Capitolo 1

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«Allora siamo d'accordo. Ci vediamo alle tre. Vado a pranzo. Alice, mi raccomando fatti carina! Oggi verrà quel tipo nuovo di cui tutti parlano e spero proprio che non sia inguardabile come quello dello scorso anno: tutti quei brufoli e quegli orrendi occhiali fondo di bottiglia da far quasi venire il voltastomaco.»

«Cam! Sei maligna! La smetti di parlare così? Fede era simpatico!»

«Simpatico, di sicuro, ma inguardabile devi concedermelo. Credo che ogni tanto dovresti imparare ad essere più obiettiva e meno diplomatica. Non puoi essere sempre così buona con tutti.»

«Ok, ok. Non preoccuparti. Sarò puntuale e metterò anche un velo di trucco.»

«Adoro la mia amica quando mi dà ragione.»

Eravamo all'uscita di scuola. Liceo Classico. Camilla era la mia migliora amica, la mia fedelissima compagna di banco. Ci eravamo conosciute in una gita a scuola in terza media: lei e il suo gruppetto di compagne si erano mostrate estremamente insopportabili, senza considerare che ci avevano soffiato i ragazzi più carini. Come potevamo diventare amiche?

Eppure quel primo giorno di scuola, in quarta ginnasio, osai sfidare la sorte, senza una ragione ben precisa ma solo per il gusto di farlo. Mi dissi che se il posto accanto al suo fosse stato libero, le avrei chiesto di occuparlo. Così fu. Io e Cam diventammo le "boss dell'ultimo banco". Un soprannome un tantino ridicolo a pensarci ora. Certo eravamo quattordicenni e forse inconsciamente alimentavamo l'illusione che un atteggiamento sfrontato, almeno in apparenza, ci avrebbe aiutato a tenere lontani bulli o tipe strane. O magari ci avrebbe agevolato nel creare un nostro spazio all'interno di un ambiente nuovo e grande, come può sembrare il liceo agli occhi di una ragazzina che ha appena cominciato il suo sviluppo e nel giro di pochi mesi viene circondata da una moltitudine di quasi adulti. Ma nonostante il nomigliolo, eravamo due brave ragazze ed anche con ottimi voti. Io, a dire il vero, adoravo studiare. Dovevo diventare medico. Era la mia strada, me lo sentivo e desideravo essere la migliore. Nei miei sogni più ambiziosi, vedevo un giorno in cui tutti riconoscevano la mia professionalità, in cui si chiedeva di me quando il caso era troppo difficile da risolvere. Sognavo di diventare un bravo chirurgo e in aggiunta un paio di volte l'anno prestare il mio servizio in Africa. Forse per alcuni un tantino eccessivo e a tratti presuntuoso...magari anche un po' irritante, ma era il mio sogno. Da sempre. E per renderlo reale al momento dovevo studiare.

Vivevamo a Vasto, una piccola cittadina sulla costa abruzzese. Era sabato. Avevamo appena terminato il nostro compito di greco e ci chiedevamo quali novità avrebbe portato quel fine settimana di primavera che ci apriva caldamente le porte.

Alle tre fui puntuale e, come avevo promesso a Camilla, avevo aggiunto al mio solito look poco appariscente, una leggera spolverata di fard e qualche passata di rimmel. Suonavamo in una band. Io strimpellavo il clarinetto. Avevo imparato a suonarlo da piccolina, ma le mie abilità non potevano dirsi da concertista. A volte il pensiero di non essere brava abbastanza mi amareggiava, ma in fin dei conti avevo altre priorità e me ne facevo una ragione. D'altronde il nostro obiettivo principale era divertirci e, guardandola in questa prospettiva, eravamo fortissimi. Essendo tutti amici, ritrovarsi insieme anche solo per le prove era a dir poco fantastico. Per quel pomeriggio aspettavamo un nuovo membro. Un ragazzo. Si era trasferito da poco in città. Andavamo tutti molto d'accordo ed era fantastico ritrovarsi insieme alle prove. L'aveva agganciato il nostro batterista Leo. Si diceva in giro che fosse quasi capace di far parlare una chitarra elettrica. Così Leo era stato abbastanza scaltro da chiedergli di fare un salto da noi.

Camilla era già arrivata. Entrai in sala per salutarla e cominciai a montare il mio strumento. Non ero interessata al nuovo arrivo, ma la mia amica era così eccitata che mi sentivo costretta a lasciarmi coinvolgere. Saltellava di qua e di là in trepida attesa. Ogni tanto si affacciava alla finestra e poi tornava da me a scuotermi. Odiavo quando lo faceva. Tornò di nuovo alla finestra e ad un certo punto si mise ad urlare.

Permettimi di starti accantoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora