CAPITOLO SETTE

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Le lancette della sveglia segnavano le due di notte. Alle cinque sarebbe sorta l'alba, segnando l'inizio di un nuovo caldo giorno di giugno. L'indomani mattina sarebbe stato sabato. Quello era il weekend più lungo mai vissuto fino ad ora.

Patrick non aveva sbattuto le palpebre nemmeno una volta da quand'era rientrato a casa, era come se i suoi occhi si fossero bloccati. Come se fossero rimasti ipnotizzati su qualcosa di specifico.

Quella porta c'era l'attimo prima e poi non c'era più. Quando ripassarono in quel punto la porta era svanita. Come se non fosse mai esistita. Passava e ripassava le dita a sfiorare il proprio torso, coperto da una canotta grigio scuro.

‹‹Avery...›› sospirò a bassa voce, muovendo gli occhi da una parte all'altra, come a cercare quel nome nel buio della sua stanza. Nella mente di Patrick riapparvero le immagini del piccolo Avery. Prima tra le braccia di sua madre, poi nella culla ed infine le immagini della confusione creatasi quando Avery venne ritrovato morto. Il piccolo Avery di soli cinque mesi, morto nella sua culla.

"Morte in culla, signora." – "Avery! Avery! Avery piccolo mio! Non può essere! Non è vero, qualcuno mi dica che non è vero!" – "Avery...mio figlio, nostro figlio..." – "Dio benedica questa giovane anima, preghiamo. Amen."

Il flashback fu piuttosto veloce. Ricordava lo sconvolgimento di sua madre, lo shock negli occhi del padre mentre fissava la culla del piccolo. I medici che nella loro più totale apatia, si preoccupavano di riportare le cause della morte, la data, l'ora e alcuni dati del piccolo Avery. Il via vai di gente che entrava ed usciva di casa, cercando vanamente di consolare la signora Hockstetter, troppo sconvolta per dare retta alle commiserazioni altrui. Il modo in cui suo padre lo fissava, mentre l'allora piccolo Patrick Hockstetter era occupato a guardare i cartoni animati in televisione. E infine il funerale di Avery. Anche in quell'occasione Patrick non aveva battuto ciglio.

Rimase tranquillo per gli anni successivi. Ora Avery non c'era più, ora andava tutto bene. Ora lui era di nuovo l'unica preoccupazione dei suoi genitori.

Quel pensiero lo fece sorridere, un sorriso di sollievo. Perché era tornato al centro di tutto, delle attenzioni di sua madre. Adesso non c'era più Avery di mezzo e i suoi pasti tornavano con regolarità a tavola, senza più Avery era lui a continuare a ritirare il News di suo padre. La sua routine non aveva più cambi di programma. Tutto era tornato come prima.

Patrick iniziò a ridere, portandosi una mano sopra gli occhi e coprendoli. Rideva, rideva. Rideva di gusto, di gioia, di soddisfazione. Aveva fottuto chiunque. Aveva fregato benissimo i medici, i suoi genitori e la polizia. Nessuno aveva scoperto che fu lui ad uccidere il piccolo Avery e nessuno l'avrebbe mai saputo. Ed anche se suo padre era arrivato a sfiorare la verità -accorgendosi delle impronte di neve sciolta lasciate vicino alla culla- non gli aveva comunque posto alcuna domanda al riguardo. Forse perché era solo un bambino o forse perché togliergli un altro figlio per determinato tempo e mandarlo in manicomio, non ne valeva la pena. Soprattutto in un momento come quello, avrebbe sconvolto ancor di più la povera signora Hockstetter.

Andiamo mamma, era soltanto un impiccio.

Si fecero le sette e mezzo, la notte passò lenta, ma assortito nei suoi pensieri gli sembrò che il tempo fosse più che relativo. Patrick mise i piedi giù dal letto e scese di sotto, andando in cucina. Aprì una credenza e prese dei biscotti, mettendoli in un piatto. Poi aprì il frigorifero e prese il latte, versandolo in un bicchiere di vetro. Cominciò a mangiare. Quei biscotti avevano lo stesso sapore che avevano quando successe tutto, la scena era simile. Soltanto che erano le sette di mattina, era presto. Di questi tempi Avery piangeva e causava baccano, spossando il sonno dei coniugi Hockstetter. La madre di Patrick si alzava per allattare il piccolo, lo cullava, passeggiava sopra e sotto canticchiando qualcosa e poi lo rimetteva a dormire nella culla. Ma passava meno di un'ora che il piccolo piangeva di nuovo. Ora per un motivo ed ora per un altro.

Patrick gustava i suoi biscotti dondolandosi su sé stesso, passeggiando su e giù per la cucina, compiaciuto di quanto ebbe fatto dieci anni prima. Scrutò fuori dalla finestra, il sole era ormai sorto anche se non ancora molto alto. Il caldo pervase la cucina. Sulla canotta del ragazzo erano presenti chiazze di sudore, i capelli lunghi erano bagnati.

Sono stato davvero un bravo bambino. E sarò un bravo bambino per sempre, mamma.

Pensò, tenendo il biscotto tra i denti e sorridendo biliosamente. Ma quel sorriso scomparve in meno di due secondi. Perché se ora Avery non c'era più, la porta del giorno prima nemmeno c'era, ma non era stato lui a farla scomparire. Anche l'uomo del locale era piuttosto ambiguo, insolito.

Patrick assottigliò lo sguardo. I suoi occhi color ghiaccio scintillavano come diamanti alla luce del raggio di sole che filtrava attraverso la finestra. Scosse piano la testa, spaccando un pezzo di biscotto tenuto tra le dita della mano e i denti.

Voleva sapere, voleva sapere cos'era successo. Avrebbe potuto tranquillamente ignorare tutto. La domanda della misteriosa locanda però non era sorta soltanto a lui, ma anche a Henry, Belch e Victor. Risultava un problema dato che nessuno dei quattro trovava una spiegazione logica.

Il telefono squillò, Patrick si precipitò verso di esso per rispondere.

‹‹Chi è?››

‹‹Hockstetter, sono Henry Bowers.››

‹‹Ciao bellezza, cos'è ti mancavo?››

‹‹Taci e ascoltami, scemo. Oggi ti vorrei parlare di una cosa.››

‹‹Cosa?››

‹‹Non mi va di dirtelo per telefono, vediamoci tra un'ora davanti al Balley's Lunch.››

‹‹D'accordo, mi preme osservare che sono le sette e mezzo del mattino. Non è orario per fissare degli appuntamenti.››

‹‹Chiudi quella cazzo di bocca e preoccupati di portare il tuo culo dove ti ho detto.››

Henry chiuse la chiamata, lasciando un "tu-tu-tu" sordo di sottofondo.

Patrick posò la cornetta del telefono, recandosi al piano superiore, quando vide sua madre ferma sulle scale.

‹‹Quindi frequenti quel Bowers.›› disse sua madre quasi sconvolta e un po' delusa.

Patrick sospirò seccato.

‹‹Torna a dormire mamma, ora Avery non c'è più, puoi dormire quanto ti pare.››

Quella risposta le fece raggelare il sangue. Come poteva suo figlio, ormai quindicenne, grande abbastanza da capire, risponderle in quel modo? Nominarle Avery così come si beve un bicchiere d'acqua? La signora Hockstetter si accasciò sui gradini, cercando di trattenere le lacrime, mentre Patrick le passava accanto nella più totale indifferenza.

Stupida donna, si preoccupa ancora per quel mostriciattolo defunto.

{ Domani altri capitoli! 

IT - The Bowers gang (2017)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora