08. Requiem for a ghost

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Ci trovavamo a Reykjavík da qualche giorno, e dal nostro arrivo ci eravamo separati, trascorrendo la maggior parte del tempo in quartieri diversi nel tentativo di trovare il secondo Portale il più in fretta possibile

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Ci trovavamo a Reykjavík da qualche giorno, e dal nostro arrivo ci eravamo separati, trascorrendo la maggior parte del tempo in quartieri diversi nel tentativo di trovare il secondo Portale il più in fretta possibile.

La capitale islandese mi piaceva, era tranquilla ma non mancava di fascino: il clima era freddo, e seppur di difficile sopportazione a causa delle temperature a cui ero stata abituata, mi rammentava il Paradiso, con le sue immense distese brulle sorvolate da soffici nubi bianche, dove inconsistenti nevicate decoravano l'aria.

Se vagare da sola per la città da una parte mi permetteva di sentirmi più leggera e trascorrere un po' di tempo in solitudine, dall'altra mi spaventava: ero incorporea, e questo significava che Dio non avrebbe potuto vedermi, ma sapevo che – ormai – Michael doveva già essere sceso sulla Terra. Lui sì, lui avrebbe potuto vedermi, se ci fossimo imbattuti per casualità l'uno nell'altra, ed essere sola mi avrebbe messa in grave pericolo: dubitavo che, nel caso in cui avessimo ingaggiato una lotta, Uriel sarebbe giunto in tempo per fermarlo dal farmi del male.

"Hhaa... aspetta un minuto! Ma io conosco quel viso!"

Ricordavo vagamente la sensazione provata nel lontano giorno di quel nero settembre, quando avevo riconosciuto il viso di Michael in mezzo alla folla. Nessuno, in Paradiso, poteva affermare di non averlo visto almeno una volta: lui era l'unico Arcangelo a non porsi problemi nel frequentare chi aveva un rango inferiore.

"Ehi, il 27. Era il 27. Di settembre."

Un brivido mi scosse.

Lui non mi conosceva, allora, non aveva idea di chi io fossi, e sinceramente non mi aveva stupito. Non ero mai stata nessuno, solo un semplice angelo che aveva trasgredito alle regole, troppo desiderosa di vedere il mondo in cui la mia protetta viveva. Per tutto il tempo avevo temuto quell'avventura si tramutasse in un incubo. Poi, ero stata sorpresa dallo scoprire si fosse tramutata in un sogno.

Adesso, era di nuovo un incubo.

Nella mia mente, camminando per le stradine di Reykjavík, vedevo le immagini della devastazione, l'aspetto che avrebbero avuto gli edifici una volta che i gargoyle si sarebbero librati dalle loro colonne o che le locuste si sarebbero radunate e il mondo avrebbe trattenuto il proprio respiro. Quell'odissea pareva eterna.

"Il frutto proibito rovina l'ordine delle cose. Non cedere, Beth."

Di tanto in tanto ripensavo a come si erano svolti gli eventi, agli errori commessi, a come avevo versato lacrime salate e la pioggia fredda della Terra le aveva nascoste sotto un gelido vento nocivo. Mi sembrava di aver atteso una vita il momento in cui sarei uscita dagli Inferi, ed ero delusa da come si era sviluppata quella missione: anni dopo nulla era cambiato, eravamo ancora fermi lì: un puro plagiato e una condannata inutilmente conscia; non avrei mai pensato potessimo arrivare a questo, ma poco potevamo immaginare in quel nero settembre. Eravamo dello stesso genere ma mondi a parte, e mi faceva male sapere di esser pronta a rinunciare a tutto, ad arrendermi, solo per muovere qualche misero passo indietro.

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