Hallelujah - Capitolo 1

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Castiel fa scorrere lo sguardo verso il ragazzino che padre Zachariah quasi trascina nella stanza. I lineamenti morbidi del viso accompagnano armoniosamente gli occhi verde speranza e la stretta curva delle labbra, rivolta verso il basso. La pelle chiarissima e tirata e l'aria sofferente uccidono la bellezza che altrimenti avrebbe regnato sovrana su quel volto, invece di cadergli addosso come quella di un angelo caduto, o di un anima perduta nella fossa più nera dell'inferno. E quella creatura magnifica è lì, e lo guarda, e ogni secondo gli trasmette paura e malinconia e odio. E' chiaramente venuto contro la sua volontà.

Lì, davanti a quel ragazzo di appena qualche anno più grande di lui, l'angelo custode che deve strapparlo dalla perdizione e vedere nei suoi occhi un briciolo di grazia. Castiel ci prova, ma quelle iridi sono troppo profonde per essere esplorate.

- Lasciaci soli. - ordina. Il ragazzo dagli occhi smeraldi ride.

- Così tu saresti il famoso angioletto che dovrebbe riportarmi sulla retta via con qualche bella canzoncina su Gesù? - Castiel non sorride neanche. Si avvicina al ragazzo fino a percepire il suo veloce respiro sulla bocca e inclina di lato la testa, piegando leggermente le labbra.

- Perché, Dean Winchester? Non pensi di meritare di essere salvato?

Dean non risponde, si limita a fissarlo con aria di sfida, senza abbassare lo sguardo altezzoso.

Dean si sistema nella camera dove lo hanno portato praticamente a forza. Sbarre alle finestre, branda nel centro alla stanza, porta chiusa a chiave. Non esattamente un hotel a cinque stelle. La stanza è monocromatica, tutta grigia, e l'apertura dà su un cortile interno, dove preti della comunità e monaci in visita passeggiano tranquillamente. Viene pervaso per un attimo da un senso di claustrofobia e di paura. Paura, cazzo... non la provava da un pezzo, almeno da quando viveva con suo padre. Si era dimenticato di quella sensazione, di come porta freddo e stringe lo stomaco, mozza il fiato e toglie la capacità di pensare. Dean si obbliga a respirare e mantenere la calma. Fa un mezzo giro su se stesso, abbandona la borsa per terra con un tonfo e tira fuori un coltellino dalla tasca del giubbotto di pelle che indossa. Comincia a lavorare velocemente attorno alla serratura quando la porta, dopo il rumore di un giro di chiavi, si apre da sola davanti al ragazzo di quella mattina.

- Che stai facendo? - domanda, impassibile. Nonostante il tono interrogativo non sembra minimamente sorpreso di trovarlo per terra, con un coltellino in una mano e un pezzo della maniglia nell'altra. Come se Dean appartenesse ad un altro mondo. In un certo senso, pensa il ragazzo dagli occhi verdi, è così.

- Oh, niente. Cercavo l'uscita.

- Questo l'ho notato. - il ragazzo sconosciuto stringe le labbra, sprezzante. "Quindi siamo anche sarcastici? Bene." Dean scruta il tipo. Deve avere la sua età o non molti anni in più di lui, gliene dà al massimo venti, forse compromesso da quegli occhi e da quel viso da bambino che non si addicono alla mandibola ruvida e ben definita. Gli occhi color del cielo risaltano sotto il ciuffo corvino che ricade da un lato e fuori dal contesto Dean avrebbe apprezzato la bellezza del ragazzo. No, forse non il ciuffo laccato.

- Il mio nome è Castiel, comunque. Sono qui perché temo di non essermi presentato prima, non vedevo l'ora di cominciare la lezione...- si giustifica il giovane, tirando all'indietro la porta e accertandosi, con soddisfazione, che si chiude perfettamente anche senza il pezzo mancante che tiene in mano l'altro.

- Già, nemmeno io, guarda. - borbotta Dean, che dopo il terzo canto aveva seriamente preso in considerazione di usare il coltellino per tagliarsi le vene.

- Oh, ma io lo so il tuo nome. Sei Dean Winchester. Mi avevano avvisato del tuo arrivo.- Castiel evidentemente non coglie la provocazione. Un'ombra gli passa sul viso. - Perché ti tengono sotto chiave?

- Ah, se non lo sai tu. Io ignoro anche dove mi trovo, o perché . - La seconda affermazione non è esattamente vera, ma Dean non vuole sbilanciarsi.

- Dubito. E sono sicuro che padre Zachariah ha un buon motivo, come sempre, per quanto riconosca che sia un'accoglienza piuttosto fredda. - dichiara Castiel. E se Dean lo prendesse a pugni? Quei figli di puttana gli fanno tutti prudere le mani.

- Non è neanche carino quando i preti cominciano a rapire i ragazzi dalle proprie case senza ragione, no? - Castiel lo guarda ancora in silenzio, studiandolo.

- Guarda che noi della comunità non rapiamo nessuno... se sei in questo luogo, così , ripeto, c'è una ragione. I tuoi tutori ti hanno legalmente affidato a noi. - Dean apre la bocca per rispondere, ma non sa contro chi o cosa discutere. Certo, chi altro poteva esserci dietro a tutto questo? Solo lui. Si limita perciò a guardare male Castiel, che ovviamente non fa una piega.

- E questa comunità ce l'ha un nome?

- Siamo la comunità battista di San Romans. Il nostro è un centro d'accoglienza per ragazzi e famiglie.

- Quindi non siete... - Dean lo guarda. Sa chi lo ha mandato là e sa il perché. Ma forse Castiel e quegli altri psicopatici no. Quella è una comunità, non un campo di cura, si dice. Non è in pericolo, anche se non deve abbassare la guardia.

- Noi ci vedremo tutte le mattine dalle sette alle dieci, prima della messa. - continua Castiel. - A mezzogiorno si mangia e nel pomeriggio potrai seguire alcune attività. Senti - Cambia tono per attirare la sua attenzione e parla più velocemente. - forse sei ancora un po' disorientato, ma ti piacerà qui, davvero. E' un po' come una grande famiglia. Sono così eccitato per domani! - gli sorride per la prima volta.

- Okay... se lo dici tu. - Dean mantiene una faccia contrita.

- Però dovrei prendere il coltellino. Padre Zachariah è particolarmente severo riguardo certe cose, passeresti un sacco di guai. - gli confida. Dean sbuffa e glielo consegna. Avrebbe trovato un altro modo per scappare, di sicuro. Castiel esce dalla stanza, richiudendo la porta, e Dean si siede sul letto e fissa la borsa che contiene giusto i pochi vestiti che gli avevano lasciato prendere prima di portarlo via. No, non c'è bisogno di svuotarla, tanto uscirà presto. La caccia con un calcio sotto il letto e si passa nervosamente entrambe le mani sulla fronte. Non deve lasciarsi prendere dal panico solo perché si trova in un posto sconosciuto. Non deve perdere la testa, altrimenti non riuscirà a rimanere lucido e a cogliere la prima possibilità di scappare da quel luogo. Eppure, oltre al panico, unav sorta di stretta d'ansia e rabbia cominciano a serrargli la gola e lo stomaco.

Destiel - HallelujahDove le storie prendono vita. Scoprilo ora