Nostalgie nocturne - Città passata

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(? - Édouard Cortès)

Avevo vissuto in quel luogo gli anni più stravolgenti della mia intera esistenza: ero cresciuta, maturata e cambiata drasticamente da quando un po' per scelta, e un po' per caso, trovai lì la mia più cara dimora.  

Di quelle strade, la calda luce e i colori sbiaditi dal tempo e dalla frenetica vita d'un popolo costantemente di passaggio, coloravano l'aria d'un famigliare appannaggio: i negozi pieni ad ogn'ora ed illuminati a giorno, i visi gentili e indaffarati, il vociare delle donne e il pungente odore di tabacco. Quella vista era poetica, estremamente poetica, tanto da non riuscire a non ammirarla - anche solo per un brevissimo istante - al mio passaggio; vi era infatti una strada che più di tutte mi rapiva per la sua inconfondibile immensità: "Rue des lampadaires", la stessa che da anni ormai era divenuta famosa per alcune delle luci più belle della Francia. Ed io amavo esserne abbagliata, seppur la loro luce fosse così antica e tenue che a malapena riusciva a formare goffe ombre sull'altrettanto antica via. L'atmosfera mi portava via in balia di un così magico spettacolo di luci da divenirne succube per minuti interminabili, ore preziose.

L'unicità di quel passatempo, così sciocco e privo del ben più che minimo senso trovava nella mia serenità la sua unica ragione: il ticchettio dei passi delle giovani donne scandiva con dolcezza il mio gioire.
E quando l'autunno bussava alle finestre di quelle vetrine, con le sue foglie dorate e l'odor di pioggia, quella via assumeva l'aria più viva di tutta la Francia; difatti, a discapito di quelle poco illuminate, lì il sole stesso sembrava trovare la sua casa e dimorarci, in attesa di poter brillare ancor più forte la prossima estate. Anche la solitudine stessa lì, per quella strada, a braccetto tra una persona e l'altra, veniva avvolta dalla calorosa compagnia di una simile bellezza, uscendone, così, dissolta.

La percorrevo ogni mattina ed ogni singola sera, andando e tornando dal Conservatoire national de musique, o dalla grande biblioteca che di lì a poco avrei trovato sulla sinistra, affacciata sulla Senna; qui avevo imparato l'arte della dedizione, con il mio assiduo studio piacevolmente alleggerito da quello spettacolo naturale che, ad ogni ora del giorno, avevo l'occasione di osservare dalle grandi finestre della stessa biblioteca. Lo stupore nei miei occhi ben si sposava alla sete mia di conoscenza, e la luce, che da poco lontano scorgevo, giocava vivace sull'acqua del fiume al calare del sole.

Ed il solo pensiero di quegli attimi scalda in me un'ormai vecchia memoria che di Parigi non ricorda più l'odore, ma il colore -  il suo malinconico umore - e il prezioso dono della più semplice meraviglia: averla vista, goduta, vissuta, con lo sguardo d'un infante e il petto vibrante di matura e indicibile passione.

Sulle labbra di AteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora