5) Good Goodbye

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Il treno era puntuale, come sempre. Prima che il sole potesse finire di sfiorare le case e i grattacieli in lontananza, e prima che l'alba sparisse, il treno era lì, con le sue lunghissime carrozze e l'assordante strido di quando si ferma.
Non persi neanche un istante che corsi a fare il biglietto e a salire su di esso. Presi posto accanto al finestrino, posando il trolley nel vano sopra la mia testa. Mi sedetti, spostando lo zaino sotto ai miei piedi e la borsa a tracolla sul grembo. Ero agitatissima.
Scrutai il cielo sereno e mattiniero di una Washington silenziosa e ancora un po' cupa. La mia mente si fece migliaia di domande, facendomi quando impazzire. A farmi tornare coi piedi per terra fu un ragazzo dai folti capelli neri e lo sguardo malinconico che si fece strada avanti a me. «Ti dispiace se...?»
Feci un cenno col mento, come per dire "fai pure." Lui si sedette sul posto davanti al mio, mettendo il proprio zaino blu a terra, tra le gambe.
Spostai lo sguardo, continuando a guardare fuori. Non avevo molta voglia di socializzare. Presi in considerazione l'idea di infilarmi le mie amatissime cuffie e di spararmi gli AC⚡️DC a palla nelle orecchie.
«Scusa ancora se mi sono seduto qui, ma è il numero che ho sul biglietto, e...» si giustificò il ragazzo.
Sospirai, iniziando a pensare che sarebbe stato un lungo viaggio. Mi lasciai travolgere dal mio super potere, anch'esso amatissimo, per studiarlo da cima a fondo.
Lo guardai dritto negli occhi color nocciola per un paio di secondi, che furono sufficienti a farmi capire che era agitato quanto me e imbarazzato. Scostai nuovamente gli occhi da lui, osservando lo zaino. Era colmo di roba. Intravedevo perfino il filo di un paio di cuffiette sbucare dalla tasca avanti.
"Ama la musica, wow. A giudicare dalla maglietta degli Skillet direi che è... metallaro?" Pensai.
Non mi andava di spiare la sua mente, così mi limitai a conversare.
«Anche tu a New York, eh?» disse. «Cosa vai a vedere di bello? O chi vai a trovare?»
"Menti..." Pensai.
«Ehm, vado da un parente... un parente che non ho mai avuto il piacere di conoscere.» risposi.
"Idiota... ammetto però che è davvero carino."
«Wow, io invece vado da... ehm, non l'hai chiesto, scusa.» balbettò imbarazzato.
«Dov'è che vai?»
Il suo sguardo si fece imbarazzato più di prima. «D-da mia madre.»
«Oh, visita di famiglia anche tu, eh?» commentai.
«Non proprio. Diciamo che è più una visita obbligatoria.»
«Perché?» arricciai il naso.
«Ehm, mio padre e mia madre hanno divorziato diversi mesi fa, e per mio fratello fu un colpo basso. Così ora mamma vuole vedermi praticamente sempre, per andarlo a trovare.»
Ero confusa. «Tuo fratello dov'è ora, esattamente?» ebbi paura della risposta, e sperai di sbagliarmi su quello che stavo pensando.
Il ragazzo rivolse i suoi occhi verdi prima fuori dal finestrino e poi me.
"Stupida, che razza di domande sono queste? Era chiara la risposta."
«S-scusa, io...» saettai ovunque il mio sguardo. «Le mie condoglianze.»
Lui alzò una mano. «Non preoccuparti. Grazie comunque.»
Sbuffai piano, cominciando a provare pena per lui. I suoi capelli neri brillavano alla luce dell'alba e il portamento timido e insicuro mi fece quasi stranezza; non avevo mai visto un ragazzo così.
Ruppe lui per primo il silenzio, alzando una mano verso di me. «Sono Paul.» si presentò.
Storsi le labbra e gli strinsi la mano. «Ennie.»
Sorrise. «Bel nome.»
Sorrisi a mia volta, abbassando lo sguardo imbarazzata. Pregai di non stare arrossendo. Non mi ero accorta di avere ancora le cuffiette strette nella mano sinistra. Avevo voglia di ascoltare musica, ma anche di conoscere meglio Paul.
Mi salvò da questa difficile scelta una ragazza dalla chioma bionda e lucente, che si fermò davanti ai nostri posti. «Paul, caro, abbiamo fatto spostare quel vecchio bavoso, quindi si è liberato un posto.» disse masticando rumorosamente una gomma. «Ti unisci a noi o hai già conosciuto di meglio?» domandò indicandomi con un cenno del mento.
Non rispose, così come me. Mi rigirai tra le mani le cuffiette e guardai quell'oca.
I suoi occhi grigi erano spaventosi, in senso negativo. Andiamo, tutti sanno che odio gli occhi grigi/azzurri, sia in un uomo che in una donna. Se non lo sapevate, beh, ora lo sapete. Al collo aveva una collana costosissima di perle e indossava una camicia di flanella, jeans a vita alta e stivali in pelle neri. Doveva essere una riccona...
L'oca fece un palloncino con la gomma e tamburellò le dita sul sedile prima del mio. «Tra l'altro, credevo che le brune ti facessero ribrezzo.» mi squadrò da capo a piedi, con una smorfia di disgusto. «Considerata la sua faccia, dovrebbe farti ribrezzo più di tutte, questa qua.»
Strinsi un pugno. «Non dovrei dargli fastidio, considerato che ha già visto te un milione di volte. Anzi, credo ne sia quasi abituato.»
Paul fece una risatina che nascose portandosi una mano alla bocca. La bionda mise le labbra a mo' di papera. «Simpatica, molto.» commentò ironica.
«È un dono il mio.» sorrisi vittoriosa e la guardai con aria di sfida.
Quella continuò a guardarmi male, prendendo Paul per la mano. «Andiamo.»
Paul la seguì, caricandosi lo zaino in spalla e sorridendomi per salutarmi.

Non sapevo se sentirmi triste perché se ne fosse andato e quella era stata la conversazione con un ragazzo più lunga della mia vita, o felice perché finalmente potevo ascoltare la mia musica in pace. La seconda opzione ebbe la meglio.

Mi infilai le cuffiette bianche nelle orecchie e iniziai a scorrere tra le mie playlist. Feci partire "Good Goodbye" dei Linkin Park, una delle band che adoravo.

🎶 "So say goodbye and hit the road
Pack it up and disappear..."🎶

La loro canzone che preferivo era "Numb". Ricordai che la ascoltavo praticamente sempre quando andavo alle medie; mi faceva sentire al sicuro, come se mi dicessero di non mollare, nonostante le difficoltà...

🎶 "You better have some place to go
'Cause you can't come back around here..."🎶

Fuori il sole splendeva, illuminando il mio posto a sedere e la borsa nera davanti alle mie gambe. Il verde dei prati mi fece sorridere, finché, dopo almeno un'ora, non si intravidero i primi grattacieli di New York. Non ero abituata a quella visione; vivevo in campagna, più o meno. Comunque, un posto senza grattacieli e grandi città.
Qualcun annunciò che mancavano pochi minuti alla fermata alla stazione della città. Mi misi lo zaino in spalla, presi il trolley che avevo nel portabagagli e sospirai.

🎶"Good goodbye"🎶

"Andrà tutto bene..." pensai. "Andrà tutto bene..."
Il treno si fermò, le porte si spalancarono e io scesi dal treno, con le cuffie ancora nelle orecchie, con la voce di Chester che ancora gridava "Good Goodbye".

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Salve a tutti ragazzuoli ^^
Quest'ultima parte l'ho anche dedicata a Chester Bennington, che quest'anno ci ha lasciati. Chi segue i Linkin Park sa già cosa è successo e cosa si prova...
posso solo dire RIP Chester 😞

Daughter of Tony StarkDove le storie prendono vita. Scoprilo ora