Parte 17

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<Stai bene?> chiesi.  Marina annuì in silenzio,gli occhi quasi chiusi.D' un tratto,qualcosa risuonò nella stanza.Esplorai con lo sguardo la coltre di oscurità che ci avvolgeva.Ancora una volta sentii quel rumore indefinibile.Ostile.Malefico.Avvertii allora un tanfo di marcio,nauseabondo e penetrante.Proveniva dall'oscurità come il fiato di una bestia  selvatica.Ebbi la certezza che non eravamo soli.C'era qualcun altro lì.E ci osservava.Marina scrutava pietrificata quella muraglia di tenebre.La presi per mano e la guidai verso l'uscita.

Fuori,una fine pioggerella aveva vestito d'argento le strade.Era l'una.Percorremmo la via del ritorno senza scambiare parola.A casa di Marina,il padre ci aspettava per pranzo. <Non dire niente a Germàn,per favore> mi pregò Marina.   <Non preoccuparti.>  Del resto,non sarei stato capace di spiegare quello che era successo.Via via che ci allontanavamo,il ricordo  di quelle immagini e di quella serra sinistra si faceva sempre più vago.All'altezza di Plaza Sarrià,mi accorsi che Marina era molto pallida e respirava con difficoltà.

<Ti senti bene?> chiesi.   Mi disse di sì con poca convinzione.Ci sedemmo su una panchina della piazza.A occhi chiusi,respirò a lungo e profondamente.Uno stormo di colombe scorrazzava ai nostri piedi.Per un attimo temetti che Marina  sarebbe svenuta.Invece riaprì gli occhi e mi sorrise. 

<Stai tranquillo.Ho solo un po' di nausea.Dev'essere stato quell'odore.>   <Certo.Probabilmente era un animale morto.Un topo o...>    Marina avvalorò la mia ipotesi.Dopo un po',le sue guance ripresero colorito.  <In realtà avrei bisogno di mangiare qualcosa.Sbrighiamoci.Germàn si sarà stufato di aspettare.>

Ci alzammo e ci incamminammo verso casa sua.Kafka ci aspettava davanti al cancello.Mi guardò con disprezzo e corse a strusciarsi contro le caviglie di Marina.Mentre riflettevo sui vantaggi di essere un gatto,sentii di nuovo quella voce celestiale dal grammofono di Germàn.La musica inondava il giardino come un'alta marea.  <Che musica è?>  <Lèo Delibes> rispose Marina.  <Chi?>  <Delibes.Un compositore francese> mi spiegò Marina,indovinando la mia ignoranza. <Ma cosa vi insegnano in collegio?>  <Alzai le spalle.  <E l'aria di una sua opera.Lakmè,> E quella voce?>  <Mia madre.>   La fissai attonito.  <Tua madre è una cantante d'opera?>  Marina mi restituì uno sguardo impenetrabile. <Era> rispose. <E morta.>

Germàn ci aspettava nel salone principale,una grande stanza ovale con un lampadario di cristallo a gocce che pendeva dal soffitto.Il padre di Marina vestiva quasi da cerimonia,con tanto di gilè,e la folta chioma argentata era meticolosamente pettinata all'indietro.Mi sembrava di avere davanti agli occhi un gentiluomo di fine Ottocento.Ci sedemmo a tavola,apparecchiata  con tovaglie di pizzo e posate d'argento.

<E un piacere averla con noi,Oscar> disse Germàn. <Non tutte le domeniche  abbiamo la fortuna di una così gradita compagnia>.   Il servizio di piatti,veri e propri pezzi d'antiquariato,era di porcellana.Il menù sembrava consistere in una minestra dall'aroma delizioso accompagnata da crostini di pane.Nient'altro.Mentre Germàn mi serviva per primo,capii che tutto quello sfoggio di eleganza era dovuto alla mia presenza.Malgrado le posate d'argento,le stoviglie da museo e l'abito da cerimonia,in quella casa non 'erano soldi per un secondo piatto.In realtà,non c'erano neanche da pagare la bolletta della luce.La casa,infatti,era perennemente illuminata dalle candele.Germàn dovette leggermi nel pensero.    <Si sarà accorto che non abbiamo elettricità,Oscar.Il fatto è che non crediamo troppo alle moderne scoperte scientifiche.Del resto,che razza di scienza è quella porta un uomo sulla Luna ma non è in grado di garantire un pezzo di pane a tutti gli esseri umani?>   <Forse il problema non sta nella scienza,ma in chi decide che uso farne> suggerii.  Germàn riflettè sulla mia osservazione e annuì con solennità,non so se per cortesia o per convinzione.

marinaWhere stories live. Discover now