(? - Ron Hicks)
Quel sapore, genitore delle mie fantasie più recondite - amaro e dolcissimo insieme - possedeva la mia anima interamente, ed ogni istante passato a bramarlo un fremito, un brivido, sconvolgeva il corpo mio; nulla mi era stato mai caro a tal punto. Il suo bacio riusciva a placare ogni mio femmineo bollore tanto che, con minuziosa maestria, lui aveva ormai imparato a domare i capricci e le mie teatrali scene di passione affidandosi, unicamente, al momento perfetto: quello in cui avrebbe afferrato il mio viso e nel silenzio lo avrebbe costretto al bacio più tenero.
In questo modo l'affetto che mi legava a lui, profondo e disinteressato, aveva riempito tanto piacevolmente le mie giornate che non vi era momento in cui io, anche solo per un brevissimo istante di passaggio, non fossi a lui con la mente; quest'ultima, tutta rivolta al ricordo e al sogno più fantasioso, ai suoi baci, al suo calore, smaniava. E inconsapevolmente, tutta quest'attenzione che io gli riserbavo mi ammalava e affondava le radici nel cuore pulsante d'un dolore a me ancora sconosciuto. Un dolore tale che avrebbe potuto sfiorire anche la bellezza eterna d'Afrodite stessa; così credevo di poter perire, di un dispiacere atroce, pur continuando a remare incosciente nel mar nero di quello che credevo fosse, per ingenuità, reale affetto. E quando scoprii la sua crudele condotta, che aveva dunque fatto beffe di me per un tempo impensabilmente lungo ben ompresi che quel sapore che avevo creduto potesse esser bramato, e goduto, da me unicamente, era stato condiviso con mille altre ancora. Capii che la mia totale cecità m'aveva portata ad ignorare la sua inesistenza, essendo lui unicamente presente in fantasie che m'accompagnavano, giorno dopo giorno, oltre il reale e ben oltre me stessa. In verità, lui non v'era, se non quando serravo le palpebre sognante, e avida, d'assaggiare la fiamma innocua del suo bacio : mi ero lasciata tradire da colui che più alla luce del sole mostrava d'ingannarmi.
Ogni suo gesto non faceva che ricordarmi la mia solitudine, e più io mi sentivo sola, più io m'attaccavo a lui. Amavo il modo in cui io dovessi desiderare d'essere amata, in cui le sue labbra dovessero essere pregate ed il suo amore bramato fino all'insonnia. Ed io, nel mio febbrile fervore, mi sentivo nel paradiso più alto; sbattuta dai flussi della mia malattia mi sentivo trasportata nell'eterno come Paolo e Francesca, ritrovandomi - eppur - sola. Il vuoto che la mia mano stringeva, al suo fianco, mi appariva come una tenerissima protezione. Ero in realtà abbandonata, e lui pari solo ad un'ombra.
Ciononostante, il bacio di Giuda ancora mi accarezza; col suo inganno che fa dolce promessa di paradiso io qui - nella perenne fiamma - ardo di infinito, e malatissimo, amore fittizio.
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Sulle labbra di Ate
Short StoryAte, spirito di delusione, infatuazione e follia cieca, inquietudine, mancanza di misura e rovina, sembra possedere ogni riga di queste brevi storie, stralci e visioni. Le infinite anime che vivono ogni singola parola da loro stesse dettate, rigetta...