9- Mi distruggerà.

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Mi addormento sulla sua spalla e mi risveglio quando stiamo per arrivare. «Oh... mi spiace Max.» gli sussurro staccandomi dalla sua spalla, mentre arrossisco violentemente. In compenso lui mi sorride, mentre ha ancora gli occhi socchiusi. «Stai tranquilla, ho approfittato della tua testa, e non sei molto comoda comunque.» mi sfotte sfoderando uno dei suoi sorrisi perfetti. Dannazione, fratelli Jhonson. «Beh la prossima volta ci portiamo un cuscino, così stiamo comodi tutti e due.» lo guardo e sorrido, poi mi volto per cercare il telefono nello zaino. Lo vedo stiracchiarsi alzando la maglietta, lasciando scoprire una striscia di pelle dell'addome assieme ad un accenno di addominali. Sgrano gli occhi e li riporto sul telefono, controllando su Google Maps la posizione da brava paranoica quale sono. Tiro un sospiro di sollievo notando che mancano solo cinquanta chilometri e mostro la mappa a Max. 

«Tu non ce la fai proprio a non avere la situazione in mano per una volta vero? Dovresti lasciarti andare.» mi dice convinto, mentre si posiziona meglio sulla sedia. Ed effettivamente ha colto nel segno. Sono sempre stata quel genere di persona, non sapere e non avere la situazione in mano mi ha sempre messo nel panico. E forse è per questo che non ho mai potuto sopportare Nate, perché quando lui era nei dintorni non potevo essere sicura di nulla. Sbuffo e abbasso lo sguardo «Non è nel mio carattere... insomma... non ci riesco.» sbotto mentre mi sistemo una ciocca di capelli che proprio non ne vuole sapere di restare dietro l'orecchio. «Ehi... Am, stavo scherzando.» mi sorride lasciandomi qualcosa dentro. "Am" era il nomignolo che mi avevano dato lui e suo fratello quand'eravamo piccoli. 

«Allora, come sta la tua famiglia?» mi chiede guardandomi dritto negli occhi. «Bene, sì. Tutto bene.» non so che dirgli e la nostra conversazione sembra affievolirsi, e io mi sento triste. Quando vedo Nate alzarsi e venire verso di noi il mio cuore perde un battito. «Fratellone, avresti per caso gli auricolari?» gli chiede, anche se penso che sia solo una scusa. «No Nate, li ho dimenticati a casa. Credevo che tu li avessi portati.» lo guarda in cagnesco. «Non le trovo, tu Amethist, ne avresti un paio?» e per la prima volta dopo giorni mi rivolge la parola, e io non ho voglia di rispondergli. «No non ne ha. Adesso puoi levarti di torno.» gli risponde Max al posto mio, e vorrei abbracciarlo e ringraziarlo per aver capito al volo che non ho voglia della presenza di Nate qui con noi. «Non l'ho chiesto a te, Maximilian.» risponde freddo, non l'ho mai sentito chiamare Max con il suo nome completo. Max si alza e lo guarda fisso negli occhi, lo sovrasta con qualche centimetro in più d'altezza, gli sussurra una cosa all'orecchio e poi gli poggia una mano sulla spalla, noto la presa dura e il dolore che Nate prova, ma che cerca di non far trapelare. «Ora puoi andare, Nathaniel.» gli dice prima di sedersi al suo posto e guardarmi snobbandolo. 

«Perché l'hai trattato così?» gli chiedo curiosa, è pur sempre suo fratello. «Perché a volte merita di essere rimesso al suo posto. Non può fare il capetto con tutti quelli che gli capitano a tiro. Può farlo con i suoi coetanei o le ragazzine che pendono dalle sue labbra, ma non con me.» poi mette la mano nello zaino e prende anche lui il telefono. Non posso fare a meno di pensare che reputi anche me una ragazzina, e mi sento frustrata. Volgo lo sguardo verso il finestrino e appoggio la fronte ad esso, sperando che il viaggio finisca il prima possibile. 

Arriviamo e mi fiondo fuori dal pullman scavalcando Max. Ho bisogno di aria, ho bisogno di allontanarmi dai fratelli Jhonson. Apro da sola lo sportello e recupero la mia valigia quasi slogandomi una spalla, poi mi allontano dal pullman e mi accendo una sigaretta. Tara e Clarke scendono dal pullman e dopo aver recuperato le valigie si avviano verso la mia direzione, ma prima Tara viene intercettata da Max che nel frattempo le sta dicendo qualcosa. Lo vedo guardarmi, abbassare lo sguardo e allontanarsi da Tara, senza nemmeno rivolgermi uno cenno. 

«Ma cosa è successo tra te, Max e Nate?» mi chiede appena si avvicina, alzo gli occhi al cielo. Il peggior momento per chiedere. «Mi ha detto che tu e Nate avete litigato e che lui ti ha difesa... mi spiace per il comportamento da idiota di mio cugino, non so cosa gli sia preso.» si scusa e io mi sento ancora più in colpa per non averle raccontato nulla. «Tara non è un tuo problema, né di Max. Riguarda solo me e Nate ma non ho voglia di parlarne ora, e non c'è bisogno che tu ti scusi per lui.» la rassicuro. Lei annuisce velocemente e mi sorride poggiandomi una mano sulla spalla «Nate non è malvagio, qualsiasi cosa sia successa sono sicura che si tratta di un equivoco, e si può risolvere.» detto ciò si allontana cercando il prof. Sbuffo e getto il mozzicone di sigaretta, nemmeno quest'ultima mi ha tranquillizzata.

