Capitolo 26

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Erano passati già tre giorni dalla morte del bambino. Ed erano tre giorni che non dormivo e mangiavo praticamente mai.

Dylan mi incitava di andare con lui a pranzo e cena ma rifiutavo sempre, e il vassoio che mi portava la sera Chiara lo guardavo e basta, stuzzicando ogni tanto qualche pietanza.

Ero distrutta, non uscivo mai dalla mia stanza, passavo i giorni a scrivere sul quadernetto nero. Avevo deciso che avrei dovuto scrivere la tutte le cose che pensavo, le mie emozioni. E tutte le volte che scrivevo le pagine si bagnavano dalle lacrime.

Ecco cos'ero in quei tre giorni: un ammasso di depressione, lacrime e silenzio.

Avevo smesso anche di andare dal Dottor Maccagni.

Ed era proprio mentre scrivevo sul quadernetto piangendo che due infermieri entrarono nella mia stanza.

Alzai lo sguardo per vedere chi erano, ma subito dopo lo riposai sulle parole che stavo scrivendo.

Pochi secondi dopo due mani mi presero di forza per le braccia, sollevandomi dal letto.

All'inizio non mi resi nemmeno conto di aver lasciato cadere il quaderno e la penna. Me ne accorsi solo quando ero già fuori dalla stanza.

"Cosa? Ma dove la state portando?Ehi!"

Vidi Dylan correre verso di noi.
Appena le sue parole arrivarono alle mie orecchie iniziai a capire che mi stavamo portando via.

"Dove mi state portando? Cosa volete? Non ho fatto niente!" Iniziai a dimenarmi e ad urlare ingiurie contro i due infermieri, invano. Erano talmente grossi che sembravano dei buttafuor di qualche locale, e pensai che forse lo erano pure stati.

Mi lasciai trasportare, ero senza forze, troppo magra e debole per lottare contro quei due colossi.

Anche Dylan capì che seguirci senza obbiettare era più sensato di attaccarli.

Mi trascinarono lungo tre corridoi diversi per poi arrivare davanti ad una porta in metallo lucido.

"Perché fate questo?" Quasi li implorai mentre le mie poche forze mi permisero solo di piangere.

"Volete rispondere?!" Dylan strattonò il braccio di uno dei due infermieri ricevendosi uno spintone.

"Ci ha detto il Dottor Maccagni di metterti in isolamento."

Isolamento. Si ripeteva come un'eco eterna nella mia testa. Rimbombava da una parete all'altra del mio cervello.

Spostai lo sguardo su Dylan, aveva un'espressione assente, preoccupata e sorpresa allo stesso tempo. Inghiottimmo la saliva a fatica e le lacrime scesero più di prima.

In isolamento, ma perché?

"Ma no ho fatto niente! Perché me? Avrà sbagliato!" Cercai di liberarmi agitandomi di più e anche con l'aiuto del moro. In qualche modo riuscii a liberarmi un braccio.

Cercai di colpire uno dei due uomini con un pugno, mentre l'altro era occupato con il ragazzo.
Ma mi bloccò la mano e mi colpì in piena faccia con uno schiaffo che risuonò nella stanza fermando anche gli altri due.

"Sophie!" Dylan corse verso di me, ma l'infermiere lo bloccò mettendo entrambe le sue braccia attorno ai suoi fianchi imprigionandogli ache le braccia, e lo sollevò da terra.

Chiusi gli occhi per il dolore, ma questa volta non piansi.

Avevo il volto girato a causa della forza con cui mi aveva colpito, e iniziarono ad affermarsi anche i segni rossi delle dita dell'uomo.

Deglutii sonoramente per poi girarmi lentamente cercando i suoi occhi.

Quando li trovai restai a fissarlo per alcuni secondi. Aveva gli occhi di un verde accesso, contornati da delle folte sopracciglia nere e grosse come i capelli ricci.

Aveva un'espressione seria ma indecifrabile sul viso, piegai la testa di lato per capire ma non trovai niente.

Il mio pugno destro colpì velocemente il naso dell'infermiere, con una forza che mi era mancata da giorni.

Fece qualche passo indietro portandosi una mano sul volto sanguinante. Mi avvicinai di nuovo e prima che potesse fare qualcosa tirai un calcio al suo ginocchio, facendolo grugnire e piegare per massaggiarsi la parte dolorante.

In pochissimo tempo l'altro infermiere lasciò Dylan e corse verso di me.

Mi afferrò entrambe le braccia da dietro e mi sollevò da terra spingendomi verso la stanza di isolamento.

"Non ho fatto niente, lasciatemi!" Urlai con le poche forze rimaste prima di essere sbattuta all'interno della stanza.

Era fredda, bianca, con una piccolissima finestra sbarrata sul muro opposto a quello dove c'era la porta grigia in metallo.

Il pavimento era in piccole piastrelle color panna. Alla mia destra c'era un piccolo letto con delle lenzuola azzurrine, dall'altra una specie di gabinetto e un lavandino ocra accanto.

"Resterò calma, solo se mi dite perché sono in isolamento."

"Abbiamo eseguito gli ordini del Dottore. Non ci ha detto quasi niente. Ma da quel poco che ho capito, sei qui solo per una ristabilizzazione, siccome non mangi da molto tempo, vuole solo curarti."

"Non ti preoccupare. Uscirai presto." Dylan mi sorrise malinconicamente dietro all'infermiere.

L'uomo chiuse la porta con un tonfo sordo, lasciandomi alla luce della piccola lampadina sopra la mia testa, che illuminava la stanza di un tenue bianco.

Mi sembrava una stanza di ospedale con tutto quel bianco.

Mi raddrizai lentamente e raggiunsi il letto. Mi buttai a peso morto affondando il viso nel cuscino mentre piccole gocce salate iniziarono a bagnarlo.

Psycho 2//LorenzoOstuniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora