Quattro

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Il nostro albergo superava ogni aspettativa. Nella lussuosa hall un ragazzo abbronzato ci aspettava sorridente, come fatto di cera. Conosceva i nostri nomi e li pronunciò abbozzando un italiano terribilmente scorretto, che ci provocò una stupida risata che lo mise a disagio. Lo osservai bene, come ero solita fare con le persone che non conoscevo. Una trentina d'anni, niente fede al dito, taglio di capelli moderno e sorriso abbagliante, accompagnato da un paio di occhi scuri. Cercai il cartellino riportante il suo nome sull'uniforme ma non lo trovai. Era probabilmente il classico tipo vanitoso e sbadato. Le sue sopracciglia erano ben curate e le sue gambe, scoperte da un paio di bermuda, erano completamente depilate. Vanitoso, sbadato e forse anche gay. Sembrava conoscere parecchie cose e dal modo in cui parlava, anche se erano ben poche le parole che riuscivo a comprendere, immaginai che avesse da poco finito gli studi. Magari era un dottore anche lui, o forse uno psicologo, un matematico, un letterato.

"L'intelligenza è sensualitá all'ennesima potenza"

Forse non era proprio un esemplare di bellezza unica, ma cosa importava? L'aria da acculturato che gli avevo attribuito lo rendeva decisamente affascinante. La sua voce era un po' roca ma calda e sensuale e l'accento spagnolo rendeva il tutto più interessante. Lo guardai ancora per un istante e decisi che, per me, si sarebbe chiamato Pablo. Sorrisi al mio nuovo amico e ritirai le chiavi della nostra stanza. Numero quattrocentoventisette, quarto piano.

Grazie all'acensore non ci volle molto a salire fino in cima, dove io e Paola facemmo una doccia rinfrescante. Inutile dire che passai il resto della serata ad immaginare, cercare di indovinare chi in realtá Pablo fosse e la cosa mi divertiva parecchio.

Alle nove eravamo pronte. Paola indossava un vestito rosso, da un taglio asimmetrico, e un paio di tacchi dello stesso colore; io avevo scelto un abito comprato da poco, bianco e molto stretto, di pizzo leggermente trasparente. Avevo optato per un paio di converse bianche, non troppo impegnative. Mi guardai allo specchio e sorrisi: per una volta mi sentivo davvero bella. Ma, attenzione, per me la parola bella ha un significato ben preciso. La bellezza non è solo un fisico da urlo, un viso perfetto, la bellezza sta nella semplicitá, nel sorriso, negli occhi, nella voce, nella capacitá di parlare, di saper abbagliare senza doversi scoprire. Ci avvolgemmo in una nuvola di profumo ed uscimmo. La temperatura non era proprio delle migliori ma ci scaldammo in fretta. La prima tappa fu un pub sotto casa, piuttosto affollato ma accogliente. Anche se il caldo era opprimente e le persone facevano a gomitate per raggiungere il bancone, riuscimmo a raggiungere una terrazza sul tetto dove qualche divanetto era stato accuratamente posizionato con tanto di coperta. Ci sedemmo e ordinammo da bere, cercando di capire cosa diceva il menù. Dopo una decina di minuti in balia dell'indecisione, la cameriera ci portò due cocktail che non avevamo mai provato. Li assaggiammo per assicurarci che ci piacessero e in breve li finimmo. Le nostre labbra cominciavano a sapere di alcool e la cosa mi piaceva. Ordinammo altre bevande sconosciute e ben presto cominciammo a ridere. Lasciammo il posto poco prima di mezzanotte, dimenticandoci di pagare.

Per la strada un ragazzo ci porse il volantino di una discoteca ma non lo considerammo più di tanto e iniziammo a passeggiare a braccetto per le vie principali. Ci sorreggevamo a vicenda e per un attimo, per un solo secondo, tornammo ragazzine. Correvamo a piedi nudi in cerca di qualcosa da mangiare, facevamo sosta ad ogni panchina, ci coricavamo sulle aiuole a guardare il cielo che brillava di una luce strana, nuova. Entrammo nel primo Burger King che trovammo sulla strada e ordinammo due panini pieni di chissá quali ingredienti, prendemmo due Coche e portammo tutto in hotel. Ci gustammo la nostra cena sedute sul balcone, fumando sigarette alla menta e osservando ciò che la gente faceva in piazza.

Ci addormentammo così, sulle sdraio, riscaldate solamente da una coperta e da tanta, tanta adrenalina.

Quando Paola aprì gli occhi il sole si stava giá impossessando della vita, a Madrid. Mi svegliò con la sua voce stridula e per niente piacevole, dopo una serata impegnativa.

-Isa, ho preso la focaccia.

Notò che non le risposi e non pensò a lasciar perdere, ma perseverò.

-Isa svegliati, ho comprato la colazione, ci sono anche le spremute.

Avessi seguito il mio istinto, le avrei dato uno schiaffo non troppo forte, ma che almeno rendesse l'idea del fatto che non volessi svegliarmi; o almeno, le avrei risposto male. Poi pensai, cosa che in quello stato mi era molto difficile, che era stata lei ad invitarmi e che sarebbe stato meglio non essere scorbutica. La guardai da sotto le palpebre ed accennai ad alzarmi.

-Buongiorno anche a te.

Mi stiracchiai e mi misi a sedere. Paola era vicina a me e mi porse una piccola busta contenente un pezzo di focaccia appena fatta e una bottiglietta di spremuta di arancia. Avrei voluto chiederle dove l'avesse presa, a che ora si fosse svegliata e se le fosse passato il male ai piedi della sera prima, ma rimandai a più tardi e mi riempii la bocca, soddisfatta.

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