I giorni seguenti divenni sempre più intrattabile. Mi rendevo conto anch'io che era difficile tollerarmi dentro casa, ma per quanto mi riguardava non potevo fare altrimenti. Mangiavo sempre meno e cercavo di sfuggire ai pasti in maniera ogni volta diversa, per non dare troppo nell'occhio. Finsi di stare male e mi offrii di cucinare il pranzo, con la scusa di non sobbarcare di altro lavoro mia madre. Lei avrebbe cucinato per il resto della famiglia e io la mia porzione. Preferiva cucinare lo stesso piatto per tutti, per evitare di impiegare troppo tempo in cucina, quindi era facile spingere su questo argomento.
Affettai più verdure possibili, soprattutto zucchine che hanno un apporto calorico piuttosto basso. Tagliai tutto in porzioni mignon. Buttai le verdure nell'acqua bollente e senza farmi accorgere non usai né sale, perché causa ritenzione idrica, né olio perché fa ingrassare. Con le spalle a mia madre pesai dieci grammi di pastina e li versai nella pentola. In mezzo a tutta quella brodaglia, mamma avrebbe notato solo il piatto pieno e molto probabilmente non mi avrebbe fatto storie.
Ovviamente quando ero nei giorni anoressici il mio umore ne risentiva parecchio, ma questo era il sacrificio a cui era necessario esporsi.
Perché volessi essere magra a tutti i costi?
A pensarci ora, ancora non lo so esattamente. Forse quando perdevo il controllo sulla mia vita, la bilancia era il primo modo per riconquistarlo. Sapere che stavo lavorando sulla mia magrezza, sul mio aspetto fisico, mi faceva sentire più sicura. Il peso ripagava i miei sforzi. Era un dare e avere infallibile. Meno mangiavo meno pesavo. Era matematica e la matematica non sbaglia. Io sbagliavo, nelle relazioni della vita. Ma la bilancia non falliva mai. Le persone mentivano. La bilancia non avrebbe potuto. Potevo farci affidamento, lei non mi avrebbe tradito.
Quando ascoltavo quella vocina nella mia testa, mi sembrava di aver trovato un'amica. Tante compagne mi avevo voltato le spalle, per mille motivi che non sempre avevo compreso. Mi arrovellavo il cervello nel tentativo di capire cosa avessi fatto per permettere quella distanza dalla mia nuova amichetta, quale fosse la mia colpa. A volte era una parola sbagliata, a volte un gesto, a volte si mettevano in mezzo delle malelingue. Quando accadeva, tornavo a casa piangendo e mia madre mi liquidava con un "non fare così". Adesso capisco che neanche lei sapeva come aiutarmi a gestire i rapporti. Magari sarebbe bastato avere il coraggio di mettere le cose in chiaro, ma quando sei bambina è difficile che arrivi a comprendere questa possibilità. Hai bisogno di una guida, qualcuno che ti insegni come fare. Alla fine, dopo troppi tentativi, avevo trovato la mia amica nella testa. Era esigente, me ne rendevo conto, ma quando era con me, mi trasmetteva un senso di illusoria onnipotenza. Non mi serviva più stare con gli altri e vivere emozioni ed esperienze. Eravamo io e lei, sole, ma al sicuro.
Passavo giorni così a stringere sempre più la cinghia, a cercare di superare me stessa in un'orribile corsa verso il vuoto, poi ad un tratto il mio cervello affaticato chiamava un "time-out". Non reggeva più il ritmo. Il cervello è un muscolo da allenare e andava allenato anche a resistere a quelle carenze alimentari. Ma non potevo permettergli il crollo perché ne avevo bisogno per lo studio. Così quando si trovava in una situazione di estrema sofferenza andava in richiesta di cibo. Mangiavo tutto ciò che trovavo a disposizione pur di accontentarlo. Preferivo i dolci, come sempre, ma non mi facevo mancare nulla. Grandi abbuffate solitarie e celate. Poi un vomito colossale e di nuovo pronta a ricominciare la conta calorica.
Avevo letto tante cose sui possibili rischi. Avevo visto film e consultato blog. Sapevo cos'avrebbe rischiato il cuore, sapevo quanto stavo ferendo il mio apparato digerente. Sapevo quanto le mie cellule potevano soffrire la carenza di liquidi: le immaginavo tutte raggrinzite a pregarmi di smetterla. A volte dopo lo sforzo di espellere l'introito esagerato, sentivo una dolorosa fitta al petto e temevo che stesse per arrivarmi un infarto. Mi era capitato di vomitare anche dopo un pasto anoressico, perché mi sembrava che avrei potuto mangiare di meno. Altre volte quando mi sentivo debole, mi tastavo il polso, in cerca dell'arteria radiale. Era flebile. Era difficile trovarla. La mia pressione è sempre stata molto bassa. La massima sfiorava i 90mmHg. Eppure nonostante tutto, il mio corpo era forte. Resisteva ad ogni attacco, senza neanche una ferita visibile. Mi rialzavo a fatica, ma mi rialzavo. Mi sentivo invincibile, ma ero cieca. Non mi accorgevo che più di ogni altra cosa stavo facendo del male alla mia psiche. Le mie cellule neuronali stavano andando in tilt, lentamente peggioravano, e chissà se avrebbero mai ripreso tutte le loro funzioni originarie o se parte del danno sarebbe rimasto permanente. Io, però, non riuscivo a guardarci dentro e probabilmente anche se l'avessi fatto, non sarei stata in grado di affrontare quel grande male invisibile che mi attanagliava.
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Permettimi di starti accanto
ChickLitAlice. Semplice ragazza ma dai grandi progetti. Vuole diventare medico ed è molto determinata a raggiungere il suo obiettivo, tanto che aldilà dello studio, l'unica distrazione che si concede sono le prove con la band. Ma è proprio qui che si imbatt...