Circa venti minuti dopo ci ritroviamo nella hall di un albergo interamente di legno, e il freddo mi sta congelando le mani. Maledico me stessa per non essermi coperta di più prima del viaggio ma ora come ora non posso farci niente. Il professore parla e io nemmeno lo ascolto. Non ho voglia di sentirlo parlare, non ho voglia di sentire nessuno. Dice cose riguardanti le stanze, il divieto per i ragazzi di entrare nelle stanze delle ragazze e viceversa, si scusa già in anticipo con il receptionist, poi incomincia a chiamare le classi per anno. Incomincia con i novellini che vengono tutti quanti posti sul primo piano, saluto Esme con la mano e le faccio segno di vederci dopo. Poi passa a noi e ai senior. «Per quanto riguarda voi le stanze saranno miste, potrete trovarvi con ragazzi più piccoli o grandi. Confido nel vostro buonsenso.» dice annoiato il prof, mentre incomincia a scorgere la lista. Dopo aver finito con i ragazzi e dopo aver appreso che Max, Cody, Nate sono nella stessa stanza sbuffo. Non potrò nemmeno andare a trovare Cody. «Blake, Anderson, Evans voi siete nella camera numero 204, ecco a voi la chiave.» ci allunga una scheda magnetica e ci sorride. Come se la sfortuna fosse dalla mia parte la camera di Nate è alla fine del nostro corridoio.

Entriamo nella stanza e dopo essermi accaparrata il letto vicino alla finestra poggio la valigia su di esso per reclamarne la proprietà. «La solita,  ti freghi sempre il letto migliore.» borbotta Tara dato che quello scelto da me è l'unico letto singolo della stanza mentre, invece, a Tara e Clarke toccherà dormire assieme nel letto matrimoniale. «Ragazze non ho scelto questo perché non vorrei dormire con nessuna di voi due, bensì perché, come tu Tara già sai, io odio che qualcuno mi tocchi mentre dormo, peggio ancora se con i piedi.» Tara scuote la testa divertita e Clarke scoppia in una fragorosa risata «Tu sei strana forte Blake.» mi canzona.

Dopo esserci lavate e cambiate, decidiamo di scendere per mangiare al buffet come ci ha detto il prof poco prima. Entriamo in questa grande stanza, e prendiamo posto ad un tavolo poco distante dal buffet, un tavolo "tattico" secondo Tara. Lasciamo le nostre borse e incominciamo ad avvicinarci notando che quasi tutti sono lì, noto lo sguardo assente di Max mentre decide quale pasta prendere, Cody sorridente che si riempie il piatto di patatine fritte, ma di Nate nemmeno l'ombra. Decido di lasciar stare e di prendere qualcosa da mangiare, ma dopo essermi riempita il piatto il mio cellulare vibra. Nate. "Esci, devo parlarti.". Mi si gela il sangue e lo stomaco mi si chiude, mi è passata la fame, ma non voglio accontentarlo, non voglio essere la sua marionetta, così abbandono il tavolo con una scusa banale e mi incammino verso la mia stanza. Noto Nate alla fine del corridoio che si incammina verso di me.

Ma non ho le forze per affrontarlo, non ho le forze per dirgli che mi sta rovinando la vita e che non posso stargli accanto. Corro verso la mia camera e apro la porta, noto Nate alzare il passo. Mi chiudo dentro e poggio la schiena contro di la porta, scivolando giù. «Dannazione Blake, che problemi hai! Aprimi!» mi urla mentre bussa violentemente alla porta. «No.» dico secca, rigida, paurosa. «Non ti faccio niente, aprimi.» la sua voce sembra essersi addolcita. Non ci casco. Resto in silenzio sperando che lui se ne vada, ma al contrario da sotto la porta vedo un ombra che si accascia. «Perché mi respingi? Perché parli con tutti tranne che con me?» mi sussurra, questa dannata porta di legno è l'unica cosa a dividerci. Resto nuovamente in silenzio, lo sento sbuffare. «Proprio non lo capisci che lo faccio per te?» mi urla. «Cosa dovrei capire? Cosa fai per me? Nulla. Tranne trattarmi come una pezza.» «Lo faccio perché devi starmi lontana, perché potrei rovinarti la vita in un secondo, e tu...» lo sento indugiare, e quasi il mio corpo si muovesse da solo mi ritrovo in piedi, di fronte alla porta con la mano sulla maniglia.

«Tu... non te lo meriti.» finisce. Apro la porta e lui alza lo sguardo di scatto, fissandomi. Non riesco a leggergli dentro, non ci sono mai riuscita. Lo guardo e le parole escono da sole, senza il mio consenso «Ci sei già riuscito.» chiudo la porta, e mi getto sul letto. Lo sento allontanarsi, i passi pesanti. Poi sento il rumore di quello che mi sembra un pugno su una porta e un urlo di sfogo. Mi rannicchio nelle coperte, non devo lasciarlo entrare di nuovo la mia vita, perché la prossima volta mi distruggerà.

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