Nei panni di simpatici idraulici.

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Ci svegliammo all'alba, o almeno, Percy mi svegliò all'alba.
Con sua sorpresa, spaventata presi la spada che tenevo sul comodino e gliela puntai alla gola.
Stavo decisamente impazzendo.
"Uo, vacci piano con quella spada", mi disse, e io la abbassai velocemente.
Nonostante le occhiate che mi lanciò in seguito mi preparai a dovere per partire.
Il fatidico giorno era arrivato.
Uscimmo e trovano Elisir e Klar anch'esse pronte. La figlia di Atena portava uno zaino di moderata grandezza e un foglio in mano.
Alla cintura aveva un bellissimo pugnale dorato, dalla lama sottile e tagliente. Klar, invece, era armata fino ai denti. La lancia era ben stretta nella sua mano destra, e sulla schiena portava lo scudo di bronzo. Più avanti mi accorsi anche che teneva un coltellino multiuso in una tasca nascosto nella sua giacca. I suoi viveri erano stipati in un borsone che teneva a tracolla, e il suo sorriso faceva intuire che non aspettasse altro che partire. Io mi limitai a prendere uno zaino e la spada, mio fratello fece lo stesso, con l'unica differenza che la sua spada poteva magicamente trasformarsi in una penna a sfera.
Dopo una colazione al volo e i giusti tributi agli dei, come bacon e toast, andammo da Chirone.
Il centauro ci aspettava sopra la collina.
"Bene, siete arrivati, ragazzi.", ci disse.
"Fuori dalla foresta vi aspetta un furgoncino prestatoci gentilmente dai nostri amici romani".
Chirone fece cenno a Percy di avvicinarsi, e i due confabularono a lungo.
Io guardai per un'ultima volta il campo. Era una visione mozzafiato.
Da quel preciso momento giurai a me stessa che sarei ritornata, i miei amici al mio fianco, e tutto sarebbe tornato come prima.
Chirone finì di parlare con Percy.
Mio fratello fece cenno di seguirlo, e voltò le spalle al campo.
Quando mi ritrovai a due passi da Chirone, il centauro mi chiamò.
"Madeleine, sii coraggiosa.
Se è vero che buon sangue non mente, in te si nasconde un'eroina niente male." Fu il suo modo di salutarmi.
Dopo qualche minuto, in cui si udì soltanto lo scricchiolio dei rami e delle foglie secche sotto i nostri piedi, arrivammo al furgoncino.
Era viola, e sulla fiancata citava il marchio di una compagnia di simpatici idraulici, con tanto di numero telefonico.
Ottima copertura, pensai.
Entrammo, e Percy si mise al posto del guidatore.
Il motore si accese con un rumore sordo e, una volta entrati tutti, io e le altre ci mettemmo in cerchio, sul fondo del furgone, e Elisir ci mostrò una mappa, fatta da lei, che segnava precisamente il percorso che avremmo dovuto fare per raggiungere l'Olimpo.
"Dovremmo stare all'erta, abbiamo un figlia di Atena, una di Ares e due pargoli di Poseidone, non male come esca!", esclamò Klar.
Il nostro piano era quindi raggiungere New York il più velocemente possibile e cercare di non farci uccidere dai mostri più orrendi citati nella mitologia greca, pur sapendo di essere un bocconcino più che prelibato.
"Il furgone dovrebbe coprire un po' del nostro odore", disse Percy, "... è molto più che un semplice mezzo per mortali."
Il suo sguardo era concentrato sulla strada, come era giusto che fosse, ma, per un semidio iperattivo doveva essere una dura prova starsene seduti con le mani sul volante.
Turbato o agitato? Non so.
Vidi solamente che tamburellava rumorosamente le dita sulla gomma che rivestiva la vela del cambio.
Decisi di mettermi vicino a lui.
Non che m'importasse di fargli compagnia, ovviamente, ma adoravo guardare fuori dal finestrino, e in più, beh, stare davanti mi ricordava troppo i viaggi che facevamo con mia madre, quando ero piccola.
Viaggiavamo in lungo e in largo, io e lei, ridendo e cantando tutti i giorni.
Mio fratello imboccò una strada asfaltata e subito, le ampie vallate verde smeraldo, si trasformarono in insegne luminose e autobus colorati che popolavano le strade.
Dietro di me il silenzio più puro.
Elisir stava sfogliando delle pagine di un vecchio libro, come se le fosse sfuggita un'informazione vitale, e Klar era sdraiata a terra, mentre sbuffava annoiata. Tutto nella norma insomma.

Nonostante fossi troppo agitata per captare altro il mio stomaco iniziò a brontolare quando il sole era già alto nel cielo.
Percy sembrò capirmi, perché accostò vicino ad un piccolo caffè e annunciò al settimo cielo, "È l'ora del pranzo!"

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