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Le porte spaziali si trovavano sulla stessa linea verticale di quelle temporali. I viaggi nel tempo però erano stati banditi; la modifica di un dettaglio del passato avrebbe potuto compromettere l'equilibrio mondiale, come era accaduto poco prima della Catastrofe. Non che si stesse un gran che bene, nel tremila, ma i pochi superstiti sopportavano stoicamente l'invivibilità del mondo. Sopravvivevano sotto un'immensa cupola di vetro, ed era da considerarsi un miracolo con tutto quello che era accaduto negli ultimi anni.Mentre ci avvicinavamo alla Porta, raccontai ai miei nuovi amici del rapimento; descrissi i tre aguzzini, la singolarità del trasporto di viveri il cui movente diventava sempre più chiaro.
Dagmos, Burel e Andel erano mercanti di cibo, mi dissero, innocui fuorilegge che rischiavano la soppressione per quei viaggi proibiti. Procuravano gli alimenti ai pochi ricchi rimasti sulla Terra in cambio di una boccata di ossigeno naturale - nei rari luoghi in cui l'aria era ancora respirabile - un buon pasto preparato da un cuoco e, soprattutto, la speranza di poter emigrare.
Non so cosa darei per mangiare un piatto di pastasciutta, disse Smilliu sentendomi nominare il cibo. Ammise di non ricordarne il sapore, erano trascorsi così tanti anni da quando aveva assaggiato degli spaghetti, ma ricordò il senso di sazietà e benessere che le avevano infuso.
Si dice che a casa del Professore ci sia cibo a volontà; è un uomo molto ricco e generoso, intervenne Israel, con l'acquolina in bocca.
Chiunque nella città bassa aveva sentito menzionare almeno una volta il Professore, ma nessuno l'aveva mai incontrato dal vivo, tanto che si dubitava della sua esistenza.
Ogni epoca nasconde il proprio Babbo Natale, notai divertita.
Lo scopriremo, replicò Hadassa, anche da noi se ne parla e qualcuno sospetta che si tratti di una leggenda. Si dice che per convincerlo ad aprire la sua Porta - è uno dei pochi che ne possiede una privata - bisogna offrirgli delle valide motivazioni, e avere un aspetto fisico che non lo turbi.Giungemmo alle fondamenta della città alta, dalle quali si ergevano gli immensi piloni traslucidi che la sostenevano.
Di che materiale si tratta? domandai esterrefatta.
Ubnico austevico. Proviene da uno dei pianeti che stiamo colonizzando, rispose Hadassa, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Hai... hai detto pianeti? Pianeti abitabili?? Stentai a credere alle sue parole.
Quattro secoli fa cadde una devastante pioggia di meteoriti; fu a causa di un esperimento del CERN... Un asteroide grosso quanto quel grattacielo, precipitò proprio in quest'area. Non ci siamo estinti per miracolo. Si aprì un varco spazio-temporale che inghiottì la maggior parte dei superstiti. Ci vollero quasi cinquant'anni per 'addomesticarlo', ma a un certo punto riuscimmo a piegarlo al nostro volere. Ce ne serviamo per i viaggi sulla Terra, ma anche nell'Universo. L'esplosione produsse una miriade di pietre galleggianti che la Grande Manipolazione consegna a ogni nascituro; contengono la Conoscenza e ci permettono di comunicare tra noi. Abbiamo perso il linguaggio, non ci nutriamo più di cibo, abbiamo dimenticato gli istinti primordiali. Quattro secoli fa finì il mondo da dove provieni tu. La vita media oggi è di duecentocinquanta anni, ma avrei preferito viverne la metà e conoscere il senso profondo dell'esistenza.
Mi venne voglia di abbracciarla, dirle che il senso della vita era qualcosa di troppo grande per noi piccoli umani; non lo avremmo mai capito. Ma si ritrasse. Riprese il suo discorso, per superare l'imbarazzo scaturito da quella mia manifestazione d'affetto.
La Grande Manipolazione stabilì che i viaggi spaziali sarebbero partiti in via esclusiva dalla città alta. Sono una prerogativa delle persone come me, puntualizzò malvolentieri. È una migrazione definitiva. Nel giro di quindici anni, sulla Terra non ci sarà più nessuno. Intendo dire che rimarrà solo la città bassa, la cui autonomia non supererà i centocinquant'anni. Per questo ai suoi abitanti è proibito l'accesso ai centri per la riproduzione, continuò. La civiltà umana, sulla Terra, finisce con noi, concluse allargando le braccia.
Il fatto di essere gli ultimi abitanti del pianeta riempì Smilliu e Israel di orgoglio. Mi guardarono tronfi.
In base a cosa vengono selezionati gli abitanti delle due città? la incalzai. Volevo sapere tutto. Quelle informazioni mi avrebbero fornito spunti a sufficienza per i prossimi tre romanzi, se solo avessi trovato qualcosa su cui scrivere.
Guardaci, disse Israel, cosa vedi?
Li osservai con attenzione; le differenze tra loro erano eclatanti. Israel e Smilliu erano persone comuni, come me, con dei tratti somatici irregolari che li rendeva diversi dagli altri, dunque unici. Hadassa invece sembrava la fotocopia di qualcun altro; era perfetta, come una statua; i suoi lineamenti si delineavano armoniosi, semplici, e anche il suo corpo non possedeva alcuna caratteristica particolare. Era alta, snella, il suo volto conosceva un'unica espressione, anche se dai suoi occhi blu evaporava tristezza.
È per questo che non mi convinco a emigrare, precisò.
Mi dispiacque lasciar trapelare quel mio pensiero, ma con la pietra galleggiante nell'aria non potevamo nasconderci nulla.
Sono affetta da malinconia congenita. Ne soffrono tutte le donne della mia famiglia. È lei, la malinconia, che non mi permette di lasciare la Terra. I nuovi pianeti sono luoghi magnifici; dei piccoli paradisi. Ma c'è qualcosa che mi trattiene qui. Faccio la volontaria nella città bassa per tenere a bada questa anomalia, che ci tramandiamo da generazioni; è solo aiutando gli altri che mi sembra di aiutare me stessa.
Restammo in silenzio per alcuni minuti.
Gli abitanti della città alta sono stati creati in provetta, come noi, proseguì Smilliu. Siamo stati generati con la selezione genetica. In alcuni soggetti però permangono delle anomalie, che neanche la Grande Manipolazione è in grado di risanare. Quando queste sono evidenti, come nel mio caso e in quello di Israel, allora veniamo spediti quaggiù. Nel caso di Hadassa, l'anomalia è solo una questione spirituale. Allora si aspetta che guariscano, per poterli mandare nei nuovi pianeti.La guardia della Porta, un uomo dall'aspetto ordinario, appartenente senz'altro alla città alta, ci osservava da un pezzo; ci avvicinammo con circospezione. Hadassa fu la prima a parlargli; senza preamboli gli offrì i miei gioielli. L'uomo li scrutò con distacco.
Non so cosa siano, disse gelidamente.
Sono gioielli, lo informò Hadassa, di inestimabile valore. Non troverai niente di simile da queste parti. Provengono dal passato.
L'uomo disse di non voler fare accordi con dei fuorilegge.
I mercanti di cibo hanno rapito quella donna e l'hanno trascinata qui, contro la sua volontà. Ha un tumore al cervello all'ultimo stadio; credo abbia notato l'anomalia generata da una porta del tempo, forse proprio a causa del tumore. I mercanti l'hanno fatta sparire per poter agire indisturbati. In ogni caso, devo portarla dal Professore, o morirà.
L'uomo consultò la sua pietra galleggiante; l'ammonì:
I tuoi aiuti umanitari, quaggiù, devono limitarsi al conforto e alle provviste di pillole. I problemi di questa donna non ti riguardano.
