Coraggio, semidea.

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"Non ho mai voluto nulla di tutto questo" disse mia madre con un filo di voce.
"Tuo padre,è tutta colpa sua".
Papà? Cosa c'entrava ora?
"Intendo...il tuo vero padre".
Mi sentii svenire.
Cosa voleva dire "vero"?
"Quello che ora chiami papà è il tuo patrigno. Il tuo vero padre se n'è andato prima che tu nascessi"
Delle lacrime iniziarono a rigare le mie guance. Volevo urlare, iniziare a correre come una pazza, ma il mio corpo sembrava pietrificato.
"Tuo padre non era come me, né come tutte le persone normali.".
L'amico di Clarisse sembrava agitato, mentre la ragazza aveva un'espressione severa in volto.
"Non volli più sapere nulla di lui. Da un padre del genere avrei solo potuto immaginare come sarebbe stato il frutto della nostra unione".
Soffocai un singhiozzo.
"Quando nascesti tu mi ripromisi di farti vivere una vita normale.
Nessuno, nemmeno tu, avresti dovuto scoprire la verità".
Lanciò un'occhiataccia a Clarisse.
"13 lunghi anni di sacrifici e lacrime versate per vedere il mio lavoro andare in fumo",disse guardando fuori dalla finestra.
"Non sei mai stata normale, mai stata come ti avrei voluto io."
Iniziai a singhiozzare.
"Ricongiungiti pure a quel mostro di tuo padre, qui non hai più niente da fare".
Poi si rivolse ai due guerrieri con una freddezza innaturale e disse: "Fate il vostro lavoro", e si congedò.
Caddi in ginocchio, era troppo anche per me.
Clarisse ruppe il silenzio: "Dobbiamo andare, prendi le tue cose."
Il suo tono non era più autoritario come prima, sembrava... compassionevole.
Presi dei vestiti e li misi in uno zaino.
Mia sorella corse da me e mi abbracciò.
Mamma le aveva già raccontato una bugia per giustificare la mia partenza, non che fosse la prima volta...
Cercai di farmi coraggio e di non piangere anche quando mi disse che voleva venire con me.
Le dissi che non poteva, che nel collegio in cui andavo non erano ammesse le bambine così piccole, e lei sembrò capire.
Le diedi un bacio in fronte prima di vederla sfrecciare via.
Ero pronta.
Varcai la soglia di quella casa costruita di menzogne e falso amore, maledicendo il giorno in cui vi avevo messo piede per la prima volta.
Prendemmo un taxi, la prossima tappa era la stazione.
Secondo Clarisse li avremmo preso il treno che ci avrebbe portato alla mia nuova casa, l'unico posto sicuro per una come me.
Il mezzo ci mise poco ad arrivare.
Salimmo e trovammo posto vicino ad una signora sulla cinquantina che dormiva, russando in modo anomalo.
"Mio padre..." dissi, "era davvero un mostro?"
Clarisse mi guardo negli occhi.
"Non lo era. So che può sembrare strano, addirittura una follia, ma è un dio".
Rimasi senza fiato.
"Anche io sono come te, e anche Bill, dove stiamo andando... beh, è pieno di persone come noi"
Bill, ecco come si chiamava quel grosso ragazzo.
"V-voi siete figli di...un dio?"
"Esattamente. Io sono una delle tante figlie di Ares, il dio della guerra. Siamo tanti al campo, tutti figli di uno dei dodici dei dell'Olimpo, e anche di altre divinità minori"
Bill prese la parola dicendo "io sono figlio di Efesto, il dio del fuoco e della metallurgia"
"E-e io...chi è mio padre?"
Clarisse e Bill si guardarono.
"Non possiamo saperlo, è lui che deve riconoscerti. L'unica cosa che sappiamo è che emani un'aura potente, abbastanza da attirare un mostro di quella stazza dritto da te".
"Potrebbe essere figlia di uno dei tre.." iniziò Bill, ma Clarisse lo zittì.
"Piuttosto Bill, dille qualcosa in più sul nostro mondo".

Dopo un'ora ero più scioccata di prima, se possibile.
Satiri, ciclopi, eroi, dei dell'Olimpo...era tutto reale.
Il treno si fermò e ci alzammo.
"Coraggio semidea, è ora di andare" mi disse Clarisse, sorridendo.

Di una cosa sola ero certa, avrei trovato mio padre.

//la figlia di Poseidone//🌊Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora