Capitolo 23

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Venerdì arrivò e io non ero in me per la trepidazione.

Speravo con tutta me stessa che insieme ad Alex avremmo trovato il modo per risolvere e proseguire la nostra storia. Sapevo di non meritarmelo, di non essere abbastanza per lui, ma dovevo anche ammettere che in quel momento era tutto ciò che volevo nella mia vita.

Non avevo ancora deciso se parlare o meno con i miei genitori della malattia. Mi augurai vivamente che per Alex non fosse una condizione imprescindibile. Non riuscivo ad immaginare di tornare a casa quella sera di nuovo triste.

Ci incontrammo in centro. Era un luogo facilmente raggiungibile da entrambi. Non si era proposto per passare a prendermi. Un po' ne fui delusa, ma riflettendoci forse sarebbe stato un po' azzardato per entrambi. In fondo ora nessuno dei due sapeva bene come comportarsi l'uno con l'altro.

Quando arrivai, era già lì, fermo ad aspettarmi, seduto su una panchina. Lo vidi da abbastanza lontano per poterlo osservare in tutto il suo splendore. Aveva una gamba accavallata sull'altra, con la caviglia sul ginocchio opposto. Le braccia erano aperte e appoggiate sullo schienale della panchina. Mi facevano ricordare il suo modo di invitarmi ad accoccolarmi contro il suo petto. Il suo sguardo era basso e sembrava pensieroso.

Non mi vide arrivare.

«Ciao.» Dissi debolmente.

Drizzò lo sguardo e si alzò in piedi, lentamente, quasi a sentirsi a disagio.

Mise le mani nelle tasche dei pantaloni e ripetè solo:

«Ciao.»

Non sapevo come interpretare quel suo comportamento. Non era quello che conoscevo. Meno sicuro di sé, meno determinato. Era stato sempre lui a guidarmi e a prendere l'iniziativa. Ora cosa si aspettava?

«Ti va se ci facciamo una passeggiata?» Tentai di proporgli.

«Sì, certo.»

«Ok.»

La nostra conversazione tentennava, era evidente. Ci incamminammo, non troppo vicini l'uno all'altro, tanto che temetti di non poter mai più sentire il suo calore sulla mia pelle. Non mi veniva in mente proprio niente da dire. Per fortuna fu lui a cominciare.

«Allora, quel ragazzo con cui ti ho incontrata l'altra sera, è davvero tuo amico?»

«Joshua? Certo che lo è.» Risposi decisa e persino un po' stupita.

«Non me ne avevi mai parlato.» Ribatte sommessamente.

«Scusami.» Addolcii il mio tono di voce. «Credo che non ci sia stata occasione. Mi spiace. Siamo amici da tanti anni.»

«Credo che per lui tu non sia solo un'amica.» Mi rivolse uno sguardo malizioso.

«No, no credimi. Per Joshua sono come una sorella. Niente di più.»

Si fermò a guardarmi e mi scrutò in viso, nell'attesa di incrociare i miei occhi.

«Alice, penso che a volte tu non ti renda conto di quanto sei bella.» La determinazione che evocò nel pronunciare quelle parole fu per me sconvolgente. Un lieve rossore mi imporporò il viso.

Abbassai lo sguardo, lui tornò a guardare in avanti e riprendemmo a camminare.

«Mi spiace per quello che è successo negli ultimi giorni. Mi spiace non esserti stato accanto.» Riprese dopo qualche altro minuto di silenzio.

«Spiace anche a me. Non volevo farti arrabbiare in quel modo.» Ammisi contrita.

«Credo che non sia stata tu a farmi scattare, quanto più l'impotenza che ho avvertito in quell'istante. Vorrei poterti aiutare. Vorrei saperti aiutare. Ho letto così tanti articoli sulla tua malattia, che...beh, ecco, io non vorrei perderti!»

Permettimi di starti accantoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora