22. L'ARRESTO

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Emanuele e Gloria vennero svegliati all'alba da alcuni forti colpi alla porta. Quella notte, avevano dormito abbracciati.
«Promettimi che mi aspetterai» sussurrò Emanuele.
Già la sera prima, Gloria aveva intuito che l'aveva combinata grossa. Quelle parole confermarono i suoi dubbi, riempiendola di sgomento.
Bussarono ancora, con insistenza.
«Sicuro che è la vicina. Vuole sapere quante volte lo abbiamo fatto 'stanotte» si schermì Emanuele, anche se il pallore accentuato del volto tradì la sua reale preoccupazione.
Indossò la felpa appoggiata ai piedi del letto e andò ad aprire. Gloria lo seguì in vestaglia.
«Agente Colombo del comando di polizia di Lambrate» si presentò il poliziotto accompagnato da due piantoni. «La dichiaro in arresto per la presunta implicazione nel rapimento della signora Bianca Maria Rossini. La preghiamo di vestirsi in modo più consono» disse indicando i boxer di Emanuele «e seguirci in questura.»
Gloria lo guardò costernata; gli afferrò la mano, disse: «Mio marito è innocente.»
«Si può dir tutto di quest'uomo, ma non che sia un rapitore!» intervenne la vicina che spiava dalla fessura.
I piantoni si guardarono intorno per capire da dove provenisse quella voce stridula; tornarono sull'attenti con una leggera alzata di spalle e un mezzo sorriso trattenuto a stento.
«Signora, non ne dubitiamo» ribatté Colombo rivolgendosi alla pettegola. «Lei comunque si faccia gli affari suoi, se non vuole finire nei guai.»
La vicina chiuse la porta a più mandate.
L'agente guardò Gloria con tenerezza, le disse: «Torni a letto se può. Stia tranquilla, potrebbe essere questione di un paio d'ore.»
«Non capisco il motivo di questa buffonata» intervenne Emanuele abbracciando sua moglie.
«Qualunque sua dichiarazione potrà essere usata contro di lei, quindi le suggerisco di limitarsi a respirare» replicò Colombo, mostrando il proprio tesserino.
Emanuele si diresse verso il bagno, imprecando tra i denti; pochi minuti dopo seguiva i poliziotti giù per le scale; avevano avuto almeno la compiacenza di non ammanettarlo.

«Non volevamo impressionare sua moglie» precisò l'agente, una volta saliti a bordo della volante. «Siamo a conoscenza della disgrazia che vi è capitata.»

Ad attenderlo in questura trovò un commissario Muscarella molto assonnato.
«Mi dica per quale motivo si è messo a rincorrere quei delinquenti in metropolitana. Mi scusi, conferma che era lei?» Gli concesse il beneficio del dubbio.
Emanuele decise di essere sincero, non aveva altra scelta, ma promise a se stesso di non mettere in mezzo Gabu; non poteva continuare a nascondersi dietro le sue spalle larghe.
«Sì, ero io» disse guardando Muscarella negli occhi.
«Come faceva a sapere che quelli erano proprio i rapitori della signora Rossini? Sono sfuggiti ai nostri agenti in borghese. È forse una spia, lei?»
«Sono un insegnante di violino» lo informò.
«So bene che lavoro fa, so anche che la signora era una sua, ehm... allieva. Non capisco perché dovrebbe rischiare la pelle per fermare i rapitori di una sua cliente, ma ancora meno capisco come abbia potuto riconoscerli.»
Emanuele non rispose.
Muscarella attese qualche istante, accese una sigaretta. Si grattò la fronte.
«Andiamo con ordine: quali sono i suoi rapporti con la signora Bianca Maria Rossini in Martini?» disse sottolineando la 'i' di Martini.
Emanuele rifletté, poi rispose: «Non vorrei compromettere l'onore della signora.»
«Ma cosa vuole compromettere. Siamo nel duemiladiciassette, è finita l'era degli scandali spiccioli. Ho bisogno di sentirlo dalla sua bocca, però.»
Muscarella spense la sigaretta nel posacenere, chiamò il suo assistente: «Cosenza! Portaci due caffè corretti, a me e al maestro» disse suonando uno strumento immaginario. «Ma gliela fa qualche serenata a sua moglie ogni tanto?» domandò divertito.
Emanuele si domandò se la persona che aveva di fronte ci fosse tutta con la testa.
Muscarella tornò serio.
«Allora, in che rapporti sta con la signora Martini?»
«Siamo amanti» disse prima che il commissario finisse la frase.
«Questo almeno spiega il suo coinvolgimento emotivo. Bene, bene, bene.»
Muscarella assaporò con calma il suo caffè corretto con del cognac; Emanuele, dopo aver mandato giù il suo, ne chiese un altro.
«Però questo complica la sua posizione. Il fatto che lei abbia riconosciuto i rapitori, presuppone che li conoscesse bene. Ho guardato i filmati molto meglio di quanto non abbia fatto lei. Ebbene, se li avessi incontrati per strada, non li avrei identificati. Mi dica: lei come ha fatto.»
«Non lo so» ribatté laconico.
«Ma come non lo sa, andiamo!» lo incalzò il commissario.
«Sesto senso, forse». La notte trascorsa tra le braccia di Gloria, così propensa a credere in quelle castronerie, doveva avergli suggerito una simile assurdità. Se ne vergognò.
«La vedo confuso. Qualche notte al fresco la schiarirà le idee, ne sono certo. Ah, le consiglio di procurarsi un avvocato. Glielo dico chiaro: o dimostra come ha fatto a individuare quei delinquenti, o ne avrà per un bel pezzo qui da noi.»

Emanuele venne trattenuto. Non aveva fatto il nome di Gabu, sperava che almeno lui potesse restare fuori dalla fogna che lo immergeva fino al collo. Questo fu l'unico pensiero positivo, in quell'oceano di sfiga nera che lo perseguitava da anni, di cui questa storia non era che la punta dell'iceberg.

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