CAPITOLO 35 - LA PERFEZIONE DELL'IMPERFEZIONE

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Era finalmente giunto! Dopo poco più di tre anni di sofferenze, notti insonni, litri e litri di caffè per rimanere sveglia, ed il rischio di una perdita precoce di capelli per lo stress, era finalmente arrivato: il giorno della mia laurea!

Mi trovavo nell'aula magna della mia università, in attesa di essere chiamata sul palco per la discussione della mia tesi. Dire che stavo leggermente friggendo per l'agitazione sarebbe stato un eufemismo.

Mi stavo torcendo ripetutamente le mani in quell'attesa snervante; non vedevo l'ora che quel momento passasse e si giungesse finalmente alla proclamazione.

"Sono sempre stata favorevole per il detto: leviamoci il dente!"

Per evitare che mi staccassi un dito di netto, Henry bloccò quel mio gesto convulso posando il suo palmo sopra le mie mani, mentre Meghan, che era seduta dal lato opposto, si occupò della mia gamba, che a quanto pare istintivamente avevo iniziato a tamburellare sul pavimento ad un ritmo frenetico.

«Stai serena, bellezza, andrai alla grande! Lo sai anche tu che questa è solo una formalità, oramai è tutto deciso. Piuttosto concentrati sulla mega festa che ci attende dopo.» Il mio amico dagli occhi chiari cercava di calmarmi in tutte le maniere da circa mezz'ora, ma purtroppo per lui i risultati erano stati davvero scarsi.

C'era solo una cosa che mi avrebbe procurato un po' di serenità: sentire pronunciare il mio nome al microfono da uno dei professori sul palco, tutti rivestiti con le classiche toghe nere con rifiniture dorate ed il tocco accademico in testa.

Stavo per rispondere ad Henry che se non si sbrigavano a chiamarmi non ci sarebbe stata nessuna festa, al massimo un funerale dopo essere morta di crepacuore ma, proprio in quel momento, il mio desiderio venne esaudito ed il mio nome diffuso dall'impianto audio dell'aula.

Mi alzai un po' traballante sulle gambe. Avevo il cuore in gola e le mani sudate, tanto da dovermi passare i palmi sul tessuto liscio dei pantaloni. Buttai fuori l'aria in un colpo solo e mi feci coraggio, cominciando ad avanzare verso quell'ultima anzi, penultima, tappa del mio percorso universitario, con alle spalle le incitazione poco velate dei miei due più cari amici: «Falli neri, Ollie!» e «Fagli vedere quanto sei figa in tutti i sensi!»

Ovviamente un commento del mio personal stylist Henry sul mio outfit del giorno non poteva mancare. Indossavo una delle classiche mise da laurea: pantaloni neri aderenti a sigaretta, abbinati ad una camicia bianca senza maniche a girocollo, con dei piccoli bottoncini di perla al centro, coperta in parte da una giacchina nera con maniche a tre quarti e corta fino a metà vita e per terminare décolleté nere tacco dodici.

"Sì, avete capito bene. Dodici dannatissimi centimetri di rischio di morte! "

Io non le volevo così alte, ma Henry e Meg per poco non mi avevano mangiata viva quando avevo proposto una scarpa con tacco cinque o otto. Purtroppo, con i due tiranni della moda coalizzati contro di me, alla fine avevo ceduto, onde evitare che un tacco me lo rifilassero in testa.

Tuttavia, in quel momento, li stavo maledicendo entrambi, perché mentre percorrevo la piccola scalinata che conduceva al palco leggermente rialzato per la discussione, oltre a preoccuparmi per la mia agitazione, dovevo anche pensare a cercare di non fare uno scivolone di fronte a tutta la commissione e ad una stanza gremita di persone.

Per una volta la mia buona stella mi sorrise ed arrivai incolume alla postazione, allestita con un piccola cattedra in legno ed un computer postovi sopra con cui avviare le slide.

L'inquietudine che stavo provando non accennò a diminuire minimamente, neppure quanto presi posto sulla sedia. Alzai lo sguardo verso la platea in cerca dei volti delle persone che conoscevo per carpire un po' di forza e sicurezza dalla loro presenza. C'erano tutti i miei parenti più stretti: i miei genitori, i miei fratelli, con al seguito mogli e mariti, ed anche il mio nipotino di cinque anni. Ma ciò che andavo scrutando tra la folla erano in realtà gli occhi della mia seconda famiglia, quella che mi aveva accettata per come ero, quella che mi aveva accolto in casa loro a braccia aperte fin da subito, quella che si era presa cura di me in quei giorni: i miei amici.

RICOMINCIAMO DA NOI (VOL.2 - COMPLETATA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora