11. Lei

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"Ogni essere umano custodisce una buona ragione per non credere più ai sogni e sentirsi
tradito dalla vita."

— M. Gemellini

 Gemellini

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Osservai attentamente, da dietro le lenti dei miei occhiali da vista, il ragazzo riccio protendersi verso di me sulla poltrona del mio ufficio, la solita di sempre. Alcuni ricci gli ricadevano sulla fronte dolcemente contornando quel viso angelico che aveva, le iridi verdi puntate verso di me intente ad analizzarmi nei miei minimi dettagli, come sempre faceva. Con l'indice tracciava delle linee invisibile sul suo labbro inferiore inclinando leggermente la testa. Nonostante quella visione mi era ormai quasi familiare, poiché quella era la terza seduta di Harry in una settimana, fu la prima volta che lo vidi indossare delle semplici vans ai piedi e ciò mi stupì positivamente. Gli skinny jeans neri coprivano perfettamente le sue cosce muscolose, la maglietta bianca permetteva di intravedere alcuni tatuaggi presenti sul suo petto che attirarono la mia attenzione per qualche attimo. Grazie alla sua posizione potei identificare il tatuaggio più grande in una farfalla, esattamente sullo sterno, mentre due piccole rondini era posizionate poco sopra i pettorali.

Le due sedute precedenti non erano andate molto bene, non aveva accennato minimamente a parlarmi sul serio, anzi, prendeva tutto sullo scherzo e quella situazione iniziava a starmi stretta e, ovviamente, anche quest'ultima non stava procedendo nel migliore dei modi.

Mossi il piede della gamba accavallata frettolosamente richiamandolo alla realtà.

«Non vorrei sembrarle sgarbata - mi affrettai a dire - ma non sono qui a perdere tempo, quindi la prego di parlare... Altrimenti per quanto mi riguarda può anche andarsene.» Sbottai sistemandomi gli occhiali sul naso e fingendo di appuntare qualcosa sul piccolo quadernino che avevo sulle cosce.

Come da copione il giovane uomo davanti a me ignorò completamente la mia voce e ridusse gli occhi a due fessure prima di inumidirsi le labbra e parlare.

«Voglio sapere una cosa - alzai lo sguardo di scatto attendendo di essere illuminata dalla sua, sicuramente, inutile domanda - cos'hai capito di me, Rose?»

Sollevai gli occhi al cielo e sbuffai ormai stufa del modo che aveva nel rivolgersi a me. Senza riflettere e senza collegare il cervello alla bocca risposi sicura.

«È lunatico...» Affermai alzando un sopracciglio nella sua direzione. Le sue labbra si schiusero e il suo volto si allargò in un piccolo sorriso, quasi inesistente, che però mi consentì di vedere quelle adorabili fossette che tanto avrei voluto toccare.

«Lunatico...» ripeté con un pizzico di divertimento nella voce. Quell'uomo aveva il potere di smontare qualunque cosa uscisse dalla mia bocca e di farmi sentire una completa imbecille dinanzi a lui.

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