"Michael?"
Qualcosa mi stava sfiorando il naso, mentre ero stesa su una superficie dura e fredda. Le mie spalle tese erano doloranti, ora ch'ero nuovamente dotata di un corpo concreto, e non avevo alcuna percezione delle mie gambe.
"Michael? Michael?!"
Udivo una voce lontana e ovattata, di cui riuscivo a comprendere solo vagamente le parole; pareva flebile, e solo focalizzandomi – nel tentativo di liberarmi del velo del sonno, che pesante mi avvolgeva – mi resi conto che era la mia.
"Michael! Svegliati, svegliati!"
D'un tratto un improvviso dolore al capo mi colpì, incendiandomi le tempie e riportandomi alla realtà. I suoi tornarono con un risucchio e i timpani si sbloccarono; quando aprii gli occhi, con non poca fatica, vidi il viso di Uriel a pochi centimetri dal mio, un cipiglio preoccupato a ingrossare la vena sulla sua fronte. La ruga fra le sue sopracciglia era accentuata, queste inarcate in un'espressione allarmata.
«Beth! Beth, mi senti?!»
Tentai di biascicare qualcosa, ma fu inutile, la bocca era impastata e strane ombre danzavano di fronte ai miei occhi.
«Sei sveglia! Finalmente, è da almeno cinque minuti che ti scuoto!»
«D-dove sono?» sussurrai con voce roca.
«Nel loft. Ti sei addormentata qualche ora fa.»
«C-che ore sono?»
«Mezzanotte. È tempo di andare, Beth.»
Lo osservai confusa, fino a quando le sue frasi non si fecero limpide e la mia mente frastornata ne ebbe compreso il significato. Allora mi alzai in fretta, Uriel mi aiutò con le sue braccia forti e – dopo una piccola pausa, in cui misi qualcosa sotto ai denti – ci affrettammo a lasciare quello che, nel bene o nel male, era diventato per me un vero e proprio rifugio, quasi considerabile alla stregua di una casa. Quando ci incamminammo, uscendo sotto le luci artificiali della città, l'aria fresca della notte mi permise di riprendermi.
L'incubo, come sempre, aveva fatto il proprio ritorno, e sommato alle nuove scoperte e al delirio a cui ero stata assoggettata per tutto il giorno aveva avuto su di me l'effetto di un pugno allo stomaco. I miei pensieri, mentre avanzavo passo dopo passo sulle strade asfaltate, mi distraevano dalle mie azioni, facendomi muovere in modo meccanico. I miei occhi erano vitrei, fissi nel nulla, mentre la mia mente ripensava a quel che avevo visto durante il sonno.
Temevo, ogni giorno di più, che quel che sognavo si sarebbe presto avverato, tuttavia a mio discapito. Necessitavo che Michael tornasse quello di un tempo, che i suoi occhi non riflettessero più l'odio che suo padre aveva instillato in lui, che il mio amore credesse in me e tornasse a essere quello che insieme eravamo stati: le ombre nella notte che, abbracciate e avvolte in un paio di ali bianche, danzavano sotto le stelle. Ne avevo assoluto bisogno, per la mia salvaguardia.
Ricordavo alla perfezione la sua immagine, il candore della sua pelle, la ruvidità delle sue mani e le piccole rughe che, proprio come con Uriel, lo distinguevano dalla massa dei suoi fratelli. Chi non si sarebbe innamorato tanto profondamente di una creatura così bella? Così unica?
C'era una piccola parte di me, ancora intatta, convinta che sarei riuscita nel mio intento, ma era così sorda, così sottile, un flebile spiraglio di luce, che qualunque dubbio poteva facilmente spegnerla.
Non avrei mai potuto immaginare, il giorno in cui avevo detto "sì", che avrebbe potuto ferire in questo modo. Eppure, ciò non mi fermava dal provare quelle sensazioni, dal nutrire certi sentimenti.
L'amore era una creazione di Dio, non v'erano dubbi, perché solo la sua mano avrebbe potuto dare tanto sollievo e tanto dolore al contempo.
Quella parte di me avrebbe comunque obbedito alle direttive del mio Padrone, perché riuscire nella mia missione era l'unico modo per fermare Lui e liberare il mondo dalle sue false promesse, dai suoi ipocriti insegnamenti. Sapevo di dover mettere da parte le mie tribolazioni e agire, di dover mostrare una forza che ormai avevo perduto per non farmi fermare, ma ogni istante della mia vita, ogni respiro, sembrava capace di torcere il mio minuscolo cuore d'acciaio e fermarne i battiti per sempre.
"Hai perso la scommessa, Beth."
Sì, avevo perso la scommessa, mi ero innamorata, e faceva male rendermi conto di dove mi avesse condotta, cosa mi avesse fatta diventare: il fantasma di me stessa, una Beth più dura, più cattiva, ma al contempo estremamente debole.
Io avrei dovuto essere la calma prima della tempesta, portare con me i venti del cambiamento, della distruzione, e forgiare una nuova Terra sotto le fiamme degli Inferi... ma mi sentivo più una lieve pioggerellina primaverile. La mia maledizione sarebbe durata in eterno? Probabile. Se non avessi imparato a controllare me stessa, avrei perso.
"Nulla ti vieta di perdere comunque, anche nel caso tu vinca." Le mie parole non erano mai state più veritiere, e nel caso in cui avessi distrutto quel pianeta con le legioni infernali e Michael non fosse comunque tornato da me... beh, allora sarei crollata ai suoi piedi e avrei pregato, giorno e notte per anni, sanguinando solo per vedere il suo viso illuminato dalla pietà un'ultima volta.
Ormai ero su una strada a senso unico, voltarmi e ripercorrerla era impossibile; ero giunta, avevo visto e ora dovevo conquistare, senza farmi fermare dall'amore, l'unica ragione per cui ancora combattevo, nonostante fossi del tutto intorpidita.
Mi morsi il labbro, mentre rimuginavo sulle mie illusioni e sulle mie paure un'ennesima volta, al mio fianco Uriel – avvolto nel suo lungo cappotto di pelle nera, le ali ritratte per impedirne la vista. Le nostre braccia si sfiorarono, mentre in silenzio salivamo i gradini di uno dei tanti autobus che avremmo preso per avvicinarci via terra alla nostra prossima tappa, Reykjavík, prima di sfruttare i poteri di Arcangelo di lui e librarci nel cielo ogni notte.
Quando mi sedetti su uno dei compatti e gelidi seggioli della vettura, una rapida immagine si presentò ai miei occhi, un lampo a ciel sereno. Rappresentava delle ali bianche, dalle quali una piuma cadeva. Sul momento rimasi perplessa e non vi feci caso, solo in seguito, quando fu troppo tardi, me ne ricordai. Dopotutto, le mie ali erano state strappate, e solo le cicatrici rimanevano a provarne l'esistenza ormai sbiadita.
Ormai ero una peccatrice.
Ma il mio cuore, malgrado tutto, era ancora d'acciaio.
Ed eccoci qui con il capitolo 6! Lo so, lo so, sono lenta, e mi scuso tantissimo, ma nelle ultime settimane ho avuto tutt'altro che voglia di scrivere, e solo recentemente è tornata.
Alla fine della storia non manca tantissimo, solo 7/8 capitoli, che cercherò di scrivere più velocemente possibile, così da non ritardare troppo con gli aggiornamenti, se il raffreddore, lo studio e gli impegni me lo consentono.
E niente, spero che come capitolo vi sia piaciuto e vi invito a dirmi la vostra, sapete che adoro i commenti!
Ci vediamo la prossima settimana (probabilmente) con il prossimo capitolo, The humble servant! ❤
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Beth out of Hell | ✓
Paranormal/in▪ fèr▪ no/: l'ambito definito dalla pena eterna inflitta dalla giustizia divina (contrapposto a paradiso); l'oltretomba della mitologia classica. Quando le fiamme degli Inferi ti guardano negli occhi e il tradimento è l'unica cosa che tu conosca...