai.

Ad un tratto si fece ansioso e guardò l'orologio velocemente.

"Scusami, sono davvero in ritardo per una riunione, devo scappare" esclamò poi tornando a guardarmi negli occhi.

"Certo, vai pure, non volevo farti perdere tempo" risposi scostandomi leggermente.

Mi trascinò in un piccolo abbraccio, poi mi sorrise.

"Sai dovresti sorridere di più, sei molto bella" mi strinse delicatamente la mano e mi regalò un ultimo sorriso.

Le sue parole mi fecero sorridere e il suo si allargò. Guardai per l'ultima volta quei meravigliosi occhi verdi. Indugiò qualche secondo sui miei occhi, poi lui si girò e tornò sui suoi passi.

Lo guardai andare via e mi trattenni dall'impulso di corrergli dietro.

Quando scomparve dalla mia vista abbassai lo sguardo e chiusi gli occhi sorridendo.

Non sapevo se ciò che era appena successo fosse reale o se stessi sognando in quel momento ma mi piaceva da morire.

Quei maledetti occhi verdi {Michele Bravi♡}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora