16. Lussuria

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"Tra i sette vizi capitali, la lussuria è uno dei peccati più scandalosi, ma anche dei più allettanti: è grazie ad essa che veniamo al mondo."

— Fernando Savater.

— Fernando Savater

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Harry, alla fine, mi obbligò a ritornare a casa con la sua macchina e con lui al volante. In fin dei conti aveva ragione, sentivo sempre di più le guance arrossarsi ed uno strano calore pervadermi il corpo in quella fredda sera ad Holmes Chapel. Il viaggio fu piuttosto silenzioso, la radio era spenta e gli unici rumori che si sentivano erano le vibrazioni che emanavano le labbra di Harry mentre cantava una canzone a me sconosciuta, ed i miei profondi respiri. Mi beai di quei pochi minuti di quiete prima di dover alzarmi da quel sedile tanto comodo che mi invogliava sempre di più a chiudere gli occhi, ma resistetti ancora un po', fino a quando arrivammo finalmente davanti al cortile di casa mia.

Uscii frettolosamente dalla macchina nera di Harry e mi diressi verso la porta, aspettando poi che il riccio compiesse qualsiasi gesto per farmi capire cosa aveva avuto intenzione di fare. Quando lo vidi avvicinarsi a me, mi decisi a parlare.

«Magari dormi da me stanotte - iniziai - sai, non ti vorrei avere nella coscienza se ti succedesse qualcosa mentre torni a casa.»

La sua faccia, un po' incredula, si chinò di lato ed iniziò ad osservarmi da capo a piedi mentre si rotolava le maniche della maglia, sicuramente a causa del caldo che anche lui stava soffrendo come me. Mi presi qualche secondo per osservare meglio il tatuaggio che Harry aveva sul polso, e notai con piacere che si trattava di un'ancora, ma la cosa che mi sorprese di più fu il piccolo lucchetto tatuato che si trovava accanto. Risi appena pensando invece al mio di tatuaggio, una chiave, che si trovava proprio sotto le mie costole.

«Sì» mi rispose Harry dopo qualche secondo che sembrò un'infinità.

Aprii la porta di casa ed invitai Harry ad entrare, che non tardò a catapultarsi dentro. Ammiccai un piccolo sorriso e chiusi la porta, per poi togliermi con una velocità della luce i tacchi che non avevano fatto altro che darmi fastidio tutto il giorno. Emisi un leggero ansimo dal piacere sotto gli occhi di Harry che mi stavano scrutando con curiosità e subito dopo arrossii, capendo che non avrei potuto fare ciò che per me era abituale poiché quella notte, dopo tanto, non sarei stata da sola.

«Vuoi qualcosa di più comodo da metterti? Ho tanti di quei pigiami da uomo nell'armadio che ormai non... »

Mi fermai per un attimo risentendo le mie stesse parole riprodotte come se fossero di una naturalezza e normalità così estrema, che dopo poco, tutto quello che mi stava ferendo in quel periodo e che per qualche ora era scomparso, tornò come venti pugnalate al petto in un batter d'occhio.

«No, tranquilla. Sto bene così.» rispose subito dopo Harry.

Abbassai lo sguardo a terra ed iniziai ad osservare i miei piedi nudi sopra a quel parquet. Poi la mia mente iniziò a vagare troppo in profondità, pensando alle serate nel divano passate con Christian, pensando all'anello che portavo al collo. Pensai anche alla festa che organizzai pochi giorni prima dell'incidente per il suo compleanno, a quanto il suo viso stupito mi fece rendere orgogliosa e soddisfatta di ciò che ero riuscita ad organizzare. Ed infine mi sentii tremendamente in colpa per aver fatto entrare un altro uomo nella stessa casa dove io e Christian avevamo condiviso momenti così tanto intimi della nostra vita.

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