Chapter 2 - Alexandria

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Carl mi fece strada, mentre tutti quelli che erano in strada ci osservavano, o meglio, osservavano me, come se fossi chissà quale nuova creatura. Alexandria -o così almeno l'aveva definita Carl- era una vera e propria cittadina, come di quelle che esistevano prima; in lontananza riuscii a notare anche una piccola struttura che assomigliava ad una chiesa. Le persone sembravano felici, ma non vedevo nessun bambino o ragazzo in giro, come se fossero sopravvissuti solamente gli adulti in questo nuovo mondo; mi ero sempre chiesta perché i Vaganti che avevo incontrato fossero tutti adulti, tranne mio fratello, ma non avevo ancora trovato una risposta. Carl mi portò all'interno di una casa dalle pareti beige, dove vi trovammo in cucina una donna dalla pelle scura come il mogano, con in braccio una bambina di circa quattro-cinque anni. Anche lei mi lanciò quello sguardo sorpreso che tutti avevano, facendomi sentire sempre più a disagio. Il ragazzo salutò la bambina con un bacio sulla guancia, per poi spiegare in breve la situazione alla donna all'orecchio; lo dedussi perché riuscii a sentire qualche parola nel silenzio della casa. La donna accettò annuendo, poi Carl si incamminò verso il piano superiore, facendomi segno di seguirlo. Mentre le passavo davanti, lei mi indirizzò un sorriso, cercando di rassicurarmi, nonostante non mi conoscesse. Il ragazzo mi portò in una piccola stanza da letto, abbastanza spoglia: c'era il letto posto al centro della stanza, ma con la testiera contro il muro; un cassettone era messo sul muro di fronte al letto, con a fianco una scrivania ed una sedia. Mi catapultai sul letto, essendo da tempo che non ne vedevo uno vero, sedendomi a gambe incrociate e saltandoci un po' sopra, sperando non fosse solo un sogno.
"Tranquilla, è vero." Mi confermò Carl, sedendosi sul bordo di fronte a me. "Allora, come ti chiami?" Ritentò di sapere lui, ma continuai a tenere la bocca chiusa. Dopo un minuto buono di silenzio sospirò sconsolato, scrollando le spalle e constatando alla fine: "E va bene, non hai voglia di parlare, ho capito." Si alzò dal letto, dirigendosi poi verso la porta. "Ti porto qualcosa da mangiare"
"Gwendolyn." Dissi all'improvviso, facendolo bloccare sull'uscio della porta. "Mi chiamo Gwendolyn, anche se preferisco più semplicemente Gwen." Carl si voltò con un sorriso soddisfatto comparso sul volto, riavvicinandosi e sedendosi di nuovo sul letto, di fronte a me. C'era qualcosa in lui che mi portava a fidarmi.
"Allora, ciao Gwen." Disse con un sorriso gentile. "Posso sapere dov'è la tua famiglia?" Domandò sempre in tono dolce ed educato, mentre io cominciavo a tirarmi le maniche per l'agitazione: nonostante tutto quello che avevo vissuto, una piccola parte di me era riuscita a sopravvivere. "Per esempio, l'uomo che prima era con me era mio padre, si chiama Rick." Provò ad incoraggiarmi, cercando il mio sguardo; continuai a tenerlo basso. "Non è molto fiducioso negli sconosciuti, devi scusarlo."
"E tua madre?" Domandai quasi d'impulso. "Lei dov'è?"
Il sorriso gli scomparve dalle labbra, restando all'inizio in silenzio. "Dopo ti deciderai a parlare definitivamente?" Mi domandò con un tono di voce più basso, facendomi alzare lo sguardo per l'improvvisa tonalità di voce che aveva assunto. Non so perché, ma la storia di quel ragazzo mi attirava; se si fosse trattata di un'altra persona non me ne sarebbe fregato proprio niente, ma c'era quel qualcosa in lui che mi incuriosiva e che non riuscivo a spiegarmi. Dopotutto, non mi avrebbe fatto male parlare con qualcuno, no? Non c'era nessun lato negativo. Annuii, mentre Carl cominciava a rispondere alla mia domanda: "Mia madre si chiamava Lori; è morta circa cinque anni fa, per dare alla luce mia sorella, Judith, la bambina che hai visto prima." D'istinto, gli strofinai una mano sul braccio; sapevo benissimo quanto facessero male i ricordi, soprattutto se negativi e legati a persone per noi importanti. Non dissi nessun 'mi dispiace', sapevo che erano solo parole vuote in quei casi e che avrebbero solo fatto peggio, in altri.
