01. Brown eyes.

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'Il vento freddo picchiettava sul mio viso mentre tanti piccoli fiocchi di neve si adagiavano lenti su tutti i muretti che costeggiavano il viale di casa mia. Fissai il vuoto per minuti interminabili, mi piaceva osservare come quei piccoli fiocchi ghiacciati scendevano piano dal cielo e si poggiavano con eleganza su tutto ciò che incontravano lungo il loro tragitto. Mi sarebbe piaciuto essere un fiocco di neve, mi sarebbe piaciuto avere una forma diversa dagli altri miei coetanei, essere originale a modo mio, essere libera. Alzai il viso verso il cielo, chiusi gli occhi e mi beai di quella sensazione di freschezza che mi avvolse. Sorrisi tra me e me mentre stringevo sempre di più le braccia sul mio ventre.

-Freedom, c'è papà a telefono!- urlò mia madre dall'uscio della porta.

-Arrivo- mi affrettai a dire, volgendo un ultima occhiata al cielo prima di rientrare in casa: faceva decisamente più caldo. Presi velocemente il cellulare dalle mani di mia madre. -Papà!-

-Ciao, pesciolino! Come stai?-

-Sarai a casa per Natale?- chiesi, senza rispondere alla sua domanda.

-Freedom, sai che non..-sospirai e, senza ascoltare altro, passai il cellulare a mamma, presi il cappotto e uscii fuori di casa.

I miei genitori erano divorziati e mio padre viveva in un'altra città, con un'altra donna e un altro figlio, che tra l'altro non era nemmeno suo. Da quando avevo due anni lui e la mamma non stavano più insieme, e cosa sapeva mio padre di me? A malapena ricordava il giorno del mio compleanno. Una volta mi fece gli auguri l'otto luglio, mentre il mio compleanno sarebbe stato il sette agosto. Mi sembrava di essere sempre di troppo per lui. Eppure lo amavo, lo amavo così tanto... Quando lo incontravo, dopo mesi che non lo vedevo, era come se non fosse mai andato via. Fra le sue braccia mi sentivo completa, mi sentivo viva, mi sentivo felice. Poi però andava via e mi faceva promesse su promesse che non manteneva mai: come ad esempio la promessa che avrebbe passato il Natale con me. E che non avrebbe mantenuto.

Sospirai e strinsi ancora di più il cappotto al mio corpo. Camminavo lenta fra le vie di Stratford, diretta a casa di due persone a cui volevo un gran bene: Diane e Bruce. Erano una coppia strana e divertente, amavo sentire i racconti di nonno Bruce risalenti alla sua adolescenza e mi piaceva cucinare con nonna Diane. Restavo spesso a cena da loro, sopratutto quand'ero giù di morale. Mamma, ovviamente, lo sapeva. Diane era come una seconda madre anche per lei.

Dopo una decina di minuti arrivai finalmente a destinazione. Bussai al campanello e aspettai sull'uscio l'aprirsi della porta.

-Freedom! Tesoro, che piacere vederti- sorrisi mentre Diane mi strinse in un caloroso abbraccio. -Che ci fai qui?-

-Sono venuta a trovarvi, è troppo tempo che non vi vedo-

-Troppo tempo? Sei stata qua ieri mattina- ridacchiai mentre sul suo viso comparve un sorriso.

-Per me è troppo tempo, okay?- assottigliai gli occhi e le puntai il dito, in tutta risposta rise di gusto.

-Entra, piccola-

Mi sorrise come solo una nonna sapeva fare e mi fece spazio per farmi passare. Entrai in casa e subito un profumo di dolce penetrò nelle mie narici. Annusai l'aria e chiusi gli occhi: quello sì che era l'odore di casa, quello sì che era l'odore di famiglia. Mi avviai verso il salotto dove trovai un Bruce intento a poggiare degli scatoloni sul pavimento. Affrettai il passo e lo aiutai prima che tutto cadesse per terra.

-Ah, la mia povera schiena. Bocciolo, sei il mio angelo- sorrisi ancora alle parole di Bruce prima di battere più volte le palpebre guardando il soffitto sognante.

-Lo so- unii le mani in segno di preghiera e ripetei il gesto di poco prima provocando la risata dell'uomo di fronte a me che, dopo poco, contagiò anche me. -Cosa devi fare con tutti questi scatoloni?-

We Can Fly To Never Neverland [COMPLETA] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora