10. Tide after tide

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Camminando nella valle delle ombre, lui non aveva mai temuto il Male, mantenendo viva la speranza che la propria luce avrebbe illuminato l'oscurità del mondo

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Camminando nella valle delle ombre, lui non aveva mai temuto il Male, mantenendo viva la speranza che la propria luce avrebbe illuminato l'oscurità del mondo. Michael aveva fiducia, perché anche se la maggior parte degli esseri umani gli appariva mostruosa, riusciva sempre a trovare quella piccola scintilla per cui combattere, per cui la sua esistenza non era sprecata.

Quando tornava da me, era solito ripetere sempre la stessa frase: "Perché tutta questa morte? Amore, perché continuano a combattere? Il Padre non tiene il punteggio."

Lui non si era mai arreso, nonostante tutto, non si era mai abbandonato alla paura.

Ma mentre io camminavo al fianco di Uriel ed Eva, cingendola a me, perdendoci fra le strade di San Pietroburgo, la paura era l'unica cosa che riuscivo a provare. Tentavo di nasconderla, ma diventava sempre più difficile: ci stavamo avvicinando alla resa dei conti, passo dopo passo, e così alla mia conseguente fine.

O alla mia vincita, condita di un bruciante fallimento.

Al momento della morte, quali pensieri passavano nella mente degli umani? Chi credeva di essere accolto in Cielo, per poi venir scaraventato nelle fiamme degli Inferi? Scommetto che doveva essere una bella sorpresa, per certi di loro. Dio non salvava nessuno, nessuno dei suoi amati mortali.

Eppure, non potevo impedirmi di chiedermi cosa sarebbe passato nella mia, di mente, quando sarebbe stata la mia ora: cosa avrei pensato, cosa avrei visto, cos'avrei provato?

Sarei stata alla stregua di un umano, nella loro miseria?

Chi era Dio per giudicarci? Chi era Lui per decidere chi fosse il meritevole, il misericordioso, l'orribile? Cosa gli dava il diritto di rovinare una vita e prenderne un'altra? Chi gli aveva dato quel potere?

Avevo tante domande che non avrebbero avuto risposta, ma ormai non importava più, perché marea dopo marea, saremmo stati spazzati via tutti.

Persino Dio.

«Qual è il piano d'azione?» chiese la voce melodica di Eva, seduta di fronte a me e con un grande bicchiere di cioccolata calda in mano. Mentre Uriel le rispondeva, distolsi lo sguardo, portandolo al pavimento della pasticceria in cui ci trovavamo. L'apatia era diventata la mia naturale espressione.

Non dovrei essere qui, pensavo. Non dovrei occuparmene io.

No, non avrei dovuto essere lì, non avrei dovuto occuparmi io di pulire il Suo disordine. Non era mai stato mio compito né mio desiderio. Tutto quello che volevo era una seconda possibilità, la certezza di poter ricominciare. Ma non potevo più pregare per qualche miracolo, ne avevo perso il diritto.

Come potevo sopportare il carico che gravava sulle mie spalle? Come faceva Uriel a non provare vergogna?

«Beh, funziona...» sentivo l'eco delle loro voci, parlottavano fitto per non farsi sentire dai presenti, ma la mia mente era lontana anni luce e incapace di seguire i fili del loro discorso.

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