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Se fossi in un libro, sarei sicuramente un personaggio inutile.
Quello sottovalutato dal lettore, che è li solo per riempire un vuoto lasciato dalla scrittrice un po' superficiale, un ruolo insignificante.

Un'altra giornata di merda è inizia, ancora una volta e per giunta nel peggiore dei modi.
Neanche il tempo di alzarmi che già sono inciampato su una maglia dimenticata dal mondo per terra, avrei dovuto mettere a posto quello schifo.
Cerco di riprendere coscienza del mondo che mi circonda, sbadigliando un paio di volte prima di dirigermi verso il bagno.
L'acqua gelida mi fa salire immediatamente la pelle d'oca e quasi rimpiango di non essere rimasto a letto.
Pelle bianca lattea da risultare quasi cadaverica, occhi dorati contornati da un perenne rossore e i capelli biondi scompigliati, questo sono io.
Per quanto mi piaccia non essere monotono, odio il mio aspetto fisico.
Sono capitato in situazioni inimmaginabili ed essere scambiati per una ragazza non è sempre il massimo.
Sono sveglio da dieci minuti e già sono tremendamente stanco, è possibile almeno una cosa del genere?
Cristo santo, che pena.
Odio la scuola, ricordo i miei anni alle medie come un periodo abbastanza traumatico.
Da piccoli si imparava subito la gerarchia, i ruoli che si dovevano assumere, c'è chi nasceva predatore e chi, invece, da preda.
Ed io, che ero un ragazzo già molto strano, non riuscivo mai ad essere etichettato.
Ricordo che nonostante non fossi mai stato una preda messa al macello, nessuno mi risparmiò la solita dose di scherzi di cattivo gusto che fanno i ragazzini.
Non erano dispetti quelli, era una sorta di supremazia interiore che tutti dovevano affermare e quale metodo più efficace se non quello di sfogarsi su delle povere anime malcapitate?
Nessuno per due settimane intere, mi rivolse la parola.
Ero invisibile, o così mi fecero credere.
Trasparente ed insignificante.
Non ero degno nemmeno di una loro parola o sospiro, il silenzio.
Provavo un certo senso di vergogna, potevo sentire solo la mia voce e così finì quasi per odiarla.
Ero diventato un tipo abbastanza silenzioso, ma d'altro canto sapevo vedere benissimo, fin troppo.
L'ennesimo brivido di freddo mi risveglia dai miei pensieri quando esco di casa, costringendomi dopo un lungo sospiro ad allontanarmi con passi svelti, avrei ricevuto l'ennesimo richiamo.
Altri due anni, solo altri due anni in quello schifo di scuola.
Dentro ci trovi di tutto, dai tipi più sfigati a quelli più alla moda, alternativi , tradizionalisti ma tutti sempre infinitamente finti.
Maschere, maschere ovunque.
Ed io sempre trasparente, come il vetro.
Ma va bene così, per ora almeno.
Prima o poi, troverò qualcuno vetro come me o così mi convinco.
Il tempo di arrivare in quel postaccio che già avevo concluso tutte le mie riflessioni mattutine.
Solito muretto, solite sigarette.
Come al solito, triste e grigio.
I bisbigli delle ragazzine di prima poco distanti da me mi fanno capire che è arrivato; il guaio che tutti vorrebbero evitare, l'escluso, il carnefice, il tormento di tutti ma il pensiero di nessuno:
Castiel Everghit.
Altro che vetro, quello è piombo.
E' di una bellezza disarmante, potrebbe essere il ragazzo più ricercato della scuola ma la sua reputazione lascia a desiderare.
Un metro e ottanta di pura sfacciataggine, occhi e capelli scuri, degni del più bel demone nell'inferno.
Circolano parecchie voci su di lui, più di una volta è stato trovato a fare botte con altri ragazzi, una calamita per i guai.
Spengo distrattamente la sigaretta e rivolgo un'ultima occhiata prima di entrare a tutti gli studenti che stanno salendo le scalinate e lì mi sorprendo, trovando un paio di pozzi neri che mi fissano.
I suoi occhi.

Glass dollDove le storie prendono vita. Scoprilo ora