Hadassa non rispose. Rimase immobile davanti a lui. La tenacia della guardia vacillò di fronte alla caparbietà del suo sguardo; disse: Lavoro qui da novantatré anni; in questo lasso di tempo, il Professore ha aperto la Porta solo due volte. Consegnatemi quei gioielli e proporrò l'accesso. Rifiuterà, vi avverto; perderete il vostro tesoro. Se acconsentirete, avrete solo tre parole a disposizione. Se accetterà, passerete solo in due.
Hadassa si voltò verso di me. Avrei sacrificato i miei anelli per molto meno, lo percepì chiaramente; c'era la mia vita di mezzo.
Ci radunammo per scegliere il messaggio col quale avremmo provato a convincere il Professore.
Hai detto che ha mille anni, chiesi a Smilliu.
Lei confermò.
Gli diremo che ho mille anni anch'io.
Troppo banale, non ci crederà, sentenziò Hadassa.
A turno proponemmo la sequenza di tre parole che avrebbe dovuto persuadere il Professore, senza trovarne di convincenti. Fummo sul punto di sprecare la nostra possibilità con una combinazione scialba, quando una visione spazzò via tutto il resto. I miei amici si guardarono perplessi; videro ricamarsi nella mia mente una successione di numeri in apparenza priva di significato. La comunicai alla guardia, senza dar loro spiegazioni; la testa ricominciava a dolermi, non mi restava più molto tempo.
La sua pietra galleggiante si frappose tra noi e lui.
Duecentodiciassette, centotrentasette, centosettantacinque.
Era il codice che avevo sentito ripetere più volte ai miei rapitori, ed era composto da tre parole.
Quella scritta si materializzò nelle nostre menti, così come la freccia il giorno del mio arrivo.
Il guardiano impallidì.
Vuole vedervi tutti e quattro, ci informò incredulo. Fece due passi di lato, indicando con un leggero tremore delle mani la freccia che aveva preso il posto dei numeri.
Hadassa andò per prima; un passo e non c'era più. La seguì Israel; io e Smilliu udimmo chiaramente il suo ultimo pensiero: pastaaaaaaaaa! Smilliu mi invitò a precederla. La ringraziai, notando solo allora che il colore dei suoi occhi era identico al mio.Fu questione di un passo; attraversai il buio e poi la luce prima di appoggiare il piede in un salotto antico. Un luogo accogliente che mi parve subito familiare; quei mobili del settecento, le pareti ricoperte di quadri... riconobbi un Picasso. Un pianoforte a coda occupava il lato destro della stanza e c'erano statue ovunque. Uno scaffale attirò la mia attenzione, ancora più del Picasso; presi un libro tra le mani. Gli occhi mi si riempirono di lacrime.
Arrivò Smilliu; si guardò intorno sbalordita.
Alle spalle del divano ad angolo che occupava la parete frontale, una grande vetrata si apriva su un giardino fiorito. Tra i rami degli alberi, scorsi il lago di Como.
Conoscevo quel posto, conoscevo il libro che stringevo tra le mani: lo avevo scritto io.
Buongiorno signori, disse una voce più che nota. Mi voltai.
«Professor Massi» pronunciai incredula.
«Dunque è così che mi chiamo» rispose stupito, in un italiano impeccabile.
Temetti di essere impazzita. Forse il tumore mi stava spappolando il cervello; il Professore aveva novantaseianni nell'epoca da cui provenivo. Nessuno avrebbe potuto vivere così a lungo, a meno che...
«Allora, cosa aspettate? È mezzogiorno, spostiamoci in sala da pranzo» disse allegro.
Era proprio lui, il caro Professor Massi, e non era cambiato di una virgola.
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Rapita
Science FictionHR #1 in fantascienza *** Bianca è una donna di quarantotto anni in crisi di mezza età. È una scrittrice frustrata il cui orologio biologico ha iniziato a saltare qualche rintocco. Ha un marito, un amante e una figlia dislessica di sei anni. Durante...