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7. Di balli immancabili e tramonti che non posson esser trattenuti in gola - di storie rosse come il sole ad Occidente.

Cos'è una storia senza un ballo?

Beh, potrebbe essere tante cose meno belle – potrebbe. O forse è anche meglio senza, ché Daniel ci sta mettendo tutta la passione persa per insegnare ad Astra a ballare un po' di Salsa, ma quella piccola ragazza appresa alle braccia di lui, che hanno perso molta forza nell'ultimo anno, è solo un accumulo di rossore sulle guance chiare, di boccheggiamenti e di lamenti di vergogna – forse un ballo in questa storia non è stata una delle loro migliori idee.

"Astra, maledizione, segui il ritmo!"

"Ma io lo sto seguendo!" si lamenta la ragazza che, quando si tratta di muovere i fianchi senza una vera regola, è un genio – ma, quando si ritrova davanti ai balli di gruppo o ai balli latino americani, se ne va sempre frettolosamente dalla pista – mentre è una schiappa pure nella bachata, non si ricorda nemmeno quante volte non sia andata a ritmo di "Obsesion" e abbia fatto snervare suo fratello Matteo. Sbuffa, sconcertata, mentre preme ancora più la mano piccola e dalle dita non molto sottili sulla spalla di Daniel, mentre la mano destra di lui poggia sulla scapola coperta di lei. Le mani sudate dei due per il caldo di quella giornata umida e insopportabile sono unite, e quella di Daniel cerca di guidare quella di Astra in un tentativo vano e senza speranza di insegnarle a ballare la Salsa, ma Astra non ha nemmeno capito come portare i piedi avanti e indietro, figurati fare anche solo una giravolta. Lui alza gli occhi al cielo, trattiene uno sbuffo, sospira soltanto cercando di tenere a bada i nervi, e dicendo:

"Astra, i passi a ritmo. Uno, due, tre e quattro..." cerca di guidare la ragazza nel ritmo trasportante della Salsa che la radio che si porta dietro il chitarrista riproduce. E Astra cerca di seguirlo, segue i piedi di lui esperti nei movimenti, segue le sue parole, ma tanto è una guerra persa dal principio – perché la ragazza non ha mai avuto il suo chitarrista così tanto vicino a lei, tanto da poterne sentire il respiro e il calore che emana, il profumo che sprigiona. E ne resta troppo incantata, in quei ciuffi di capelli che poggiano sulla fronte, negli occhi di ossidiana vacui e spenti, riaccesi appena dal ritmo della musica, dalla bocca secca e schiusa, dalla cicatrice bianca che riposa sulla pelle rosea, dalle mani grandi, dal corpo costantemente teso e asciutto, dalla presa forte e trasportante, dalle gambe lunghe e dall'espressione stanca e priva di emozioni. E Astra si chiede come faccia a vivere la sua chitarra tra le sue mani, bello com'è si chiede come essa faccia a non scordarsi, a non stonarsi, a perdere tutte quelle note che tra le dita di lui diventano arte pura e incontrollata. E se lo chiede davvero perché gli oggetti non possano esprimere le proprie sensazioni, perché gli uomini devono restarne così affascinati eppure così disillusi: come se in essi trovino il nulla che cercano da sempre. E forse Daniel con la sua chitarra ci è riuscito: e ora si è ridotto a materia senza senso e senza sentimento e la sua chitarra è divenuta valvola di liberazione. E magari la sua compagna di viaggio ci muore davvero tra le sue mani ogni volta che la suona – forse non tanto per la sua bellezza così artistica, ma quanto il suo dolore che forse così artistico non è. E la ragazza si perde così in divagazioni, col corpo ricoperto di imbarazzo e la voglia di nascondersi: non si era mai così presa in giro da sola in tutta la sua vita. Ma Daniel non ride di lei – che motivo ne avrebbe? – non la compatisce, nulla di questo. Si incazza solo un po', che lui deve ancora capire come la gente non riesca a saper ballare certe musiche, a saper muovere il corpo in un modo per lui naturale. Allora afferra dall'alto la mano di Astra, la muove verso il basso per poi rialzarla e dicendo:

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