Era arrivato il mio turno di parlare.
"Tutta la mia famiglia è morta circa due anni fa: mia madre e mio fratello sono stati morsi, si chiamavano Elizabeth e Jason; mio padre se n'è andato qualche mese dopo, è stato circondato da circa una decina di Vaganti, mi ha spinto via per sacrificarsi e fare in modo di salvarmi. Il suo nome era Gavin." Una lacrima scese sul mio viso, ma la asciugai subito, scuotendo la testa cercando di reprimere le emozioni. Rimanemmo in silenzio per un po', cercando di non farci sopraffare dai fantasmi del passato.
"Avrai un gruppo con cui stare, insomma, o sei da sola?" Domandò Carl, addolcendo ulteriormente la voce.
Scossi la testa. "Il gruppo con cui stavo è stato ucciso interamente una settimana fa circa; io sono riuscita a scappare solo perché il capo del gruppo che ci ha attaccati voleva che difondessi la voce, che in qualunque gruppo io fossi finita successivamente, avrei portato la notizia di non opporci nel caso li avessi incontrati di nuovo." Spiegai, appoggiandomi all'indietro sulle mani.
"Sai qualcosa sul gruppo che vi ha attaccati?" Chiese, cercando di trovare ulteriori informazioni.
"So solo che il gruppo si è presentato con il nome di Salvatori," notai il suo corpo irrigidirsi mentre parlavo. "volevano che gli dessimo le provviste ed i medicinali. Noi non glieli abbiamo dati, c'erano anziani e bambini bisognosi di cure, non avremmo mai potuto farcela senza; allora loro hanno deciso che era meglio farci fuori tutti. Tutti tranne me." Carl era in silenzio, stringeva le mani a pugno ed aveva lo sguardo rivolto verso il basso, come se stesse trattenendo una rabbia incontrollata.
"Va tutto bene?" Chiesi, raddrizzando la schiena e attirando ulteriormente la sua attenzione.
"È solo che..." Fece un respiro profondo, prima di dire: "I Salvatori sono il gruppo contro il quale abbiamo iniziato una guerra, appunto per i loro metodi poco ortodossi di conquista. Ci siamo opposti e ora stiamo combattendo." Si alzò in piedi, incamminandosi fuori dalla porta, facendomi intendere che non voleva più parlarne.
"Vado a prenderti qualcosa da mangiare, sarai abbastanza affamata, credo." Mi avvisò, prendendo il pomello della porta. "Tornerò tra una decina di minuti." Chiuse la porta, lasciandomi da sola.
La mia prima idea fu quella di distendermi e chiudere un po' gli occhi, cercando di riposare; ma non appena sentii la voce di Carl discutere fuori dalla porta, mi alzai in fretta, appoggiando l'orecchio per sentire. L'altra voce apparteneva di sicuro a Rick, colui che a quanto pare era suo padre. Stavano discutendo sul fatto di potersi fidare di una certa ragazza arrivata da poco ad Alexandria: Rick sosteneva che non dovevano darle troppa confidenza, ma avrebbero dovuto lasciarla dove l'avevano trovata; Carl, invece, sosteneva che dovevano darle una possibilità, che le persone erano la miglior risorsa rimasta e che non avrebbe più voluto affrontare quell'argomento. Percepii oltre la porta dei passi allontanarsi, per poi sentirne di più pesanti un attimo dopo. Mi staccai, per poi dirigermi verso il letto e distendermi, chiedendomi come mai Rick mi odiasse così tanto.

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