Capitolo tredicesimo

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Quella era la terza volta che si trovavano tutti lì, insieme, a piangere per le vittime di crimini ingiustificati di cui ancora non si riusciva a stabilire la provenienza. Sfidando la collera dei terroristi con la propria, molto più forte e determinata, l'intera città seguiva il lungo corteo di carri funebri per le vie centrali di Parigi. Per tenere la situazione sotto controllo e scongiurare nuovi attacchi, che in quell'occasione sarebbero stati catastrofici, a polizia e paramilitari questa volta si era affiancato anche l'esercito, a testimonianza di come, finalmente, anche lo Stato aveva deciso di prendere in mano la situazione, sia pure in ritardo.

   Si era mosso solo quando Nadja Chamack aveva puntato i piedi in terra, mandando alla malora il telegiornale del pomeriggio per esibirsi in una sfuriata coi controfiocchi, un'arringa in difesa del sindaco che neanche il più abile degli avvocati avrebbe saputo contrattaccare. Non era colpa di André Bourgeois se Parigi era in quelle condizioni, aveva detto come una furia, determinata a non lasciarsi scappare l'occasione di spalleggiarlo anche a scapito della propria promettente carriera di giornalista. La situazione di terrore che tutti loro stavano vivendo nella capitale non poteva e non doveva essere guardata più come un fatto interno alla città, perché, se pure gli attentati si erano verificati unicamente lì, a pagarne lo scotto era comunque tutta la Francia. Che fine aveva fatto l'orgoglio nazionalista? Che fine avevano fatto tutti quegli elettori che avevano affidato le proprie speranze a quell'uomo che, dopo diversi mandati, ancora raccoglieva voti quasi all'unanimità durante le elezioni cittadine? Era impensabile che André Bourgeois avesse così, di punto in bianco, deciso di non fare più il bravo sindaco. Era amato, rispettato, e continuava a ricevere applausi, sempre e comunque, perché tutti i parigini riconoscevano in lui una guida valida ed efficace. Perché, dunque, davanti alla prima, seria difficoltà ne avevano fatto un maledetto capro espiatorio? Come se fosse stato lui a mettere le bombe. Ad uccidere tutte quelle povere persone innocenti. Anzi, sin dall'inizio André Bourgeois si era messo in gioco dando il tutto e per tutto, facendo fronte ai problemi comunali persino di tasca propria, aiutando e ospitando gli sfollati, dedicandosi anima e corpo alle proprie responsabilità, nonostante lui stesso fosse rimasto ferito nell'ultimo attacco. Di più, sotto la sua guida le forze dell'ordine erano riuscite a scongiurare altri due attentati, ma nessuno di quelli parlava già più. Nadja Chamack non aveva potuto accettarlo, non dopo essersi ritrovata in prima linea, nell'occhio del ciclone, non dopo aver visto con quanta dedizione quell'uomo e i suoi collaboratori si erano preoccupati di far fronte all'emergenza che aveva investito tutti loro.

   Parigi aveva applaudito a quelle parole, e il sindaco si era ritrovato davanti al municipio un'orda di cittadini che acclamavano il suo nome, che lo sostenevano, che gli chiedevano di non mollare. E lui non si era trattenuto, crollando in lacrime di commozione e liberando tutto il peso che portava nel petto ormai da tanto, troppo tempo. La forza che ne aveva tratto era stata tale da dargli nuovo coraggio e subito aveva seguito l'esempio di madame Chamack, pretendendo di essere ascoltato dallo Stato e di avere supporto immediato alla terribile situazione che l'intera Francia, e non solo Parigi, stava vivendo.

   Quando le dodici bare furono esposte al pubblico, i ragazzi dell'istituto Françoise Dupont si schierarono in prima fila insieme ai parenti di coloro che non ce l'aveva fatta. Sigillati in quelle tristi scatole di legno c'erano i resti di alcuni dei loro compagni di scuola, poco più che bambini, vittime di mostri sconosciuti che ne avevano reciso le radici troppo presto. Come ogni capoclasse, in quell'occasione Marinette avrebbe dovuto portare una corona di fiori ai piedi del palco su cui erano eretti i feretri, ma quel compito le gravava non poco nell'animo. Era stanca di tutta quella morte, stanca di quei corpi straziati, stanca delle lacrime di chi li reclamava per sé nonostante fosse ormai inutile, stanca di dover vivere ancora momenti come quelli. Sentì le dita di Adrien stringersi maggiormente alle sue nel tentativo di infonderle una forza che forse neanche lui possedeva più. Fu allora Chloé a farsi avanti al posto di Marinette; ritta sulla schiena, il viso alto e lo sguardo deciso, lasciò i propri compagni e avanzò verso la corona di fiori. Se quella ragazzina non ce la faceva, allora ci avrebbe pensato lei. Era la figlia del sindaco, dopotutto, e, senza voler fare sterili polemiche, il suo ruolo in quel momento era obiettivamente più importante di quello di una semplice capoclasse. Davanti a quella scena, vedendola in difficoltà nel sollevare l'enorme corona di fiori, Adrien si mosse per aiutarla e ad un passo di distanza, dopo un profondo respiro, lo fece anche la stessa Marinette. Tutti e tre disposero silenziosamente la ghirlanda funebre ai piedi dei feretri e tornarono al loro posto con uno sguardo devastato dal dolore, proprio come se la tragedia fosse appena avvenuta.

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