Ci siamo.

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Riuscimmo ad arrivare al centro di New York.
Dopo aver cambiato almeno un centinaio di autobus arrivammo per l'ora di pranzo, lievemente preoccupati per quello che sarebbe potuto succedere ma felici allo stesso tempo...non era da poco rimanere illesi per così tanto tempo.
l'Empire State Building s'innalzava maestoso davanti a noi.
Vi starete sicuramente chiedendo cosa ci fosse da festeggiare al cospetto di un altro grattacielo grigio e monotono, ma che ci crediate o meno, stavamo per raggiungere l'Olimpo.
"Ci siamo", annunciò Klar in tono solenne.

Davanti a noi una portineria dall'aspetto ordinario, alla nostra destra un massiccio ascensore.
Percy lanciò un'occhiata a quest'ultimo e si allontanò per andare a parlare con il tipo dietro al bancone di vetro.
Da lontano potei intuire che gli bastarono poche parole chiare ma precise per ottenere quello a cui ambiva, cioè delle...tessere?
Lo guardai con aria interrogativa, ma lui si astenne dal darmi qualsiasi tipo di spiegazione, mi sorrise, come se bastasse solo quello.
Elisir chiamò l'ascensore, e dopo qualche secondo di attesa le porte si aprirono.
L'interno era riccamente decorato, è una musica jazz completava l'opera.
"Nonostante riconosca che Apollo abbia fatto un bel lavoro, sono certo che sarebbe stato meglio un bel brano rock", ironizzò mio fratello.
"Credi sia saggio dubitare dei gusti musicali di un dio quando stai per varcare la soglia di casa sua?", lo sgridò Elisir.
Percy passò la tessera e alzò il dito in cerca di un numero che non trovava.
"Eccolo qui, seicentesimo piano", disse in tono soddisfatto.
"Coosa?!", domandai io.
"Non ti preoccupare, ne uscirai illesa", mi rispose Klar.
Quello che speravo.
L'ascensore cominciò a salire, ed io, sempre più agitata, mi tormentavo le cuticole delle mani.
Numero seicento, eravamo arrivati.
Il rumore del battito del mio cuore fu arricchito dal sonoro "blink" che fecero le porte quando si aprirono.
Rimanemmo tutti senza fiato, l'Olimpo prendeva posto su di un'ampia collina, splendente in tutta la sua magnificenza.
Migliaia di case con colonne dai capitelli greci comparivano come funghi nel sottobosco, e dozzine di giardini immacolati decoravano il tutto, rendendolo ancora più bello.
Una scalinata in marmo portava alla casa degli Olimpi, la nostra meta.
"Annabeth ha fatto un bellissimo lavoro, come sempre.", disse Percy.
"Ah già, mia sorella è l'architetto ufficiale!", esclamò Elisir.
Riuscii solamente a pensare "wow, la fidanzata di mio fratello è una bomba!".
Ci avvicinammo alla scalinata, non sarebbe stato un piacere fare tutte quelle scale.

Dopo quello che mi sembrò essere un miliardo di scale arrivammo così vicini all'Olimpo da poterlo toccare.
Entrammo senza ulteriori indugi.
Ora, pensate alla cosa più bella che abbiate mai visto in tutta la vostra vita.
Fatto? Bene, moltiplicatela per cento e avrete un'immagine precisa di quello che vedemmo.
Non ebbi il tempo di ammirare tutto con attenzione come avrei voluto perché Klar mi prese per una manica e mi trascinò verso un portone enorme.
Era dorato, come la maggior parte delle cose li dentro.
Mi stupii del fatto che perfino una porta potesse apparirmi la cosa più bella del mondo, li dentro.
Un uomo dai capelli ricci e scuri, una divinità minore di non so cosa, spinse il grosso portone, permettendoci di entrare.
La stanza era riccamente decorata da numerosi dipinti, ornati da cornici dorate o di marmo.
Davanti a noi si ergevano 13 grossi troni.
Erano unici nelle decorazioni, in comune avevano solo le proporzioni mastrodontiche.
Su di essi 13 esseri, immersi da un'aura potentissima, sedevano ritti.
Dopo aver letto numerosi libri illustrati sulle divinità riuscii a riconoscerli tutti.
Il mio cuore perse un battito quando vidi lui...
Le mie gambe, già tremolanti, rischiarono di abbandonarmi, facendomi cadere come una perfetta idiota davanti agli Olimpi.
Mio padre sedeva su un trono decorato con pelle e reti da pescatore, simile ad una postazione per bagnini.
I suoi capelli nerissimi e arruffati, l'espressione benevola e gli occhi...gli occhi che ricordavo così bene, l'unica cosa che mi fossi mai ricordata di lui.
La forza del mare scorreva in essi, la brillantezza delle onde e la dolcezza del loro dondolio.
Non so come avreste reagito voi nel vedere vostro padre, il pezzo mancante del puzzle, la figura assente che non avevate mai conosciuto prima.
Io non riuscii a proferire parola.
Gli dei intorno a lui diventarono solo una macchiolina sfocata, e gli occhi mi si riempirono di lacrime.
Non era tristezza, erano solo troppe emozioni messe insieme che cercavano irrimediabilmente di uscire.
Percy mi prese per una spalla, e i miei pensieri trovarono pace.
Ci inginocchiammo.
"Divino Zeus, grazie di averci accolti con così tanta benevolenza in casa vostra", disse lui.
Una voce profonda e sicura rispose.
"In piedi, semidei.", disse il re del cielo.
Eseguimmo subito l'ordine.
"Mmh, progenie di Ares, Atena e... magnifico! Anche la progenie di Poseidone è qui con noi", disse un dio vestito di un completo nero e... vivo?
Disegni di persone, visibilmente agonizzanti, decoravano le vesti della divinità.
Ade, intuii, e il suo tetro umorismo.
Un'altra figura vicino a lui sembrò svegliarsi di colpo.
Un paio di cuffiette d'oro caddero dalle sue divine orecchie, destando il dio da una specie di trance.
Sembrava un adolescente, con i capelli ricci e biondi, il sorriso esageratamente brillante e gli occhi azzurri. Sedeva di traverso su un trono dai colori caldi.
"Numi del cie...ehm, salve mortali, benvenuti.", disse.
"Io sono il divino Apollo, ma potrete chiamarmi anche Apollo il magnifico oppure Apollo tipregofacciunautografo".
Era così bello che io e le altre due semidee non potemmo fare altro che arrossire.
"Smettila Apollo!", lo apostrofò una donna dagli occhi di perla, seduta elegantemente su di un trono decorato dall'immagine di una civetta.
"Madre...", disse Elisir.
La dea la accolse con un sorriso gentile e si presentò, "sono Atena, dea della saggezza, delle arti e delle strategie di guerra."
"Su, finiamola con le presentazioni, tutti sanno chi siamo! Questi semidei sono qui per un motivo ben preciso!", disse quella che riconobbi come Era, la moglie di Zeus.
Tutti gli occhi divini si posarono su di me. Erano tutti sguardi accusatori, tutti tranne quello di mio padre.
Lui mi guardava dolcemente, sorridendo un poco... nonostante avessi la tremarella per quello che avrei dovuto ascoltare di li a poco mi calmai, mimando con le labbra la parola "padre".

//la figlia di Poseidone//🌊Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora