13. Means to an end (2/2)

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Accasciata sul cadavere di Michael singhiozzavo senza emettere suoni, attorniata da silenzio

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Accasciata sul cadavere di Michael singhiozzavo senza emettere suoni, attorniata da silenzio. Per quello che ne sapevo la battaglia poteva esser finita o imperversare ancor più violenta: i miei timpani si erano occlusi, ero sorda.

Non sapevo quanto tempo fosse trascorso, ma i miei occhi non erano più in grado di lacrimare: avevo pianto tanto intensamente da aver esaurito qualsiasi riserva d'acqua nel mio corpo.

Il mio Michael sarebbe stato per sempre l'eroe, l'unico capace di portare il sole nella valle delle ombre. Avevo creduto lui solo potesse salvare la mia anima dall'eterna dannazione, giacché io, nelle mie scheletriche mani, non ne avevo la forza. Non lo avremmo mai scoperto.

Nella mente, lì rattrappita sul mio unico amore, avevo l'immagine del Padre, scosso e senza parole, l'unico giudizio la blasfemia del mio atto, della mia semplice esistenza: una minuscola e insignificante demone aveva ucciso il suo figlio prediletto, strappandolo dalle Sue braccia. Potevo percepire il fantasma della Sua gelosia, della Sua collera.

Ora senza più importanza Lui e il suo regno perfetto stavano cadendo a pezzi. E nulla avrebbe potuto fare il deceduto angelo guardiano. Provavo un denso torpore misto a vergogna; vergogna per quello che avevo fatto, per la mia stessa vita, per essere solo venuta al mondo.

«Scusa» biascicai tra muco e dolore.

Cosa potevo dire? La situazione si era capovolta: l'unica meritevole di morte era quella ancora in vita e la creatura degna di vivere in eterno era dovuta perire. Io, incapace di combattere per me stessa, debole e divisa a metà, ero riuscita a sopravvivere e vincere lo scontro, mentre lui aveva perso. Era scaduto, ormai, il tempo per comporre il requiem per un fantasma.

D'un tratto udii il primo suono dopo ere di immobile quiete: un tremolio sotto di me, accompagnato dallo scricchiolare dei sassolini. Anche io venni scossa, quando il petto su cui ero poggiata venne sollevato da una violenta inalata: dovetti fare un balzo all'indietro, il viso tirato e gonfio, quando Michael inarcò la schiena e prendendo un respiro interruppe il silenzio ch'era calato sui resti di piazza San Pietro. Attorno a noi non v'era che deserto, la battaglia era finita e non c'era più nessuno. Solo in seguito mi permisi di pensare a Uriel ed Eva e al loro possibile destino. In quel momento ero presa da ben altri problemi.

Con la bocca aperta e gli occhi spalancati lo osservavo alzarsi, priva di voce. Ero talmente sconvolta da non riuscire a esprimere il mio stupore.

L'Arcangelo si eresse in tutta la sua altezza, sporco di sangue, e spalancò le ali nell'aria soffocante. «Beth» pronunciò, imperioso. Mi guardava con occhi fiammeggianti, le labbra tirate in un ringhio.

«Come...»

«Ero legato alla valle delle ombre e della morte» replicò, «ma il Padre mi ha svegliato e ora vuole vendicarsi.»

Per un breve momento avevo posseduto la luce e ogni creatura della notte, ero stata la scintilla che aveva portato il fuoco degli Inferi sulla Terra, ed ero stata l'essere più spregevole mai esistito, più spregevole persino di Dio. Tutto però era crollato, con la stessa velocità e lo stesso esito. Adesso ero lasciata al destino, perduta e vicina alla morte, senza la consapevolezza di cosa fosse accaduto ai miei cari.

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