Capitolo 38

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38. Don't call me love

Alex's pov Erano bastate poche semplici parole per farmi perdere del tutto il controllo

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Alex's pov
Erano bastate poche semplici parole per farmi perdere del tutto il controllo. Poche parole e tutti i bei momenti che avevamo passato io e Katy quel pomeriggio erano passati in secondo piano, diventando un ricordo lontano.

Roselinde era tornata, non potevo crederci. Avevamo fatto tanto per tenerla lontana da noi, eppure lei era tornata. La sorella pazza di mia madre era tornata. Quella zia che non aveva fatto altro che farci soffrire ulteriormente per la morte dell'unica persona che accomunava me e mio padre era tornata. Ciò non premetteva niente di buono, la sua presenza era la quintessenza del caos.

«Come mai è tornata?» chiesi a mio padre.
«Non ne ho idea» scosse il capo, già stanco della situazione.
Era bravo solo a stancarsi lui, non sapeva cosa volesse dire lottare e provare a farcela.

«L'hai incontrata?» chiesi ancora. Poggiai i gomiti sulle ginocchia e mi strofinai gli occhi con il palmo della mano. Non si poteva mai avere un momento di pace e tranquillità, doveva sempre succedere qualcosa che rovinava tutto.
«Assolutamente no» ovviamente, era troppo codardo.
«E perché mi stai raccontando una cosa del genere?» chiesi, anche se quella volta già conoscevo la risposta.
«Vorrei che tu la incontrassi» rispose, dando ragione ai miei pensieri.

«Non sai proprio cosa significhi prendersi le proprie responsabilità, papino» marcai l'ultima parola, provocandolo. Lo guardai, non ottenendo alcuna reazione da parte sua. Scossi la testa e feci per uscire dalla stanza, ma lui mi fermò.

«Non puoi permettere che lei rovini tutto» mi guardò serio e io non ci vidi più.

«Rovinare cosa, eh papà?» ancora una volta, sputai l'ultima parola, per fargli capire quanto mi facesse schifo anche solo chiamarlo in quel modo. «La bellissima famiglia che ti sei costruito dopo la morte di mia madre?» indicai la madre di Cami che stava salendo le scale in quel momento. Mi dispiaceva metterla in mezzo ai nostri problemi. Purtroppo, quando ero in quello stato non davo peso alle mie parole, né mi preoccupavo di ferire i sentimenti altrui. «La fottutissima casa che ti sei costruito perché volevi cancellare ogni suo ricordo?» diedi un calcio alla porta della camera, odiando ancora di più quella casa. «Hai paura che lei venga qui e ti rovini la sceneggiata che hai creato, che ti fa credere di essere felice?» colpii il suo petto con il mio indice e lo vidi vacillare, non solo fisicamente. Gli stavo rinfacciando tutte le cose su cui avevo taciuto per troppo tempo.

«Ma sai una cosa?» risi, apparendo come uno psicopatico ad occhi estranei. «Tu sei marcio dentro, anzi no» alzai le mani al cielo. «sei vuoto dentro. Potevi avere l'amore di un figlio e, invece, hai preferito perdere anche quello»
Dopo avergli dato una spallata uscii dalla stanza e nessuno osò avvicinarsi a me-Avevano paura. Non mi capitava di perdere le staffe in quel modo da tanto tempo. Forse era perché ormai ero arrivato al limite, ero stanco di farmi rovinare la vita dagli adulti che mi avevano portato via l'infanzia e mi stavano rovinando l'adolescenza.

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