Capitolo ottavo

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La trovò accucciata accanto ad uno dei gargoyles di Notre Dame, le ginocchia al petto e le braccia incrociate su di esse, la bocca nascosta alla sua vista. Non si mosse né diede segno di averlo visto o sentito arrivare, ma era certo che si fosse accorta della sua presenza. Le sedette accanto, rispettando il silenzio in cui si era chiusa, e rimase lì con lei, a fissare le acque scintillanti della Senna alla luce del tramonto. Era però consapevole di non poter lasciare le cose così come stavano, pertanto attese una manciata di minuti prima di proferire parola. «Mi... dispiace.» Lei non rispose e lui si sentì autorizzato a continuare. «Non avrei dovuto obbligarti a farlo.»

   Ladybug infine si mosse e, pur senza guardarlo, gli porse il proprio yo-yo. «Ho registrato tutta la conversazione», spiegò poi, la voce che tradiva tutta la frustrazione di quel momento.

   «Non ne ho bisogno», le garantì Chat Noir. «Ti credo.»

   «Ascoltala, ti prego», insistette la ragazza, affranta. «Sono io ad aver bisogno di capire... Sono convinta di essere dalla parte della ragione, ma... forse mi è sfuggito qualcosa?» azzardò, ben sapendo che fosse solo un blando tentativo di arrampicarsi sugli specchi. Il punto era che, da qualunque parte analizzasse ancora la discussione avuta con Chloé, non riusciva minimamente a comprendere cosa avesse sbagliato. Soprattutto, non capiva come potesse, Adrien, voler bene ad una persona tanto odiosa. Per amor suo, però, avrebbe provato ad andarle incontro ancora una volta, se solo lui glielo avesse chiesto. «Quello che mi manda davvero in bestia... non sono gli insulti rivolti a me», ci tenne a precisare, passandosi una mano sulla guancia per scacciare via una lacrima traditrice, «ma l'assoluta mancanza di rispetto che ha nei tuoi confronti. Parla di te come se fossi uno stupido, una marionetta nelle mie mani, come se tu non fossi capace di prendere delle decisioni da solo. È questo che davvero non riesco ad accettare.» Come potesse farlo lui, poi, le sembrava ancora più assurdo.

   Adrien le restituì lo yo-yo, deciso a non ascoltare quella che avrebbe dovuto rimanere una conversazione privata, nonostante ora fosse lì a discuterne con Marinette. «È quello che ti ha detto?»

   «Grosso modo», gli assicurò lei, ingoiando un singhiozzo. Odiava la posizione in cui si trovava in quel momento e sperò che il giovane non le chiedesse di fare un ulteriore tentativo. Inoltre, era troppo coinvolta emotivamente e si rendeva conto di non essere in grado di vedere le cose con sufficiente lucidità. Era per questo che avrebbe voluto che lui ascoltasse tutto, perché forse le avrebbe aperto gli occhi e mostrato un'altra prospettiva, come spesso accadeva quando lei si faceva accecare dalle proprie antipatie o giungeva a conclusioni affrettate perché troppo presa dai propri sentimenti. Fra i due, era sicuramente Adrien quello più pacato e riflessivo.

   «Domani andrò a parlarle di persona», lo sentì dire d'un tratto.

   Si volse infine a guardarlo e lo trovò assorto nella contemplazione della città al crepuscolo. «Ci saranno un sacco di giornalisti», gli ricordò.

   «Ti ha fatta piangere», replicò subito lui, incrociando i suoi occhi lucidi. «Non posso perdonarglielo.»

   «Adrien...» lo supplicò Marinette, timorosa di essersi davvero messa in mezzo ai due. Non approvava quel legame malsano, ma non per questo avrebbe mai imposto nulla al proprio innamorato. Tanto più che lei stessa era conscia che, sepolte sotto una montagna di difetti, persino Chloé avesse le sue belle qualità; forse Adrien si aggrappava a quelle, che conosceva meglio di chiunque altro, ma che a lei invece sfuggivano puntualmente a causa di tutto il sudiciume che quella dannata ragazza le vomitava addosso ogni volta che si trovavano a tu per tu. «Non farlo, per favore.»

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