III • Ornithogalum Umbellatum [Stella di Betlemme]

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L'odore del the in infusione aleggiava nell'aria della cucina; in un'altra circostanza quel profumo mi avrebbe rilassata: l'ora del the era la mia preferita del giorno. Era il momento in cui si erano terminate le faccende domestiche e ci si dedicava alla cura personale... certo, prima di ricominciare a cucinare per la cena.
Perché tardava? Perché quella lunga attesa non terminava mai? Perché doveva essere tutto così maledettamente difficile e snervante?
Avevo lo stomaco in subbuglio, mi si contorceva come il canovaccio che stringevo nelle mani per eliminare l'eccesso d'acqua e riprendere a passarlo sui mobili accanto al caminetto.
Mio padre era tranquillamente seduto vicino al tavolo e ravvivava il fuoco mentre mia madre apparecchiava la tavola con quattro tazze per il the e dei biscotti al burro. Papà sembrava così tranquillo che mi dava ancora più sui nervi, mamma, invece, di tanto in tanto sospirava pesantemente e mi lanciava qualche occhiata.
Deglutivo a bocca asciutta per cercare di saziare quell'ansia famelica che mi stava logorando le interiora, mi sembrava di avere le gambe molli, come se potessero cedere all'improvviso. Sapevo che prima o poi sarebbe successo, ma non ero pronta o non avrei avuto quel pastrocchio di stato d'animo. Non ero pronta a sposarmi, ad andare a vivere con un uomo... con un vecchio! Con uno che sarebbe potuto sembrare agli occhi del paese mio padre.
Potevo vedere i miei seni sobbalzare ad ogni battito del cuore che mi rimbombava anche nelle orecchie.
Mi venne voglia di urlare, una voglia che strozzai nella gola, con una forza così intensa che sentii scricchiolare qualcosa nella mia testa: una, due, tre volte. Mi resi conto di aver cominciato a digrignare i denti.
Scaricai quella stessa intensità sulle mani che con frenesia frizionavano ogni spazio a mia disposizione, ad ogni respiro, sempre più incalzante e l'uomo, Damian, non era ancora arrivato: cosa sarebbe successo quando avrei sentito per la prima volta il suono della sua voce? Il mio cuore avrebbe preso la velocità di una locomotiva facendomi respirare così velocemente da non riuscirne a tenere il passo; lo stomaco avrebbe continuato ad essere triturato dall'ansia che avrebbe invaso ogni centimetro della mia pelle; la testa avrebbe preso a girarmi vorticosamente come durante il pranzo. Poi il mio corpo si sarebbe disintegrato, nel nulla, come la polvere che vedevo svolazzare in aria ogni qual volta passavo nervosamente lo strofinaccio sulle superfici in legno che mi circondavano.
C'era un silenzio, che avevo sentito prima solo in Chiesa, interrotto solo da quel rimbombo che sentivo nei timpani.
Magari non sarebbe arrivato, magari aveva cambiato idea... magari era stato soltanto uno scherzo.

《Rallenta, Madeline. Avrai finito tutto prima dell'arrivo di Damian di questo passo...》mi sussurrò la mamma prendendomi la mano con il canovaccio.
Annuii soltanto e continuai a fare quello che facevo poco prima con più calma.

Qualche, interminabile, minuto dopo bussarono alla porta: tre colpi decisi. Sobbalzai e mi irrigidii.
Mamma mi fece cenno di avvicinarmi a lei e mi lasciò a tagliare le carote e le patate per cucinare il brodo per la cena.

《Damian!》in tutta la mia vita, da quando cominciano i miei ricordi, non avevo mai visto mio padre così euforico.
《Roger! È passata una vita, ti trovo bene! Corinne! Incantevole come sempre...》aveva la voce da uomo, roca, profonda, mi fece vibrare i timpani, e non solo. Il cuore rimbombava così forte che potevo sentire il sangue scorrere, le vene principali pulsavano sotto i miei occhi.
《Grazie, Damian.》la mamma si limitò a ringraziarlo, era al mio fianco quindi l'uomo doveva avermi vista.
《Damian, accomodati pure. Voglio presentarti mia figlia: Madeline.》trattenni il fiato.

Uno, due, tre.
Va tutto bene, Madeline.

《Madeline? O buon Dio, ma sei diventata una donna, tutta sua madre!》

Uno. Due. Tre.
Parla, Madeline, devi dire qualcosa.

Mia madre mi toccò con il piede da sotto il tavolo destandomi da quella specie di catalessi in cui ero caduta.

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